Articolo: Change management - Affrontare il cambiamento

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“Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla”

Quando la vita scorreva lentamente come un pigro fiume, la complessità esisteva, ma non veniva percepita dalla stragrande maggioranza delle persone. Solo filosofi, scienziati ed artisti si addentravano con le loro modalità nella complessità del reale. Oggi tutti noi ce la sentiamo addosso, perché il ritmo si è fatto serrato come un torrente vorticoso. E’ giunto il momento di dimenticare le regole deterministiche del “causa-effetto”: la complessità ed i continui cambiamenti che ne derivano non permettono l’estrapolazione del passato per la ricerca delle strade future. La realtà è un sistema dinamico, che decide le sue traiettorie mentre esse si stanno svolgendo. Dimentichiamo la stasi, che si trova solo nelle cose morte. La vita e tutto ciò che da essa emana è lontana dalla stasi, è ricerca continua del nuovo e dell’improbabile, è espressione di un’energia rinnovabile che garantisce la sopravvivenza e la crescita.
Benvenuti nel concetto di cambiamento, dove la teoria della complessità è un tentativo di risposta al senso di inadeguatezza che percepiamo nonostante il continuo accumulo di conoscenza. È una sfida per ciascuno di noi ed è una sfida per le nostre organizzazioni, alla ricerca del loro senso, in una continua ridefinizione delle loro opportunità.

Uomini, Donne e Organizzazioni sono chiamati oggi a intraprendere un viaggio affascinante e allo stesso tempo rischioso all’orlo del caos, con la consapevolezza che la strada non è predefinita, ma il cammino si fa andando: è il Change Management, espressione che denota più un particolare stile di leadership che alcune specifiche capacità. Una leadership improntata al coraggio e alla pazienza, ispirata continuamente da modelli di eccellenza, pronta a trasformare i problemi in opportunità e le ansie in motori di propulsione. Il Change Management è l’espressione di un atteggiamento di fondo volto ad accettare la sfida della complessità con le risorse della creatività e della passione:
il futuro appartiene a chi sa immaginarlo.

Definizioni di cambiamento

Nel concetto di cambiamento, sono insite due definizioni:

1) CAMBIAMENTO COME EVOLUZIONE – assimilabile al concetto di trasformazione
2) CAMBIAMENTO COME TRANSIZIONE – assimilabile al concetto di metamorfosi/mutazione

La nostra storia di esseri umani si snoda attraverso i secoli intrecciando evoluzioni e transizioni. Ma qual è la differenza?
Ragionare di evoluzione significa prendere in considerazioni cambiamenti che accadono all’interno di uno stesso “modello”.
Ad esempio, parlare di evoluzione della specie umana, significa riferirsi a cambiamenti avvenuti in noi esseri umani che comunque, per certi aspetti, rappresentiamo sempre lo stesso “modello” in termini di caratteristiche essenziali – Il bisogno di mangiare lo avvertiamo oggi esattamente come lo sentivano i nostri antenati di 10.000 anni fa.
Prima dell’invenzione del fax, i documenti venivano spediti tramite posta o consegnati a mano: il fax ha rappresentato un’evoluzione pur rimanendo all’interno di uno stesso modello: “Il documento cartaceo”.
Con l’invenzione della posta elettronica, i documenti vengono inviati tramite e-mail: questo cambiamento, a differenza del fax, rappresenta una transizione in quanto “si esce fuori da un modello” – caratteristica cartacea – e si entra in un altro completamente diverso – il file con caratteristica elettronica.
Con il termine “modello”, nel Change Management, si intende un paradigma di pensiero, l’insieme delle coordinate interpretative di una certa realtà, la “mappa di un territorio” scientifico, tecnologico, culturale di un epoca e/o di uno specifico contesto sociale che si traducono in azioni e comportamenti quotidiani.

Altri esempi di cambiamenti intesi come transizioni:

- Il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica
- Il passaggio dalla lira all’euro
- Il passaggio dal carbone al petrolio
- Il passaggio da una società agricola ad una industriale
- I passaggi generazionali all’interno delle imprese: “dal padre al figlio”
- I passaggi di proprietà delle aziende: “da una proprietà italiana ad una proprietà cinese”
- Riconversioni industriali: fabbriche che prima producevano armi ora producono parti di ricambio per auto
- Il passaggio dall’essere single all’essere sposato
- Una conversione religiosa
- La nascita di un figlio

Il cambiamento è vita e la vita è un continuo fluire sia di evoluzioni, sia di transizioni. E’ un fatto naturale e come tale conviene accettarlo e viverlo nel modo più costruttivo possibile. Ma non tutti ci riescono. Come esseri umani, siamo di fondo, chi più chi meno, animali abitudinari e quindi tutto ciò che turba equilibri – abitudini – schemi mentali – comportamenti consolidati – genera un’ansia sottile. Nello stesso tempo, esistono persone “votate” al cambiamento, lo ricercano assiduamente, scivolando a volte in un’eccessiva smania di essere ogni giorno diversi. Ancora una volta, “la virtù sta nel mezzo”.
Sviluppare la capacità di gestire il cambiamento significa, da un lato, saper riconoscere le cosiddette “invarianze”, ossia tutto quello che non deve cambiare, che non potrà mai cambiare perché è “giusto” – naturale – che sia così: è come se non accettassimo la realtà della morte oppure che i nostri sensi siano limitati o che esista la diversità in cui ognuno è un mondo a sé;
dall’altro, bisogna saper riconoscere cosa è soggetto a cambiamento e viverlo in maniera attiva: bisogna nuotare nella corrente nella vita e non farsi trascinare dai flutti. Qualcuno nuota anche controcorrente, l’importante è che rispetti se stesso e gli altri.
E’ necessario ricercare attivamente il progresso personale e sociale, migliorare le proprie condizioni materiali e spirituali, prendersi cura di sé e degli altri, sviluppare l’intelligenza emotiva.
L’obiettivo principale è dare un senso importante alla propria vita e contribuire a costruire un significato anche alla vita degli altri.
La persona che dice: “Io sono fatto così”, sottintendendo che “è inutile, non cambierò mai” sta di fatto precludendosi la strada che porta al miglioramento, al benessere e alla serenità. Tale rigidità è come un macigno che grava sull’anima. Questa persona non solo “non vola” ma rimane addirittura “schiacciata a terra” dal suo stesso modo di vedersi!
Ad esempio, c’è molta differenza tra “mettersi in discussione” e “mettersi in gioco”. Spesso ascoltiamo che bisogna sapersi mettere in discussione.
In realtà, è più opportuno sapersi mettere in gioco che in discussione.
La questione non è solo terminologica.
“Mettersi in discussione” significa che io devo rivedere “me stesso”, la mia identità, i miei punti di riferimento, le mie “certezze”. Ma da un punto di vista psicologico, per un adulto, è necessario avere dei punti fermi rispetto a se stessi!
E’ necessario avere delle “certezze” che mi danno in quel momento la forza per affrontare la situazione. Spieghiamoci ancora meglio: immaginiamo la personalità come una tenda da campeggio “fissata” con dei paletti al terreno: i paletti sono i miei “punti fermi”, le mie idee, le mie opinioni ed anche le mie convinzioni.
Sapersi mettere in gioco e quindi essere bravi nel Change Management, significa tenersi pronti a “smontare la tenda” – perché in quel momento c’è una tempesta, il campeggio è affollato o semplicemente non mi va più di rimanerci – e a rimontarla in un altro luogo, sempre con i miei paletti “saldi e funzionanti”, pronto alla mobilità.
Mettersi in discussione significa invece dubitare pericolosamente della funzionalità dei paletti e anche della stessa tenda, perdendo quindi i punti di riferimento personali necessari alla gestione della situazione.
Questo accade perché non possiamo contare sul fatto che dall’esterno qualcuno ci darà altri paletti: potrà accadere come non potrà accadere, quindi è opportuno che ognuno sia responsabile della sua attrezzatura e ne faccia il suo punto di riferimento costante.
Senza i paletti, la tenda vola via al primo soffio di vento!
Ognuno è responsabile dei propri cambiamenti compatibilmente con la propria personalità. Ma attenzione all’alibi psicologico del “Io sono fatto così!” perché è una pericolosa resistenza ai cambiamenti che avvengono comunque, a prescindere da noi.

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