gestire gli aspetti emotivi del lavoro a distanza

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Gestire gli aspetti emotivi del lavoro a distanza: empatia, resilienza, consolidare i cambiamenti

Un grammo di fatti vale più
di una tonnellata di parole.

Un Cliente

Concretezza, pragmatismo, fare i fatti. Sono questi i comportamenti manageriali che le persone si aspettano, in generale, dall’azienda e, in particolare, dal proprio capo quando lavorano a distanza. Soprattutto sul versante del supporto emotivo, è necessario che il responsabile sia ben dotato di intelligenza emotiva. Questo non significa, naturalmente, "diventare psicologi”. Vuol dire, però, essere bravi nel far arrivare alle persone un senso forte di vicinanza, di ascolto, di empatia, proprio a partire da un sincero e attento “Ciao Stefano, come stai?”.

Oggi può voler dire anche essere bravi nell’aiutare le persone a coltivare resilienza e antifragilità, per affrontare sfide complesse e cambiamenti che possono risultare destabilizzanti. Se da un lato è vero che non dobbiamo fare gli psicologi, dall’altro è utile avere delle chiavi di lettura psicologiche che ci aiutino a decodificare il comportamento e le “mappe mentali” dei nostri collaboratori.

Esercizio: riconoscere e gestire la “Shadow zone” dei collaboratori (ma anche la nostra!)

La “Shadow zone” il lato oscuro della zona di comfort. E’ costituita da meccanismi psicologici di falsa protezione del Sé, agiti in modo più o meno inconsapevole.
Questi meccanismi possono essere di quattro tipi:

1. Fatalismo. Frasi tipiche: “doveva accadere”, “era destino”

2. Alibi. Frasi tipiche: “non dipende da me ma…”, “è colpa di…” (attribuzione del mancato raggiungimento di un obiettivo personale a cause esterne).

3. Pensieri irrazionali. Pensieri tipici: “proprio a me doveva capitare?”, “nessuno mi capisce”, “ma che male ho fatto per meritarmi questo?”, “va sempre a finire così”, “mai una volta che...”.

4. Personificazione del tempo. Frasi tipiche: “L'anno nuovo ci porterà...”, “Il futuro ci è amico”, “2020, vai a fanc...”.

Illuminare questa zona d’ombra è molto utile per rafforzare la capacità di autoattribuzione responsabile dei risultati ottenuti o mancati ed evitare proiezioni distorte sul tempo e sulle circostanze, distinguendo opportunamente limiti e margini di manovra nelle diverse situazioni in cui ci si trova.
Se un tuo collaboratore o una tua collaboratrice dovessero manifestare la loro “Shadow zone”, attraverso quel linguaggio o quel modo di pensare, che cosa gli o le diresti?
Prova ad immaginare un dialogo su questo punto tra te e il tuo collaboratore:

Se vuoi, confronta la tua risposta con noi, scrivendoci direttamente:

gianluca.gambirasio@olympos.it
stefano.greco@olympos.it

L’intelligenza emotiva è una competenza trasversale che in particolare si sviluppa nel rapporto con se stessi, con gli altri e con gli eventi della vita. Questo significa che tutti i contributi che ogni persona può dare nei diversi contesti in cui si trova, sono strettamente correlati alla capacità di operare con gli altri e di affrontare le più diverse situazioni in modo efficace.

Questo vuol dire che:
1. Ogni competenza va inquadrata nel contesto specifico in cui è agita
2. Ogni competenza si esprime attraverso una relazione
3. L’intelligenza del singolo ha bisogno delle intelligenze degli altri per crescere e diventare “mente collettiva”

Ricordiamo la definizione di intelligenza emotiva di Daniel Goleman (1995):
“Capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente, quanto nelle relazioni sociali”

L’intelligenza emotiva risulta essere una “miscela dosata”, a livello soggettivo, di:

✓ Motivazione (motivarsi e motivare)
✓ Empatia (capacità di intercettare il disagio, di captare segnali emotivi sia piacevoli che spiacevoli)
✓ Consapevolezza piena, radicale
✓ Autocontrollo (capacità di indirizzare le emozioni e i comportamenti in una direzione costruttiva, funzionale)
✓ Capacità relazionali (intelligenza sociale, capacità di networking)
✓ Capacità negoziali (capacità di allentare tensioni, capacità di mediare bisogni e esigenze, capacità di gestire il conflitto, anche e soprattutto a distanza)

Le domande rispetto a questa miscela sulle quali riflettere sono:

1. Come funziona tutto questo a distanza?
2. Quali criticità si incontrano?
3. Come superarle?

Sintetizza le tue risposta:

Per un responsabile di un team, applicare l’intelligenza emotiva significa:

Sviluppare capacità di adattamento nelle situazioni più diverse, regolando adeguatamente le proprie emozioni, in modo da sentirsi bene nel rapporto con se stessi, con i collaboratori, soprattutto nelle fasi di transizione e di trasformazione.
Aiutare i collaboratori a sviluppare o rinforzare il proprio livello di intelligenza emotiva.

Aiutare le persone a gestire gli aspetti emotivi del lavoro a distanza: empatia, resilienza, consolidare i cambiamenti

Esercizio: rispondi alle domande

L’espressione “intelligenza emotiva” ha un duplice significato: vuol dire sia che “le emozioni sono intelligenti”, sia la necessità o l’opportunità di “fare un buon uso delle emozioni”. Per noi esseri umani, le emozioni sono quei “dispositivi naturali”, sempre attivi a livello biologico, psicologico e relazionale, che ci avvertono (ecco perché sono “intelligenti”) di pericoli o ci danno la conferma che una situazione è piacevole oppure sgradevole. Per cui, se è piacevole, continuiamo a godercela, se è sgradevole, dobbiamo fare qualcosa per cambiare o uscirne fuori (anche solo mentalmente).

Domande:

1. La paura è intelligente perché...?

2. La rabbia è utile perché…?

3. La tristezza è utile perché…?

4. La gioia ci fa star bene perché…?

5. La sorpresa ci stimola a…?

6. Il disgusto ci aiuta a…?

7. La noia è importante perché…?

8. La nausea ci segnala…?

9. Come posso sfruttare l’ansia?

10. Come posso alimentare la curiosità?

Ragioniamo ora di resilienza. L’ Accademia Internazionale delle Scienze la definisce così: “La capacità di pianificare, prevedere e prepararsi ad assorbire, recuperare da, ed adattarsi a, eventi avversi”.
E la regola d’oro della resilienza ci ricorda che:
“Non sai quanto sei resiliente finché non hai bisogno di esserlo” (Carlo Romanelli, https://www.manageritalia.it/it/management/intervista-alla-resilienza-carlo-romanelli)

Quali immagini o stimoli formativi un responsabile può utilizzare per aiutare i suoi collaboratori a riflettere sul concetto di resilienza e a capire come svilupparla o rafforzarla? Vediamone alcuni, insieme a domande-stimolo da poter rivolgere a se stessi e ai nostri collaboratori durante scambi informali oppure in sessioni formative o di coaching:

1) La resilienza è come un “airbag emotivo”.
Domande-stimolo:
- Cosa fai per assorbire o attutire gli urti della vita?
- Quali sono i tuoi “crash-test” e come li superi?
- Come esci fuori da eventi traumatici? Rafforzato o indebolito? Arricchito o deprivato?

2) La resilienza è come un “anticorpo psicologico”
Domande-stimolo:
- Quali sono i tuoi pensieri felici, belli, che ti aiutano?
- Qual è il tuo gancio mentale a cui ti aggrappi per uscire fuori da stati d’animo melmosi?

3) La resilienza è direttamente proporzionale alla forza d’animo
Domande-stimolo:
- Cosa ti dà coraggio?
- In cosa credi?
- Cosa può darti forza interiore?

4) La resilienza è la capacità di piegarsi senza spezzarsi, come una “canna al vento”
Domande-stimolo:
- Quanto riesci ad essere versatile?
- Quanto riesci ad essere fluido?
- Quanto riesci a sfruttare la forza dell’evento avverso? (come gli atleti delle arti marziali che sfruttano la forza dell’attacco dell’avversario per rispondere o regolare la difesa)

5) La resilienza si nutre del senso dell’umorismo
Domande-stimolo:
- Quanto riesci a sdrammatizzare le situazioni?
- Quanta ironia e autoironia ci metti nel tuo modo di affrontare gli eventi?
- Cerchi attivamente la risata?

Esercizio: stimoli per la riflessione e l’applicazione

• Di questi cinque punti, quale ti ha colpito di più? Perché?

• Come pensi di utilizzarli con i tuoi collaboratori?
Con quali modalità comunicative o formative? In quali occasioni?

Altre capacità che aiutano a rafforzare o sviluppare la resilienza:

1. Capacità di seguire la traiettoria degli eventi, come il giocatore di golf segue la pallina dopo il lancio: è finita nello stagno o in prossimità della buca?
2. Attribuire un significato corretto agli eventi, senza distorcere la realtà con “errori cognitivi” (bias) come per esempio pregiudizi, stereotipi, proiezioni umorali personali, confronti con il passato, generalizzare le esperienze.
3. Trarre un insegnamento da come abbiamo gestito quello che ci è capitato.
4. Capacità di raccontare le emozioni provate, la loro storia, i loro significati.

Se la persona o l’organizzazione resiliente assorbono gli shock senza destabilizzarsi più di tanto, la persona o l’organizzazione “antifragile” migliorano e traggono profitto dalla casualità e dalle esperienze dolorose. Persone e organizzazioni antifragili addirittura prosperano con una certa dose di fattori di stress e volatilità. L’antifragilità è la capacità di lavorare il caos con creatività e innovazione.

Questa capacità, come ci ricorda Nassim Taleb che ha introdotto il termine antifragilità nei suoi libri, non è opzionale ma deve diventare strutturale per tutti, persone e organizzazioni. Come ci ricorda Taleb:

“Se trascorressimo un mese a letto ci verrebbe una atrofia muscolare. Allo stesso modo, quando sono privati dei fattori di stress, i sistemi complessi ne escono indeboliti”.
Oggi, l’unico modo per sviluppare la capacità di gestire i cambiamenti nel senso concreto di consolidarli e renderli operativi, è la combinazione vincente Resilienza + Antifragilità + Just in mind. Questa combinazione va giocata sempre sui tre livelli in modo sincrono: Individuo / Gruppo / Organizzazione.

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