Dalla “company image” alla “brand identity”

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Dalla “company image” alla “brand identity”: breve storia di una rivoluzione commerciale

La battaglia per conquistare uno spazio nella mente dei clienti ha ufficialmente inizio nel 1968, quando Al Ries e Jack Trout coniarono il termine “Positioning” in un articolo per la rivista “Industrial Marketing” che fece da apripista concettuale per la pubblica-zione del loro best seller “Positioning: The battle for your mind”.

Il concetto di posizionamento è tra i più longevi nella storia del Marketing ed è ancora oggi utilizzato nelle aziende.

Tuttavia, in scenari così fluidi e turbolenti come quelli che stiamo vivendo, il termine inizia a non offrire più quella “certezza di significato” di cui i manager vanno disperatamente a caccia per rendere credibili ed affidabili le loro strategie commerciali.

Il posizionamento nasce come attività di Marketing tesa a colpire la mente del cliente, con l’obiettivo di creare associazioni simboliche tra un prodotto ed alcune emozioni, e si sviluppa come strategia globale dell’intera impresa che, attraverso la conquista delle menti dei clienti, punta ad acquisire “Quote di Mercato” sempre più ampie e significative.

La rivista Fortune, con la sua sempre aggiornata classifica delle cinquecento aziende più famose e quotate al mondo, rappresenta da sempre la massima icona del posizionamento, anche se oggi, su di lei, le agenzie di rating aleggiano funeste essendo subito pronte a “declassare” Stati sovrani e Imprese nel giro di ventiquattro ore.

Con l’avvento del web, il posizionamento di un’azienda è sempre più legato, in termini di immagine e comunicazione, al livello in cui il sito aziendale appare nelle risposte dei motori di ricerca, il cosiddetto “Ranking”.

I “Fattori di Ranking”, ovvero quelli che influenzano il posizionamento di un sito, sono al centro delle analisi e delle strategie di marketing attraverso il web.

Eppure, anche ragionare di posizionamento di un sito sul web oggi appare di colpo obsoleto. Anche un semplice pc portatile sembra una tavoletta di pietra a confronto di un tablet o di uno smartphone di ultima generazione.

Insomma, oggi tutto ruota intorno al cliente, nel turbine di mutamenti tecnologici dalle velocità supersoniche.

La “Company Image”, tipica espressione della “lenta” cultura del posizionamento, deve essere dunque sostituita da uno stile organizzativo improntato al continuo modellamento della “Brand Identity” aziendale, ovvero di una veloce e sempre versatile strategia che collochi l’ “Esperienza del Cliente” al centro di ogni comportamento, visione, valore e prospettiva di mercato dell’azienda stessa.

Come Gian Carlo Mocci e Giovanni Binetti puntalizzano1 , la “Customer Experience” è il ricordo che un cliente conserva dopo aver interagito con un’azienda.

Il livello qualitativo (piacevolezza) della Customer Experience è direttamente proporzionale alla durata del ricordo.

Ogni cliente vive tre fasi sequenziali nell’interazione con un’azienda:

  1. Prima che interagisca ha una sua aspettativa.
    L’aspettativa del cliente è generata dal ricordo sia di interazioni dirette – personale, prodotti, servizi della stessa azienda o di altre aziende – sia indirerete – informazioni in suo possesso, passaparola di amici, altre fonti.
  2. Durante l’interazione ha una sua percezione e sperimenta un vissuto
  3. Dopo l’interazione ha un suo ricordo

E’ importante prestare attenzione a tre aspetti:

  1. L’esperienza non termina mai sino a quando ne viene conservato il ricordo
  2. Anche l’assenza di una interazione attesa dal cliente genera una percezione, non solo la sua presenza
  3. I clienti vivranno comunque un’esperienza, che lo si voglia o no.

Mentre la cultura dell’ Immagine aziendale non si preoccupa della qualità dell’esperienza dei clienti, perché li considera semplicemente un “target di mercato da convincere”, il modello della “Brand Identity” punta invece a considerare ogni singolo cliente un “agente di acquisto” sempre più informato, consapevole e desideroso di essere coinvolto nella comunicazione e/o nella produzione stessa di un servizio.

Il cliente desidera essere considerato come un soggetto attivo e non un bersaglio indifferenziato della pubblicità o di altre comunicazioni massificate.

Spot televisivi, cartellonistica stradale, banner sul web, depliant/cataloghi cartacei, pubblicità radiofonica, inserzioni sui giornali, i saldi, l’alta o bassa stagione, sono esempi di forme di “advertising” tipiche della vecchia cultura del posizionamento, autoreferenziale, emotiva ed impersonale.

La “Brand Identity” rappresenta invece l’espressione di una genuina fiducia riposta dal cliente con il quale l’azienda instaura un rapporto trasparente, personalizzato e di valore.

E’ il cliente che viene conquistato dalla credibilità e dalla competenza dell’azienda e non l’azienda che “conquista la mente del cliente” a forza di bombardamenti pubblicitari.

Anche il concetto di “fidelizzazione del cliente” appare oggi sempre più obsoleto e disfunzionale per il semplice motivo che il cliente oggi è un:

  • “Early adopter” – Una persona a cui piace utilizzare per primo tecnologie di ultima generazione
  • “Benchmarker” – Una persona che opera continui confronti tra prodotti, servizi e offerte
  • “Nomade” – Una persona che gira in continuazione per centri commerciali, naviga sul web, fa zapping in tv
  • “Mai soddisfatto” – Una persona in cerca di esperienze sempre più memorabili e che ha alzato l’asticella delle aspettative su tutto e tutti, compreso se stesso.
  • “Cercatore di appartenenze” – Una persona che si iscrive a gruppi e diventa un fan nelle pagine dei social network, frequenta community e dialoga nei blog.
  • “Peer to peer shopping counselor” – Una persona che fa da “consulente per gli acquisti” ad altre persone, spesso e volentieri utilizzando la cassa di risonanza del web.

L’azienda che vuole costruire la propria “Brand Identity” lascia da parte le “fidelity cards” – con tutte le relative e costose macchinazioni commerciali dalla dubbia eticità – per focalizzarsi su cosa sta veramente a cuore ad ogni singolo cliente e lavorare soltanto in quella direzione.

L’azienda si sforza di premiare realmente ogni cliente, senza inventarsi fantomatici concorsi a premi che pre- miano (forse) soltanto qualcuno.

Fare “Brand Identity” per un’azienda significa offrire sul mercato prodotti non taroccati né realizzati in Paesi dove i diritti umani sono pressoché inapplicati.

L’obiettivo è fare in modo che il cliente, acquistando un prodotto da un’azienda che ci tiene alla sua reputazione, ottenga sempre buoni risultati e abbia piacevoli percezioni, ovvero un valore complessivo al di là del prodotto/servizio che lui e le altre persone appartenenti al suo network riescono ad individuare e ad apprezzare.

Insomma, l’azienda deve fornire soluzioni uniche per ottenere risultati attraverso competenze chiare e distinte ovvero comunicabili, comprensibili ed utilizzabili dagli stessi clienti.

L’azienda che punta alla “Brand Identity” viene riconosciuta dal cliente per la propria unicità di servizio e per un’ offerta completa e mirata, godendo di ottime referenze fornite dagli stessi clienti.

La “Brand Indentity” non è una certificazione di qualità, un bollino od una “bandiera blu” ma coincide con il vissuto del cliente a contatto con l’azienda: è il cliente stesso a certificare l’azienda attraverso la sua esperienza diretta che poi racconterà ad altri nei diversi ambienti del suo network.

A differenza dell’immagine aziendale, affidata alla grafica di un logo, il Brand esprime un’anima originale e creativa che il cliente ricerca per ritrovarla poi nella sua identità di persona prima ancora che di cliente: “Lifstyle”, “Professional” oppure “Smart”. Da questo punto di vista, se una volta la cultura dell’immagine aziendale era in- centrata sul concetto di CRM – Customer Relations Management – espressione della visione che l’azienda ha dei clienti – oggi la “Brand Identity” deve fondarsi sul CFM – Customer Feedback Management – ovvero sulla visione che i clienti hanno dell’azienda.

Dal punto di vista organizzativo, le cinque caratteristiche fondamentali che concorrono a formare la “Brand Identity” di una azienda sono:

  1. La dimensione, sempre più intesa come livello di internazionalizzazione
  2. Il tasso di crescita reale
  3. Le valutazioni da parte dei clienti – l’insieme dei riscontri formali e del “come ne parlano” nei network personali
  4. L’ecosostenibilità, intesa non solo come rispetto per l’ambiente ma anche come la capacità di generare concreti vantaggi per esso.
  5. La capacità del management di qualificare il contesto come un buon posto per le persone dove lavorare.
Dalla “company image” alla “brand identity”: breve storia di una rivoluzione commerciale

Se una volta le parole chiave della cultura del posizionamento erano “Caratteristiche del prodotto”, “Pubblicità”, “Standardizzazione”, “Segmenti di Mercato”, “Target di Mercato”, “Quota di Mercato”, “Vantaggio competitivo”, “Fidelizzazione”, “Concorrenza”, oggi la nuova cultura della “Brand Identity” le sostituisce con “Esperienza del Cliente”, “Conversazione continua con il Mercato”, “Valore delle competenze delle persone in azienda”, “Sicurezza”, “Ambiente”, “Reti personali e di Imprese”, “Innovazione”, “Cooperazione” e “Reputazione”.

Sostenere oggi il vecchio schema dell’immagine aziendale sta diventato sempre più costoso e disfunzionale.

In aggiunta, scaricare sul cliente gli errori strategici aziendali e/o i costi di questo marketing obsoleto ed autoreferenziale – pensiamo soltanto all’impiego di attori, calciatori e altri personaggi famosi, già molto ricchi di loro, negli spot televisivi – esprime una vera e propria mancanza di etica e di rispetto per i clienti da parte dell’azienda.

In un mondo sempre più disintermediato, dove le persone hanno accesso diretto ad informazioni, beni, servizi e vivono relazioni interpersonali in reti sempre più allargate e, per certi aspetti, sempre più disinibite, avvertiamo in modo crescente l’ esigenza di un marketing ecologico, relazionale, sincero e a basso costo che punti all’efficacia e alla creatività senza scadere nell’autoreferenzialità e negli illusori effetti speciali tipici di schemi pubblicitari ormai fuori tempo.

In sintesi, modellare la “Brand Identity” significa oggi per un’azienda lavorare sodo nel far riconoscere, al mercato in generale e ai suoi clienti in particolare, il proprio stile ed una “personalità” connotati di alcuni caratteri stabili ed affidabili.

Tali aspetti saranno apprezzati da tutti gli interlocutori dell’azienda come la “garanzia non scritta ma vissuta” di fiducia.

Ricordando una straordinaria citazione di Aristotele: “Noi siamo ciò che continuamente facciamo. Quindi l’eccellenza non è un gesto ma un’abitudine”.

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