Il dentro e il fuori, La permeabilita' possibile

Corso di formazione

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Il dentro e il fuori, La permeabilita' possibile

Sono in giro per la città.

In macchina, stretta nel traffico, guardo annoiata i mille volti riflessi nei vetri che mi circondano.

“Ad una cosa si badi a restare in piedi in un mondo di rovine”.

Una frase precisa spicca su di un muro qualsiasi di un quartiere storico di Roma, quasi un grido di dolore e di ammonimento, la ascolto attonita.

Parcheggio in fretta. Prendo dalla borsa una macchina fotografica.

Fisso, durante il giorno, momenti di una vita frammentata dagli impegni e dalla fretta.

Mi serve per ricordare meglio le storie quotidiane.

Di ricucirle in una unica. La mia.

Scatto. Si fa avanti nella mia mente un’immagine. Terra rossa, quasi roccia, che si sgretola.

Cade nel vuoto. Movimento fisso, rigido.

La terra non cade, rimane ferma nell’aria, mentre infinite volte si compie l’atto.

Sotto e sopra non vi è nulla.

Solo aria.

Mi viene in mente quella sensazione precisa che ha accompagnato e che probabilmente accompagnerà i momenti di separazione della mia vita.

Quello stacco, preciso, netto, immediato. Si fa avanti tra i pensieri.

Provo ad allontanarlo. Rimane lì. Prepotente e impassibile. Mi lascia senza respiro.

So che, da quel momento in poi, la mia vita procederà in un altro senso.

Il senso dell’ignoto.

Le separazioni così come le unioni, gli incontri, segnano sin dalla nascita la nostra vita.

Vicinanza e distanza.

Costretti ad albergare in questi due luoghi, spazi interni del nostro sentire e spazi comuni nella relazione.

A volte vicini, troppo vicini. Oppure enormemente distanti. Lo sentiamo e ci rammarichiamo.

Costretti a vivere sempre in prossimità dell’altro, poiché non fu possibile in altri tempi pensare la distanza come una possibilità.

O sempre lontani, poiché il calore di una pelle, di un’altra pelle brucia troppo.

In un infinito ondeggiare di vicinanza e distanza, il contatto rappresenta quel momento di assoluta verità che si interpone nel tempo e nello spazio di una illogica corsa.

Riusciamo a vederci, a riconoscerci e sentirci come unicità.

Riusciamo a conoscere e riconoscere l’altro, quasi come se potessimo vederlo e toccarlo internamente.

L’accessibilità ad una relazione con noi stessi e con l’altro aumenta la permeabilità di confini interni ed esterni atemporali e rigidamente innalzati.

Facilita il percepire pensieri, immagini, frammenti e le parole come una possibilità di conoscenza, un poter accedere a luoghi ignoti o a lungo inaccessibili.

Slegati dal giudizio, dalla paura, dalla preoccupazione, dalla perdita e dal vuoto.

Un genuino contatto con se stessi e con il mondo genera un sentimento di pienezza.

Ci apre infinite possibilità di esplorazione, di ascolto, di conoscenza, di curiosità e di scoperta.

Consentiamo a noi stessi di guardare e di vedere, si sentire e poter ascoltare, di toccare e rimanere.

È un andare verso se stessi e verso il nuovo, nella consapevolezza di sé e nel riconoscimento dell’altro.

Finalmente possiamo giocare.

Così come fanno i bambini, liberi dalle attribuzioni di significato e dai funzionamenti degli oggetti ormai irrigiditi dalla realtà.

Loro toccano, annusano, leccano, rompono, usano, guardano senza dare etichette.

Senza chiamare e dare nomi.

Senza rimanere intrappolati nei sensi espliciti ed esplicitati da finti adulti, che nella paura e nel timore inscatolano, ingabbiano, etichettano, numerano e dividono.

Giocano e quindi vivono, immersi nell’esperienza così come pesci colorati nella loro acqua azzurrina.

E guai a distrarli.

Il cambiamento è in agguato. Ci spia già da un po’.

In un angolo silenzioso organizzava già da tempo un’irruzione spietata nella nostra quotidianità.

Pronto ad estirpare abitudini radicate, a ridicolizzare riti osceni consumati nella solitudine, sciogliere cristalli aggrovigliati di ghiaccio e di tempo statico.

Allentare tensioni e spazzare illusioni deformate dal lungo pensare.

Dilata gusti e proibizioni fondendoli e confondendoli.

Apre nuovi scenari, dove personaggi cambiano volti e ruoli e narrano nuove storie.

E noi ascoltiamo. Ci ascoltiamo ed ascoltiamo l’altro con le sue possibilità.

La storia, la nostra storia si apre ad un’altra storia.

È il nuovo in quanto non conosciuto. Estraneo.

Così come estraneo era parso ad Alice il variegato mondo nel quale era precipitata all’improvviso inseguendo un coniglio affrettato giù per un pozzo, in un caldo e noioso pomeriggio d’estate e così come, probabilmente, era sembrato misterioso al suo creatore Charles Dodgson il mondo “che costeggia il nostro”.

P. Citati in Dietro lo specchio. Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie scrive:

Il dentro e il fuori, La permeabilita' possibile

 

“E quindi scende giù il silenzio. Sulle ali del pensiero

La bimba sogna che percorre La terra del mistero,

Con gli animali che le parlano... E sembra quasi vero.

E sempre quando inaridita Parea l’ispirazione

E lui tentava di sospendere Stanco, la narrazione: “Domani il resto...”

Oggi è domani! Era l’implorazione.

“Alice cominciava a non poterne più di stare sulla panca accanto alla sorella, senza fare niente; una volta o due aveva provato a sbirciare il libro che la sorella leggeva, ma non c’erano figure né dialoghi,...

Ragion per cui stava cercando di decidere fra sé (meglio che poteva perché il caldo della giornata la faceva sentire intorpidita e stupida),... quand’ecco che d’un tratto le passò accanto di corsa un coniglio bianco dagli occhi rosa... ‘

Povero me! Povero me! Sto facendo tardi!

’ ...Alice saltò in piedi, perché le balenò nella mente di non avere mai visto prima di allora un coniglio fornito di panciotto e di taschino,...

Un attimo dopo... si era infilata dietro a lui... tanto all’improvviso che Alice non ebbe neanche un momento per pensare a fermarsi: e si trovò a precipitare giù per quello che pareva un pozzo assai profondo...

Giù, giù, sempre più giù. Sarebbe mai finita quella caduta?... quando ad un tratto cadde...

Alice non si era fatta male, e in un attimo fu in piedi;... Quand’ecco che si imbattè in un tavolinetto a tre gambe...”.

Alice scopre sul tavolinetto una minuscola chiave d’oro e pensa che potrebbe appartenere ad una delle porte.

Ne apre una e si accorge che dà su di un corridoio poco ampio e che al termine c’è uno dei più bei giardini mai visti.

Si rende conto che non avrebbe mai potuto percorrere quel corridoio e ritornò al tavolo con la speranza di trovare un’altra chiave o un libro che spiegasse come rimpicciolirsi.

“...ci trovò una bottiglina... e attaccato al collo... un cartellino con la parola BEVIMI... Alice si arrischiò ad assaggiarla... ‘

Che strana sensazione!’ ...

‘Direi che mi sto rinchiudendo come un cannocchiale!’

Ed era vero: adesso era alta soltanto venticinque centimetri e il viso le si illuminò al pensiero di avere ora l’altezza giusta per passare dalla porticina...”.

Ahimè Alice ha dimenticato di prendere la chiave sul tavolo e si accorge di non poterla prendere visto che è diventata piccola piccola.

Comincia a piangere e poi trova il modo per rincuorarsi.

“...Poco dopo però l’occhio le cadde su di una scatolina di vetro che stava sotto il tavolino; l’aprì e vi trovò dentro un minuscolo pasticcino con la parola MANGIAMI...

Ne mangiò un pezzetto e si disse con ansia: ‘Su o giù? Su o giù?’ ... ‘Stranissimo” gridò Alice...’

Mi sto allungando come il cannocchiale più grande che sia mai esistito!”

Alice si meraviglia, si spaventa, a volte piange.

Il suo creatore la fa rimpicciolire, poi ingigantire.

Incontra animali che parlano, che indossano guanti e che si preoccupano se sono in ritardo.

Una Finta tartaruga e merluzzi con la coda stretta tra i denti.

Un Re ed una Regina di Cuori ed una Lepre Marzolina che adora il burro. Alice si interroga se ciò che sta per bere può avere un effetto venefico, segue una logica del mondo, del suo mondo.

Ma poi si accinge a prendere i guanti al Bianconiglio.

Tra il desiderio di protezione e di avventura, Alice continua il suo viaggio.

Forte del suo pensare, continua a cercare e ad attribuire significati ad eventi e incontri.

Utilizza analogie. Continua, in un’altalena tra curiosità e paura, ad esplorare un mondo fantastico, governato dal paradosso e dal non senso e per giunta incapace di conoscere e riconoscere la logica dell’agire umano, senza perdere la propria identità, ma sfumando i confini e rendendoli permeabili ad un’esperienza, come lei stessa dirà alla sorella al momento del risveglio, “...un sogno così curioso”.

È il momento della consapevolezza. Alice ha viaggiato, ha sofferto, ha attraversato questo mondo immaginario.

Ne sente l’illogicità, sta per fare esperienza di un lato oscuro.

Si ribella alla Regina.

Le Carte, sotto l’ordine della Regina, stanno per assalirla e lei: “A chi credete di fare paura?” ...

“Non siete che un mazzo di carte!”. Un grido tra la paura e la rabbia segna l’attraversamento del confine.

Si desta sulla panca meravigliata, consapevole di aver sognato e serbando il ricordo di un “sogno meraviglioso”.

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