legame tra percezione tempo e stati d’animo

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Il legame tra percezione del tempo e stati d’animo

Mi sorprenderà la pioggia ora che non ho neppure il cappello di bambù? Ma che importa...

Haiku giapponese

L’uomo fa parte di un mondo naturale regolato da ritmi stagionali e giornalieri; i primi si traducono nel riposo delle piante e nella ripresa vegetativa, nel letargo e nella stagione degli amori, mentre i secondi, quelli animali, sono regolati da un orologio biologico che esiste anche nel cervello umano.

Nonostante il crescente interesse verso gli strumenti di misurazione del tempo ed il suo studio scientifico, la percezione legata ai ritmi della natura esercita ancora un sottile fascino ed una notevole influenza su di noi.

Ce ne possiamo accorgere in primo luogo perchè conserviamo alcuni stereotipi culturali e linguistici come:

  •  “Non ci sono più le mezze stagioni”
  •  “Un uomo per tutte le stagioni”
  • “Quante primavere sono passate!”
  • “La stagione dell’amore”
  • “La stagione sportiva”
  • “Alta stagione/Bassa stagione”
  •  “L’autunno della vita”.

In secondo luogo, per il fatto che il nostro organismo continua ad andare incontro ad un risveglio primaverile, ad un’attivazione di funzioni ormonali e fisiologiche che, seppur sottovoce, raccontano al nostro corpo di un tempo dimenticato ed in qualche misura “perduto”.

Il ritmo biologico giornaliero si dimostra molto più importante di quello stagionale: iscritto nel nostro cervello, si sovrappone, adattandovisi, al giorno solare.

Questo ritmo dà un tempo alle nostre attività in quanto numerose funzioni del nostro organismo seguono un andamento circadiano, ossia presentano dei minimi e dei massimi nell’arco di una giornata.

Il sonno e la veglia, le secrezioni ormonali, le reazioni agli stress hanno un andamento bifasico che permane anche quando viene meno l’orologio solare, come nel caso degli speleologi che trascorrono intere settimane in grotte, privi di informazioni sul trascorrere del tempo.

Oggi possiamo constatare le alterazione sia dei ritmi stagionali sia di quelli giornalieri, dovute alle profonde e talvolta drammatiche trasformazioni ambientali, tecnologiche e sociali a cui il mondo è andato incontro o con le quali si è scontrato, negli ultimi due secoli.

Tali mutazioni sono il risultato di una progressiva dissociazione tra i tempi della natura, stagioni e giorni, e i tempi di lavoro e di vita che l’uomo si è dato o, meglio, che il sistema economico-industriale e sociale gli hanno imposto.

Nel 1784 il matematico ed ingegnere scozzese James Watt fece uscire dalla sua officina una macchina a vapore i cui “cavalli” avrebbero “trainato” successivamente la locomotiva.

Il tempo è stato il primo passeggero a salire su quel marchingegno che nel giro di qualche anno avrebbe reso il mondo più raggiungibile per tutti.

La rivoluzione, prima ancora che industriale, è stata comunque psicologica nel senso che l’uomo si è trovato a dover sostituire rapidamente una concezione e soprattutto un vissuto del tempo millenari a favore di un riferimento che diventerà sempre più “assoluto”: un ritmo di lavoro standardizzato, meccanico.

In questo cambiamento epocale, cominciano a comparire sulle pareti delle fabbriche gli orologi come “macchine-segnatempo” ed i cronometri nelle mani degli ingegneri e/o dei capi operai.

L’approccio tayloristico “tempi e metodi” fa il suo ingresso trionfale sulla scena industriale, sia per il profitto dell’imprenditore, sia come la modalità ritenuta più idonea ad organizzare il lavoro collettivo.

Il lavoratore e la sua stessa famiglia finiscono nell’identificare il tempo della loro vita con i ritmi lavorativi in cui sono coinvolti.

Nella fabbrica, spazio angusto e tetro, non filtra più la luce solare, cioè il modo di intendere e di vivere la suddivisione temporale di una volta.

Una radice dello stress, legato ad un vissuto spiacevole del lavoro, sarà proprio quella derivante dallo sfasamento tra i ritmi dell’orologio biologico individuale, cioè le successioni biochimiche-enzimatiche che si verificano nel corpo, e quello meccanico “uguale per tutti”.

Ancora oggi, in alcune strutture, esistono degli orologi-campana o sirena che segnano a livello sonoro i tempi delle pause e dell’inizio/fine del lavoro.

Anche a scuola, la “campanella” assolve da decenni la stessa funzione per gli studenti.

Tuttavia, oggi il ritmo del lavoro diurno ha perso il suo primato di riferimento “assoluto”.

Accanto ad esso, troviamo altri riferimenti divenuti per noi altrettanto “assoluti”:

  • il tempo libero “coatto” vale a dire quello che non scegliamo libe- ramente ma lo viviamo come conseguenza della mancanza di lavoro e/o di una “flessibilità” imposta dal mercato o dalle necessità personali;
  • i tempi di spostamento in macchina urbani ed extraurbani;
  • i ritardi e le inefficienze del trasporto pubblico;
  • i tempi delle attese burocratiche, delle file agli sportelli pubblici e del traffico.
Il legame tra percezione del tempo e stati d’animo

 

Se da un lato è vero che abbiamo raggiunto un livello di benessere come mai era accaduto nella storia, è altrettanto vero che lo stiamo pagando salato.

Tuttavia, nonostante le nostre attuali condizioni di vita segnate da artificiosità e condizionamenti sociali, è indubbio che il nostro senso profondo del tempo dipenda ancora in gran parte dal ripetersi dei cicli stagionali e dal succedersi dei giorni solari.

Il “prima” ed il “dopo” nascono dal ieri e dal domani, dalla certezza che il sole sorgerà e tramonterà nuovamente e che le stagioni si susseguiranno con il ritmo di sempre.

In ogni caso, proprio per il fatto che disponiamo di queste “ biologiche certezze interiori”, la nostra ansia aumenta a dismisura nel momento in cui ci troviamo di fronte a situazioni innaturali che disturbano la nostra naturale percezione del tempo.

Mi riferisco, ad esempio, all’impatto emotivo destabilizzante generato da alcuni eventi come l’“effetto serra” con i suoi conseguenti sconvolgimenti climatici, il petrolio riversato in mare da petrolierecarrette, l’emissione di carbonio prodotto da milioni di vetture alimentate ancora a benzina, i selvaggi disboscamenti di foreste, la scriteriata cementificazione di vaste aree rurali, le discariche abusive, il problema irrisolto dell’eliminazione delle scorie industriali.

Oltre a questo triste elenco di mali contemporanei, le nostre ansie maggiori continuano a rimanere legate a quell’orologio naturale che ha segnato e continua a segnare il tempo umano.

La sotterranea intuizione che il tempo proceda in una sola direzione e che sia per noi limitato e soprattutto irreversibile, il sapere che, come dice Gianni Ferrario, “abbiamo soltanto una manciata di anni da vivere”, ci conduce alla prima importante riflessione che riguarda appunto il legame tra la percezione del tempo e gli stati d’animo:

Siamo noi a muoverci, il tempo è “immobile”, è un alveo che contiene tutto.

Per comprendere meglio il concetto di “immobilità” del tempo, immaginiamolo come se fosse lo specchio dove noi quotidianamente ci rimiriamo: con il trascorrere degli anni, sono la nostra espressione ed il nostro corpo a cambiare, non lo specchio!

Ecco il motivo per cui Jean Cocteau ha affermato ironicamente che: “lo specchio farebbe bene a riflettere prima di restituirci la nostra immagine!”.

Sempre a proposito di immagini speculari, prima di accedere al sontuoso ed incantevole “Salone degli Specchi” della settecentesca Villa Palagonia a Bagheria, in provincia di Palermo, il visitatore si imbatte in una scritta quanto mai evocativa riguardo il tema che stiamo trattando:

“Specchiati in quei cristalli e nell’istessa magnificenza singolar, contempla di fralezza mortal l’immagine espressa”.

Traducendo, i Principi di Palagonia ci invitano ad andare oltre le apparenze mentre ci specchiamo – lo specchio rimanda a simbologie di vanità e narcisismo – per cogliere la nostra vera essenza o natura.

5 Fragilità.

Siamo noi a passare, non il tempo!

Tale riflessione è tanto profonda quanto attuale: solo riuscendo a riconoscere le cose frivole ed effimere che potremo godere della loro “magnificenza singolar” in modo intelligente, vale a dire mantenendo quel sano distacco necessario a proteggere il nostro equilibrio interiore.

Il benessere coincide quindi anche con il benavere.

Accettare serenamente il fatto che noi siamo solo di “passaggio” su questa Terra e che quindi la principale caratteristica della condizione umana sia la sua transitorietà, presenta i seguenti vantaggi sul piano psicologico ed esistenziale:

possiamo avere più consapevolezza del valore di ogni giorno della nostra vita;

il nostro ego mantiene la sua dimensione naturale, semplice nella sua autenticità, dimostrando maturità e compattezza interiore;

tale maturità di pensiero sviluppa quella necessaria temperanza che protegge da pericolosi narcisismi e manie di grandezza che portano a sentirsi “immortali”, “superuomini” al di sopra di tutto e di tutti, “indispensabili al genere umano” o “unti dal signore”;

in un certo senso, il sentirsi provvisori genera eccitazione.

Sono convinto infatti che, se fossimo eterni, risulterebbe tutto molto più scontato e quindi noioso.

A proposito di queste riflessioni, mi piace ricordare che nel Medioevo esisteva la suggestiva concezione dell’“homo viator”, l’uomo viandante su questo mondo, in perenne cammino verso l’aldilà, attraverso percorsi di conoscenza, preghiera e comunione con Dio.

In tale prospettiva, anche oggi può tornare utile considerarci come dei “viaggiatori della vita” che esplorano “paesaggi e situazioni” con quella curiosità e voglia di conoscere che danno gusto al vivere.

In sintesi, la percezione del tempo si basa su questi confronti, consci o inconsci, tra il tempo della natura ed il tempo della nostra vita, una percezione che dipende da ciò che facciamo, dai nostri interessi, dagli stati d’animo durevoli o transitori, dall’essere protagonisti di un progetto o dal sentirci manovrati come pedine, dall’essere giovani o anziani.

Certamente i tempi della vita contemporanea, talmente lontani da quelli delle società agricole, fanno sì che la nostra percezione del tempo, il significato degli anni, mesi, ore e minuti, siano molto diversi rispetto al passato.

Tuttavia, l’ottica con cui guardiamo allo svolgersi della nostra vita, vale a dire al divenire, alla nostra finitezza, non è fondamentalmente mutata.

Oggi come ieri, possiamo avvertire l’ansia sottile che ci assale quando ignoriamo le conseguenze che può avere per noi un comportamento agito o quando pensiamo a ciò che ci riserverà il futuro.

Come scrive Henri Laborit, “L’esperienza, l’apprendimento ci hanno reso consapevoli che non tutti gli avvenimenti ci sono propizi.

Quando se ne verifica uno di cui non sappiamo ancora niente, di cui non abbia- mo nessuna esperienza precedente, esso è spesso fonte di angoscia, perché non sappiamo come comportarci efficacemente nei suoi confronti”.

Il timore o l’apprensione per il nuovo, per cambiamenti inaspettati o subiti possono innescare specifici stati d’animo che, se non vengono opportunamente governati, invadono la mente ed il corpo di “negatività”.

È per questo motivo che occorre dotare il nostro sistema emotivo e cognitivo di risorse in grado di accogliere i cambiamenti senza eccessive destabilizzazioni.

È opportuno che l’atteggiamento complessivo nei confronti degli eventi sia sempre fondato su una tranquilla compattezza interiore che ci porterà a dire a noi stessi e agli altri:

  • “È naturale che questa succeda”
  • “Fa parte del gioco della vita”
  • “Era prevedibile che accadesse”
  • “È la prima volta che mi capita una situazione del genere ma cerche-rò di capire come posso affrontarla”
  • “Cosa sta cercando di accadere? Mi interessa approfondire...”
  • “Forse questa coincidenza è un segnale per riflettere su...”.

Questi esempi di comunicazione dimostrano quella padronanza emotiva della situazione che in Oriente definiscono come l’ “imperturbabilità del saggio”.

“Quando tutti si affannano, il saggio si siede tranquillamente”.

Proverbio Zen

Naturalmente, il saggio si siede non perché vuole lavarsi le mani di quello che succede, ma semplicemente perché c’è bisogno di una dose massiccia di calma e sangue freddo per governare un’eventuale tempesta.

L’equivalente latino della citazione zen è “Nil admirari”, nulla mi meraviglia.

Questo significa poter dire a stessi: “Nella vita può succedere di tutto e per questo non mi meraviglio più di tanto di quello che accade”.

Anche in questo caso, la capacità di distacco non significa indifferenza.

Prendere atto tranquillamente di ciò che sta accadendo, qualsiasi cosa essa sia, è il primo passo per evitare reazioni impulsive, inopportune o lo sfogo cieco della rabbia.

Tale approccio mentale consente di contenere l’emotività connessa alle situazioni ed incanalare le energie ed i sentimenti generati, anche molto intensi, verso una direzione costruttiva.

“La felicità forse consiste soprattutto nel modo in cui si considera il tempo.

“Le persone che giudichiamo felici, di solito appaiono immerse nel presente.

“Le vediamo costantemente nella loro interezza: attente, allegre, aperte agli eventi, integrate nell’oggi e non turbate dal rimpianto per il passato o dall’ansia per il futuro.

“Ed è proprio così che danno un’impressione di stabilità e coerenza.

“Non cambiano molto da un giorno all’altro.

“Si ha quasi la sensazione che le loro vite abbiano una sorta di particolare eternità; che per loro il passato e il futuro, la nascita e la morte s’incontrino come un cerchio che si chiude”.

Robert Grudin

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