La Commedia e' conclusa

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La Commedia e' conclusa

La storia tramanda che, sia il grande uomo di teatro Molière, sia l’imperatore Marco Aurelio, abbiano pronunciato in punto di morte la frase “La Commedia è conclusa”.

L’immagine shakespeariana della vita come palcoscenico e dell’uomo come attore di se stesso ci accompagna ogni volta che pensiamo all’esistenza come ad una commedia o come ad una tragedia, a seconda dei casi.

Commedia o tragedia che sia, il sipario cala per tutti allo stesso modo.

Comunque vogliamo chiamare la morte – “La comare secca” (Pier Paolo Pasolini), “La visitatrice silenziosa” (Indro Montanelli), “Sora nostra morte corporale” (S. Francesco) “La livella” (Totò) – rappresentata con la falce e la clessidra brandite nelle sue scheletriche mani, non può che spaventare tutte le persone “normali”.

Come Nietzsche ci ricorda, “Il privilegio dei morti è quello di non morire più”.

Vale a dire: beati quelli che si sono già tolti il pensiero!

La morte è il lutto, la “perdita”, il cambiamento per eccellenza.

Tuttavia, ogni giorno viviamo le nostre piccole o grandi morti.

Cambiamenti subiti o imposti dagli eventi esterni, da altre persone o addirittura da noi stessi, nel lavoro, negli affetti, nel privato.

La capacità di governare questi tipi di cambiamenti è strettamente legata alla capacità di affrontare “le fasi del lutto” che ogni situazione di perdita forzata comporta.

A questo proposito, è utile ricordare il modello elaborato da Elisabeth Kubler-Ross in cui possiamo prendere atto di un ciclo tipico di emozioni-reazioni e lavorarci da un punto di vista

psicologico.

La Kubler-Ross ha evidenziato cinque fasi ricorrenti, vissute dalle persone in condizioni di lutto, in una successione logica e cronologica:

  1. la rabbia,
  1. il rifiuto,
  1. la negoziazione,
  1. la tristezza (o depressione),
  1. l’accettazione.

Tuttavia, tale modello può essere implementato o reinterpretato al fine di creare uno strumento di comprensione che risponda alla domanda cruciale: “Cosa pensare/fare concretamente quando ci accadono eventi drammatici?”.

Il senso di questo capitolo dedicato all’incontro con la morte si sostanzia nel fatto che se io la riconosco/accetto come un evento naturale predisporrò il mio animo ad accogliere più serenamente quello che la natura ci riserva come destino.

La biologia, ad esempio, ci parla di apoptosi.

Il termine, coniato nel 1972 da John F. Kerr, Andrei H. Willie e A.R. Curie a partire dal termine greco che indica la caduta delle foglie e dei petali dei fiori, indica una forma di morte cellulare programmata.

I processi apoptici si distinguono rispetto alla necrosi cellulare perché, in condizioni normali, contribuiscono al mantenimento del numero di cellule di un sistema ed alla sua omeostasi.

Al contrario della necrosi, che è una forma di morte cellulare risultante da un acuto stress o trauma cellulare, l’apoptosi è portata avanti in modo ordinato e regolato, richiede consumo di energia e generalmente porta ad un vantaggio durante il ciclo vitale dell’organismo.

Qualcuno la definisce anche morte altruista o morte pulita.

Durante il suo sviluppo, ad esempio, l’embrione umano presenta gli abbozzi di mani e piedi “palmati”: affinché le dita si differenzino, è necessario che le cellule che costituiscono le membrane interdigitali muoiano (cfr. www.wikipedia.org).

Come esseri umani facenti parte della natura siamo soggetti ai processi apoptici esattamente come le foglie che cadono in autunno o le cellule che devono morire per far posto a nuove cellule.

Il ciclo nascita- morte-rinascita è una costante dell’universo.

Tutto questo non significa che non proverò rabbia e/o profonda tristezza di fronte alla morte ma il fatto di avere una visione della vita più saggia e matura, più consapevole e se volete, più biologica, mi consentirà di attutire l’impatto emotivo della situazione e quindi incanalare/far defluire le emozioni all’esterno nel modo meno distruttivo possibile e anche più rapido.

Tra l’altro, chi è dotato e fa uso della risorsa dell’umorismo, potenzia ulteriormente la sua capacità di affrontare le perdite, anche quelle molto gravi.

“Ridendo della morte, tentiamo di dimostrare a noi stessi di non temerla.

Irrazionale?

Forse, ma anche indicativo di uno dei maggiori pregi umani: la volontà di affrontare attivamente quanto minaccia la propria sicurezza.

Possiamo quindi vedere l’umorismo... come una sfida alle paure della vita, sfide che ha vari significati.

Per esempio, col solo menzionare ‘la cosa’, la persona indica che si sente capace di farvi fronte.

Ancora, essa non la giudica neppure tanto paurosa; anzi, ci ride sopra.

Inoltre, l’umorismo è la prova che essa si sente padrona della situazione.

Ci piace l’individuo in grado di ridere in faccia alla morte.

  • Di fronte al plotone d’esecuzione, al condannato viene chiesto se vuole fumare l’ultima sigaretta. “No, grazie – risponde – sto tentando di smettere”.
  • Non è che abbia paura della morte. È solo che non voglio essere là quando lei arriva (Woody Allen)” 5.

Può essere dunque utile rielaborare le indicazioni della Kubler-Ross trasformando il suo modello fenomenologico in uno schema che diventi per noi una risorsa attiva ed applicativa per affrontare in particolare i lutti legati alle perdite affettive.

Le seguenti fasi sono esposte in una successione logica e cronologica ma non rigida.

Quello che accade nella mente e nel cuore di una persona che sta affrontando una perdita è così ricco di sfumature emotive, psicologiche e relazionali che nessun schema o modello potrà mai essere esaustivo di ciò che si prova e di quello che si può fare per intervenire.

In ogni caso, seguire queste indicazioni può costituire un valido supporto.

  1. Accettazione – Ho costruito una visione della vita tale per cui accetto serenamente tutto quello che non può dipendere direttamente da me e che comunque fa parte del “gioco” dell’Esistenza.
  1. Riconoscere e manifestare le emozioni – Una volta accaduto il fatto, attraverso la mia consapevolezza e la mia capacità di governo interiore, riconoscerò come mi sento, esprimerò i miei sentimenti ed i miei vissuti emotivi nel modo più costruttivo possibile.
    Consigliamo, a questo proposito, di utilizzare – con la supervisione di un terapeuta competente ed accreditato – le tecniche di bioenergetica proposte da Alexander Lowen 6 .
  1. Cercare eventuali supporti/risorse all’esterno – Persone, Gruppi, Libri, Informazioni – per imprimere maggior forza all’azione di risanamento interiore.
  1. Trasformare la perdita in una importante esperienza di crescita personale, di maturazione e solidità interiore – sviluppare saggezza di vita.
  1. Aiutare eventuali persone coinvolte nel lutto ed in difficoltà nell’affrontare emotivamente l’accaduto.

Esistono, tuttavia, alcune situazioni in cui il dolore è immenso, inconsolabile,estremo.

Ad esempio, il dolore di un genitore per la morte di un figlio o quello di una persona per la scomparsa di un compagno/a di vita.

In questi casi, la Medicina e la Psicologia sperimentano tutta la loro limitatezza.

A volte, il trauma subito è così scioccante che, nonostante interventi di supporto e di contenimento, la persona “muore” – psicologicamente o addirittura letteralmente – insieme al suo caro.

La Commedia e' conclusa

Ecco il motivo per cui, la saggezza orientale individua la “vera prosperità” della vita nella morte che arriva in successione naturale.

Leggiamo questa storia, tanto semplice quanto istruttiva, tratta da 101 Storie Zen (Adelphi).

“Un uomo ricco chiese ad un maestro zen di scrivergli qualcosa per la continua prosperità della sua famiglia, così che si potesse custodirla come un tesoro di generazione in generazione.

Il maestro si fece dare un grande foglio di carta e scrisse:

‘Muore il padre, muore il figlio, muore il nipote’.

“L’uomo ricco andò in collera.

“‘Io ti avevo chiesto di scrivere qualcosa per la felicità della mia famiglia! Perché mi fai uno scherzo del genere?’.

“‘Non sto scherzando affatto – spiegò il maestro.

“Se prima che tu muoia dovesse morire tuo figlio, per te sarebbe un grande dolore.

“Se tuo nipote morisse prima di tuo figlio, ne avreste entrambi il cuore spezzato.

“Se la tua famiglia, di generazione in generazione, muore nell’ordine che ho detto, sarà il corso naturale della vita. “Questa è la vera prosperità”.

Dunque, se proprio dobbiamo incontrare la morte, il sentito auspicio per tutti è che essa si presenti a noi “dolce”, “silenziosa”, “discreta”, come evocato nella straordinaria poesia di Vincenzo Cardarelli dedicata appunto “Alla morte”:

Morire ,

non essere aggrediti dalla morte. Morire persuasi

che un siffatto viaggio sia il migliore. E in quell’ultimo istante essere allegri come quando si contano i minuti dell’orologio della stazione

e ognuno vale un secolo.

Poi che la morte è la sposa fedele

che subentra all’amante traditrice,

non vogliamo riceverla da intrusa, né fuggire con lei.

Troppe volte partimmo

senza commiato!

Sul punto di varcare

in un attimo il tempo,

quando pur la memoria

di noi s’involerà,

lasciaci, o Morte, dire al mondo addio, concedici ancora un indugio. L’immane passo non sia precipitoso. Al pensier della morte repentina

il sangue mi si gela.

Morte, non mi ghermire,

ma da lontano annunciati

e da amica mi prendi

come l’estrema delle mie abitudini.

Ogni volta che leggo questa lirica, così intensa e struggente, rimango sorpreso per la sua capacità di farmi riflettere sulla morte in modo lucido e pacato, di mettermi quasi nelle condizioni di poter “dialogare con lei” in una conversazione salottiera, provando la rassicurante sensazione o la dolce illusione di “negoziare” il modo in cui “lasciarmi prendere”.

A voi che effetto fa? Quali sono le vostre riflessioni?

Se è vero che l’atto finale delle nostre “Commedie” è uguale per tutti, come del resto l’atto iniziale della nascita, è anche vero che tutto quello che viene rappresentato nel mezzo può essere unico, originale, vissuto all’insegna di una stimolante autenticità.

Credo sia importante, in ogni ambito della vita, avere sempre ben chiara la direzione delle cose che succedono o che vogliamo che succedano.

È importante sapere dove vogliamo andare, altrimenti diventiamo come quel clandestino che salta su un treno in corsa senza conoscere né la direzione, né la sua destinazione.

Come i tedofori portano correndo la fiaccola delle olimpiadi, così ognuno di noi può portare la torcia del proprio modo di essere nel mondo.

Ecco la vera gioia della vita: consumarsi per uno scopo che uno riconosce come potente, essere una forza della natura e non un piccolo insofferente ammasso di lamenti contro un mondo
che non rende felici.

Voglio consumarmi fino alla morte perché più sarà stato intenso il mio lavoro, più a lungo avrò vissuto.

Voglio vivere per il gusto di vivere.

La Vita non è per me
una candela corta;
è, invece, come una splendida torcia
che al momento posso tenere alta e
che voglio che continui ad ardere il più possibile prima di passarla alle future generazioni

George Bernard Shaw

5 Mario Farnè, “Ridere per star bene”, in Psicologia Contemporanea, luglio-agosto 1990, n. 100, Giunti Firenze.

6 Nei libri Il piacere, Il tradimento del corpo, Paura di vivere, tutti edizioni Astrolabio, Roma.

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