Stare a maggese

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Stare a maggese

Il termine “maggese” – derivante dal mese di maggio – indica una pratica agricola che viene svolta fin dall’antichità in questo mese.

Consiste nel fare una serie di lavorazioni su un terreno povero, tenuto a riposo, con la finalità di prepararlo ad una successiva coltivazione e soprattutto renderlo pronto per la “rotazione delle colture”.

È un terreno ben arato, lavorato con l’erpice – un attrezzo costituito da lame, denti o dischi su telaio – ma lasciato non seminato, a “riposare” per una anno intero o più, senza appunto renderlo produttivo.

Passando dalla metafora rurale alla Psicologia, lo stare o il mettersi a maggese è una capacità fondamentale che è utile acquisire per il governo efficace di noi stessi e della nostra emotività, in occasione di specifici eventi e/o periodi della nostra vita.

La nostra mente, ma in questo caso soprattutto il nostro cuore inteso in senso affettivo/sentimentale, sono infatti paragonabili ad un campo agricolo: non possono subire lo “sfruttamento intensivo” delle risorse ed essere sempre in tensione “produttiva”.

Il rischio è che il “terreno” si inaridisca al punto tale da diventare di fatto improduttivo.

È necessario, oltre che opportuno, equilibrare saggiamente il momento della “coltivazione” con quello del “riposo attivo”, ossia quello di un tempo/spazio personale in cui ci si rigenera, ci si prende cura di sé, ci si ascolta in profondità e si allentano o annullano del tutto gli intensi ritmi della produzione vissuti nelle attività quotidiane e nelle relazioni con gli altri.

Stare a maggese

Silvio Morganti, nel suo originale libro Le voci del silenzio (Editori Riuniti, Roma, 1994), descrive lo stare a maggese nel modo seguente: “Molte volte ci può capitare di registrare consciamente una pacata riluttanza ad applicarci a qualcosa che avremmo il dovere di fare.

Ci rimproveriamo con severità, ma non riusciamo a costringere la nostra capacità esecutiva al dovere.

Sentiamo che abbiamo bisogno di restare un po’ in ozio.

Il rimanere a maggese è caratterizzato anche da un altro importante aspetto: non lo si può raggiungere nell’isolamento totale e nella deprivazione.

Bisogna acquisire la capacità di essere soli in presenza di qualcuno che ci stia discretamente vicino.

Questo garantisce che il processo psichico rimanga sotto controllo e che così non si trasformi in processo morboso, introspettivo e penosamente tetro”.

Il contadino, anche se non semina, vigila sempre sullo stato del suo campo.

Lo stare a maggese è “sospendere” per un periodo l’attività della nostra mente ma anche del nostro cuore rispetto ad un “oggetto specifico” – una relazione, un amore, il lavoro – per il tempo necessario che serve loro a rigenerarsi.

Possiamo assimilare lo stato di maggese a quello che i Romani chiamavano “Otium” – il ritiro nello spazio privato – in contrapposizione al “Negotium” che indicava invece l’insieme delle attività di scambio e di comunicazione svolte nel Foro o nella pubblica piazza.

L’“Otium” non va confuso con l’“Otiositas” che risponde all’accezione negativa dell’oziare secondo quanto S. Benedetto ha menzionato nella sua Regola.

“C’è un tempo per abbracciare ed un tempo per astenersi dagli abbracci”, troviamo scritto nella Bibbia.

Ecco il motivo fondamentale per cui la strategia de “Il chiodo scaccia chiodo” in amore è molto rischiosa.

Dopo aver vissuto una relazione od una storia importante, soprattutto quando è “finita male”, bisogna lasciare al “terreno dei sentimenti” un tempo per riposarsi e riprendersi, altrimenti lo “sfruttamento intensivo” può anche renderlo “sterile”, vale a dire incapace di generare rapporti soddisfacenti e frutti amorosi saporiti in un tempo successivo.

È necessario una buona dose di coraggio e di equilibrio interiore per astenersi ma il saper aspettare è ripagato dal fatto che il futuro incontro sarà ancora più emozionante e significativo.

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