Il colloquio manageriale in azienda

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Il colloquio manageriale per la gestione e lo sviluppo delle persone in azienda

Di Stefano Greco

Se è vero che comunicare è diverso da parlare, è altrettanto vero che il colloquio manageriale è diverso da una conversazione nei corridoi o davanti alla macchinetta del caffè.

In questo articolo approfondiremo le diverse tipologie di colloquio manageriale ed il suo valore aggiunto come strumento di gestione e sviluppo delle persone nei contesti organizzativi.

Uno strumento di cui non sempre i manager ne conoscono le precise modalità di funzionamento...

Per colloquio manageriale intendiamo ogni situazione di comunicazione strutturata, “face to face”, i cui attori sono un responsabile organizzativo – selezionatore/manager/coach – ed una persona – candidato/collaboratore/coachee - che agiscono in un contesto di interdipendenza con degli obiettivi aziendali da raggiungere. In alcuni casi, tali obiettivi possono non coincidere con quelli individuali e necessitano pertanto di negoziazione.

La condizione “faccia a faccia” è indispensabile per caratterizzare la situazione comunicativa come “colloquio interpersonale” e garantirne quindi la massima efficacia, nonché la necessaria riservatezza.

L’utilizzo del telefono e/o della webcam, è consigliato solo a supporto/integrazione di un avvenuto colloquio personale.

Ragionare quindi di “colloquio manageriale” ci proietta in una dimensione gestionale in cui il processo comunicativo va curato in ogni minimo dettaglio.

Questo significa concretamente che il manager deve aver chiari i seguenti cinque punti:

  1. la tipologia di colloquio;
  2. chi è l’interlocutore;
  3. quali sono gli obiettivi dell’incontro;
  4. qual è lo scenario/contesto – ambiente fisico e psicologico – nel quale avviene il colloquio;
  5. le azioni di follow up – piani d’azione e monitoraggio risultati.

Intervista o colloquio?

Prima di procedere con l’approfondimento dei contenuti specifici, desidero precisare che la letteratura manageriale degli anni Novanta (1) distingueva tra intervista e colloquio in base alle diverse motivazioni degli interlocutori.

Se, ad esempio, è il collaboratore a richiedere un incontro di motivazione/orientamento con il responsabile allora è più opportuno parlare di colloquio e non di intervista; oppure, i termini colloquio-intervista venivano unificati specificando di volta in volta i significati psicologici ed operativi nei diversi contesti applicativi.

Credo che oggi, per semplificarci la vita, convenga utilizzare soltanto il termine “colloquio” per indicare le molteplici situazioni di comunicazione strutturata, orientate al raggiungimento di un obiettivo manageriale, lasciando la parola intervista alle ricerche di mercato ed al giornalismo.

Tra le tipologie di colloquio manageriale più utilizzate attualmente nelle organizzazioni possiamo annoverare:

  • il colloquio di selezione;
  • il colloquio di valutazione;
  • il colloquio di motivazione ed orientamento;
  • il colloquio di delega;
  • il colloquio di coaching.

Il colloquio di selezione

Oggi molti concordano sul fatto che la competitività di un’impresa è legata principalmente alla qualità delle persone che la compongono ed in particolare a quei “talenti” che producono innovazione e funzionano da gancio di traino psicologico ed operativo nei processi di sviluppo dell’azienda stessa.

Il colloquio di selezione, in questi ultimi anni, ha subito una vera e propria mutazione genetica.

Il manager o il consulente esterno hanno l’obiettivo di cercare e attrarre talenti, “vendergli” l’opportunità di lavorare in quella organizzazione e negoziare un “piano di mantenimento nel tempo”, evitando accuratamente la fuga della persona verso altri lidi.

Mentre una volta tale approccio era utilizzato solo per figure di alto o altissimo profilo già navigate, oggi il fatto straordinario è che vale per gli stagisti neolaureati o neomasterizzati!

In questa fase di mercato, un/una stagista arriva a sostenere anche fino a tre colloqui di selezione per essere “inserito/a” in una funzione chiave dell’organizzazione e la persona dovrà anche darsi molto da fare per strappare un contratto inizialmente a tempo determinato.

Esagerato? Molto probabilmente sì, ma è un chiaro segno dei tempi: ogni colloquio di selezione presuppone in chi lo conduce abilità di talent scouting a tutti i livelli.

Anche le tradizionali modalità di reclutamento si rivelano sempre più inadeguate per affrontare le attuali sfide competitive.

Come le società sportive di calcio dispongono di “scuole-vivaio”, dove osservatori opportunamente addestrati vanno alla ricerca di talenti, così oggi anche le aziende devono attrezzarsi ad individuare o addirittura creare contesti nei quali andare a reperire i loro futuri “giocatori eccellenti”.

Scuole pubbliche e private, centri di formazione professionale, università rappresentano i luoghi elettivi dove poter cercare e scoprire talenti.

Aspettare l’invio di un curriculum spontaneo o sollecitato da un’inserzione fa parte ormai della preistoria.

Il futuro appartiene a chi riesce ad individuare talenti prima degli altri, attrarli nella propria orbita e a fidelizzarli il più a lungo possibile.

Il colloquio di valutazione

Il colloquio di valutazione può avere due funzioni:

  • valutare prestazioni e risultati;
  • valutare il potenziale di una persona.

L’assunto base è che ogni tipo di valutazione rappresenta sempre un momento molto delicato della gestione delle persone in quanto, da un lato, bisogna evitare che venga vissuto come un freddo ed ansiogeno atto formale – “spiegare le note di qualifica od illustrare un bilancio di competenze” – e dall’altro valorizzarlo come opportunità insostituibile di sviluppo umano e professionale.

Tra l’altro, una delle maggiori aspettative che le persone nutrono nei confronti del lavoro che svolgono è: “Come sto andando? Ci sarà qualcuno che me lo dirà?”.
Il colloquio di valutazione della prestazione crea valore aggiunto quando:

  • è concordato preventivamente;
  • viene svolto in un’atmosfera rilassata e trasparente;
  • è focalizzato su fatti, numeri, comportamenti agiti;
  • è specifico riguardo il rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse impiegate (efficienza) e
    tra i risultati conseguiti ed i risultati attesi (efficacia);
  • sfocia in un piano di azione mirato all’implementazione dei punti forti della persona e all’attuazione di azioni correttive rispetto ai punti deboli.
  • Valutare il potenziale di una persona significa invece attuare modalità di indagine e di comunicazione differenti rispetto alla valutazione della prestazione.

La valutazione del potenziale

Partiamo da una definizione di potenziale: “Insieme delle capacità di un individuo non ancora espresse ed utilizzate in quanto non richieste dal ruolo attualmente ricoperto”.

Il potenziale è dunque diverso dalla prestazione. Mentre la prestazione è predittiva di se stessa rispetto ad un miglioramento atteso o auspicabile – esempio: “Il venditore Greco in questo anno ha fatturato 100.000 euro.

Una prestazione soddisfacente.

Il colloquio manageriale per la gestione e lo sviluppo delle persone in azienda

 

Possiamo ragionevolmente aspettarci che il prossimo anno Greco fatturi a partire da 100.000 euro” – il potenziale, se non viene esplorato attraverso colloqui e specifiche metodologie, rimane sconosciuto e quindi non è predittivo di una performance riferita ad un ruolo diverso.

Rimanendo sempre in tema di vendita, non è affatto detto che il venditore che fattura di più possa essere automaticamente il miglior capo dei venditori.

Anzi, la realtà evidenzia come spesso un bravo venditore si dimostri un pessimo gestore di altri venditori.

In questo caso, valutare il potenziale significa prendere in considerazione competenze e dimensioni professionali molto diverse da quelle fino ad ora utilizzate nel lavoro di vendita come la leadership, l’abilità di motivare le persone, la capacità di coordinare una rete di vendita sul territorio.

Uno degli errori più deleteri e purtroppo diffusi nelle organizzazioni è proprio quello di cambiare ruolo alle persone senza effettuare prima una valutazione del potenziale.

Nella migliore delle ipotesi, la direzione si basa solo sulle performance ottenute nella precedente posizione. Senza una adeguata valutazione del potenziale, un bravo operatore di call center può rivelarsi un disastro se inserito nel ruolo di supervisor o team leader.

Lo stesso vale per un manager che fino ad ora si è occupato degli acquisti in modo eccellente e poi viene allocato nella funzione di responsabile della formazione oppure il contrario. Inoltre, se una persona è inadatta a ricoprire una determinata posizione, la formazione difficilmente potrà compiere il miracolo di compensare tale inadeguatezza ed innescherà sentimenti di ostilità e frustrazione ancora più forti.

Il colloquio di motivazione ed orientamento

Il colloquio di motivazione ed orientamento assolve la funzione di comprendere, nello specifico, quali sono le motivazioni o le demotivazioni legate al lavoro che una persona sta svolgendo, anche rispetto al team di appartenenza, e soprattutto qual è il suo progetto professionale o di carriera.

Le motivazioni, così come gli interessi personali, mutano nel tempo, sono “fluttuanti”, per cui è sempre molto utile per i manager sincerarsi dello “stato motivazionale” dei propri collaboratori attraverso colloqui mirati a:

  • rilevare il grado di soddisfazione lavorativa delle persone;
  • prevenire frustrazioni e disaffezioni;
  • -  rilevare esigenze di crescita e sviluppo professionale;
  • -  dare un feedback preciso sulle opportunità di carriera in azienda o più in generale nel mercato.

Il colloquio di delega

Il colloquio di delega è un tipo di comunicazione strutturata finalizzata ad aumentare le “quote” di responsabilità e discrezionalità dei propri collaboratori nonché i livelli di competenza professionale.

Delegare non significa semplicemente assegnare un compito operativo ma vuol dire affidare una parte di processo organizzativo ad una persona che ne diventa direttamente responsabile nel “bene” e nel “male”.

Prima del colloquio di delega, il manager deve aver compreso esattamente “cosa delegare a chi, come valutare i risultati, entro quali tempi”.

Una volta stabiliti gli indicatori di efficacia, i passi che il manager seguirà nel colloquio saranno:

  • spiegare esattamente cosa si aspetta che il collaboratore faccia (non il come!);
  • indicare nello specifico le risorse che il collaboratore può o non può utilizzare – mezzi,
    strumenti, altri supporti;
  • specificare eventuali regole da rispettare – sicurezza, procedure;
  • condividere gli indicatori di efficacia per la valutazione del risultato finale;
  • definire il termine ultimo per la consegna del lavoro e gli eventuali step intermedi di
    monitoraggio dello stato avanzamento lavori;
  • incoraggiare il miglior risultato ed offrire disponibilità per ogni esigenza di supporto “work
    in progress”.

Il colloquio di coaching

Riguardo il coaching in azienda, sono convinto che l’unico vero rapporto coach-coachee sia quello tra un capo ed i suoi collaboratori che condividono la quotidianità di lavoro, così come un allenatore sportivo fa con i suoi atleti 2.

Oggi il business coaching è vissuto sostanzialmente come una serie di interventi di coach professionisti esterni o interni all’organizzazione, focalizzati su singoli manager o su gruppi di persone con l’obiettivo di sviluppare specifiche competenze.

In realtà ogni responsabile, a tutti i livelli, dovrebbe essere formato sulle tecniche di coaching e messo quindi nelle condizioni di svolgere colloqui di questo tipo con i propri collaboratori.

Prima di approfondire le modalità operative per svolgere un efficace colloquio di coaching, è utile ricordare che tale modalità di intervento viene messa in atto perché:

  • il management ha rilevato la necessità e/o l’opportunità di miglioramenti sul piano delle prestazioni professionali e del conseguente sviluppo di competenze;
  • il Management ha espresso l’esigenza di facilitare cambiamenti sul piano degli atteggiamenti e degli aspetti emotivi di alcune persone o di gruppi;
  • un collaboratore e/o il gruppo di lavoro hanno manifestato criticità che influiscono negativamente sulla performance o addirittura impediscono il raggiungimento del risultato atteso.

Rispetto a tali linee-guida, il colloquio di coaching rappresenta il momento elettivo nel quale operativamente capo e collaboratore, od il suo team, si confrontano su fatti e comportamenti specifici e sulle azioni da mettere in atto per raggiungere gli obiettivi comuni.

L’abilità del manager-coach, come un vero un vero e proprio allenatore sportivo, è quella di individuare in ogni situazione la sottile linea rossa che divide il secco rimprovero dalla motivazione a far meglio, la correzione dell’errore dall’apprezzamento per la cosa fatta bene, la richiesta di ciò che ho bisogno come capo per raggiungere il risultato da quello che puoi/vuoi dare come collaboratore/atleta.

Nello schema in tabella 1 possiamo vedere riassunte le fasi salienti di un colloquio di coaching in azienda.

Il colloquio manageriale per la gestione e lo sviluppo delle persone in azienda

Figura 1 – Le fasi salienti di un colloquio di coaching

Una conclusione

“Un intervistatore dovrebbe usare la propria esperienza per comprendere gli altri, anziché cercarvi qualche eco della propria vita. In senso più lato, il buon senso ci dice che quando gli altri sono trattati come specchio per noi stessi non si riconosce loro un’esistenza reale; la loro differenza è un fatto elementare che andrebbe rispettato.

La lezione può essere: se li rispettate, non proiettate voi stessi su di loro” 3.

Così Richard Sennett, nel suo ultimo saggio, evidenzia la regola base che possiamo considerare trasversale ad ogni colloquio manageriale approfondito in questo articolo: il manager deve evitare di cercare dei cloni di se stesso ed aspettarsi collaboratori che agiscano a sua immagine e somiglianza.

Oggi la parola d’ordine nelle organizzazioni è “Diversity & Inclusion Leadership”, ovvero la gestione della diversità umana – sotto tutti i punti di vista – come ricchezza da includere e valorizzare negli ambienti di lavoro e non solo.

Il “Sono come tu mi vuoi” di Pirandello si trasforma in “Diventa come tu vuoi, insieme con noi”.

1 Cfr. Andrea Castiello D’Antonio, Interviste e colloqui in azienda, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994.

2 Cfr. Stefano Greco, “La formazione come palestra della professionalità. Guida pratica all’utilizzo delle attività formative per le Persone e le Organizzazioni”, Franco Angeli, Milano, 2007

3 Richard Sennett, “Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali”, Il Mulino, Bologna, 2004
Tratto da L’informatore INAZ 16/2007

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