Obiettivo serenita'

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Obiettivo serenita'

“Il nostro è un mondo di chiasso, confusione e traffico senza precedenti.

Ma anche voi siete nati dal sole, e viaggiate verso di lui.

Questo è un invito a respirare l'aria pura, a percepire il fuoco al centro del vostro cuore e a gustare la piena fioritura del vostro spirito”.

Michael J. Gelb

Il leader ridens è una persona fondamentalmente serena, in armonia con se stessa ed in pace con il mondo.

A prescindere dal contesto manageriale, credo che la serenità sia un obiettivo al quale tutti noi possiamo/dobbiamo tendere nella quotidianità.

A differenza invece della felicità che va considerato un dono elargito arbitrariamente dalla vita solo per alcuni ineffabili istanti.

Secondo Roberto Gervaso, “Se la felicità oltre che rara è così breve e caduca, la serenità, ugualmente non scevra di limitazioni e decurtazioni, non ci è negata, anche per lunghi periodi.

Dipende molto da noi cercarla, costruirla, difenderla”.

Per comprendere la sostanziale differenza, possiamo utilizzare la seguente analogia: la serenità sta alla felicità come la luce artificiale a quella solare.

La prima illumina, la seconda abbaglia. Ognuno è artefice e quindi responsabile, della gestione e della manutenzione dei propri stati d’animo, della visione della vita e dell’orientamento al benessere.

Umorismo e serenità creano un circolo virtuoso, un’osmosi vitale e creativa, da cui la salute fisica e mentale può trarre un incredibile giovamento.

Oggi, nei paesi industrializzati, le cause dello stress non sono più tanto di natura biologica quanto piuttosto di origine psicologica e sociale.

Questo significa che ognuno di noi è chiamato a costruire/rafforzare il personale “sistema immunitario psicologico” inteso come un vero e proprio castello interiore posto a protezione dell’equilibrio e della stabilità emotiva, uniche garanzie di serenità.

Nella vita di tutti i giorni, essere sereni equivale a vivere in uno stato mentale prevalentemente “positivo”, a governare un ragionevole equilibrio di emozioni piacevoli e spiacevoli, a distillare saggezza dalle esperienze, a cercare il piacere nelle cose, provando la netta sensazione che la propria esistenza ha un senso e sta procedendo verso obiettivi soddisfacenti.

Possiamo dunque “apprendere” la serenità , mentre nei confronti della felicità conviene probabilmente seguire l’indicazione di Jerry Lewis: “La felicità non esiste.

Di conseguenza non ci resta che provare ad essere felici senza”. Come dire: chi insegue le chimere si espone a pericolose delusioni, ma anche chi crede che i soldi facciano la felicità non è esente dal rischio frustrazione.

“La gente si è resa conto che il nostro tenore di vita è sensibilmente migliorato, ma la nostra vita interiore no”, sostiene Daniel Nettle, psicologo all’Università di Newcastle (Australia).

L’affermazione del ricercatore australiano ci riporta all’attuale considerazione che la serenità è un obiettivo che pochi riescono a raggiungere.

Molti la scambiano con il possesso di beni materiali ma da un punto di vista psicologico, “Una volta soddisfatti i bisogni fondamentali, l’aumento della ricchezza non incrementa la felicità in modo proporzionale”.

Oltre la soglia di un ragionevole benessere, la disponibilità in eccesso di beni materiali sembra fare più male che bene agli umori e all’equilibrio delle persone.

Umoristicamente parlando, nelle classifiche delle nazioni converrebbe integrare le analisi sul PIL con i parametri di un ipotetico “FIL” – Felicità Interna Lorda – ossia il valore complessivo prodotto dalla qualità delle relazioni interpersonali, dai valori legati alla famiglia e agli affetti, dalla qualità dei servizi, dalla fiducia nelle istituzioni, al netto delle preoccupazioni naturali della vita e di quelle indotte dalle inefficienze dei sistemi sociali.

La serenità proviene da un sé ricco di risorse personali e dal senso di progettualità che riusciamo a proiettare sulla nostra vita.

Il leader ridens diventa un innovatore della cultura organizzativa nel momento in cui cambia i parametri tradizionali con i quali “misura” il benessere dei suoi collaboratori.

Obiettivo serenita'

Tanto per esemplificare, i manager ormai sanno bene che un premio economico o un aumento di stipendio non risolve completamente il “problema” della motivazione delle persone; è certamente un aiuto ma, ottenuto il premio o l’aumento, dopo qualche mese, se le altre condizioni psicologiche e gestionali non vengono curate a dovere, la demotivazione si ripresenta più forte di prima.

Non è facile oggi attuare cambiamenti di questo tipo in un contesto in cui la cultura dominante è quella del risultato a brevissimo.

In aggiunta, stiamo assistendo alla scomparsa delle grandi scuole di pensiero che avevano il pregio di qualificare la Formazione come importante momento culturale, in cui il pensiero poteva, per un tempo ben delineato, svincolarsi dall’azione confluendo nel piacere di uno scambio dalle mere finalità intellettuali.

Oggi lo spazio di espressione della leadership è l’incertezza e l’unico fattore stabilizzante nei contesti organizzativi è proprio un capo che interpreta efficacemente il suo ruolo.

L’umorismo come risorsa e chiave interpretativa della realtà costituisce un potente antidoto contro chi instilla la cultura del declino e della paura.

“La paura è una brutta bestia.

Da secoli viene usata per guidare popoli, organizzazioni e singoli ad accettare acriticamente decisioni, svolte, repressioni.

Da sempre, quando la paura prende il posto della fiducia, si assiste ad una recessione culturale, umana ed economica.

La paura si basa o sulla ignoranza più o meno consapevole di uno stato di cose oppure sulla incapacità di comprendere la complessità di un fenomeno, di una situazione.

In questi casi l'incertezza raggiunge il suo apice e quando, come nel nostro caso, questa metta minimamente a repentaglio uno stato di cose acquisito e che ritenevamo, a torto, immutevole ecco esplodere il panico.

Posso solo augurarmi ed augurare che tutti questi anni di benessere non ci abbiamo riempito anche il cervello di grassi polinsaturi e spot televisivi.

La paura mortifica e avvilisce, ma è un'illusione.

La paura è un'ombra cinese che noi stessi proiettiamo.

Nasce da una pregiudiziale: quella di non essere più capaci di affrontare sfide, cambi di marcia, capriole e tuffi.

La paura muore con le decisioni.

La paura muore con la conoscenza, l'impegno e l'approfondimento.

La paura muore con l'azione.

La paura muore quando si accetta che nulla ci è garantito per natura.

Allora "cambiamo gioco, tutti in avanti".

Come diceva il prete giovane alle interminabili partite di calcio del dopo dottrina quando ero ragazzo.

L'incertezza è un dato di fatto non una variabile.

E' data. Non cesserà, era solo assopita.

E' tornata con mille buchi ma anche con mille vette.

Caderci dentro o scalarle non è affare suo ma nostro.

Solo nostro.

E dovremmo tenere a mente quello che diceva Esteè Lauder "I libri e la scuola fanno sembrare che tutto sia fisso e stabilito. Se fai questo ottieni questo. Beh, le cose non stanno così".

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