L’organizzazione davvero eccellente

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L’organizzazione davvero eccellente

La ricerca dell’eccellenza organizzativa parte da lontano.

Era il 1982 quando Tom Peters e Robert H. Waterman Jr. pubblicarono il loro best seller “In Search of Excellence”, destinato ad essere un vero e proprio apripista della letteratura manageriale mondiale.

Gli autori raccolsero le best practices delle migliori aziende allora esistenti e sintetizzarono, in questo modo, cosa bisogna fare e come per diventare un’azienda top performer.

Questo approccio dell’individuare il cosa fare ed il come farlo ha letteralmente segnato un’epoca.

Oggi, questo “Know how” è ancora necessario ma non più sufficiente dal momento che l’organizzazione ha bisogno di apprendere soprattutto quello che deve evitare di fare, ovvero deve saper prevenire tutta una serie di errori manageriali che ne possono compromettere significativamente la performance e la reputazione.

Stiamo vivendo, infatti, nell’Era della “Reputation Economy”, ovvero in un tempo in cui le aziende sono in competizione tra loro non soltanto sull’offerta di prodotti e servizi ma sempre di più sul piano della “Brand Identity”.

Addirittura, anche gli Stati hanno perso la loro novecentesca caratteristica politica di “Stati-Nazione” per collocarsi nella più commerciale prospettiva di “Stati-Brand”.

Per tutti, quindi, la partita si gioca su un campo di marketing dove chi stabilisce le regole da seguire sono i Clienti – Acquirenti e/o Investitori – che decidono in base alle loro “percezioni di reputazione del fornitore”, azienda o nazione che sia.

Il risultato di questo processo comporta il fatto che raggiungere l’eccellenza organizzativa non è più un optional ma un “obbligo professionale” per tutti, dalle micro imprese alle multinazionali, dalle pubbliche amministrazioni fino ai liberi professionisti.

Tuttavia, come possiamo definire oggi l’eccellenza organizzativa?

Un’organizzazione è davvero eccellente quando è utile, utilizzabile e desiderabile per chi ci lavora, per chi ne acquista prodotti e servizi e per l’ambiente, inteso nel duplice senso ecologico e sociale.

In questa cornice di significato, un rischio insito nel concetto di eccellenza nelle organizzazioni è quello di rimanere un’astratta idea-mito se essa non viene ancorata alla concretezza delle competenze, alla qualità dei prodotti e dei servizi e soprattutto a prassi manageriali orientate alla prevenzione di quegli errori che la possono rendere pericolosa ed inaffidabile sotto tutti i punti di vista.

In sintesi, la ricerca dell’eccellenza passa attraverso la strada della prevenzione degli errori manageriali, con la consapevolezza che non si tratta più soltanto di essere efficienti ed efficaci ma bisogna assumere la prospettiva della “buona reputazione complessiva”.

Tale nuovo paradigma culturale si pone l’obiettivo principale di sbarazzarsi, una volta per tutte, dell’ottocentesco mito pedagogico del “Sbagliando s’impara”.

L’ottica della prevenzione, infatti, assume proprio come principio il fatto che: “Se dispongo di una informazione importante, di una chiave di lettura di un fenomeno, di una istruzione operativa utili prima di approcciare un’esperienza, un progetto o un incontro con il cliente, la probabilità di commettere un errore sarà drasticamente ridotta e magari eviterò le eventuali spiacevoli conseguenze dell’ “apprendimento per esperienza diretta”.

Per esemplificare con un pizzico di ironia, non ho bisogno dell’esperienza di essere travolto da un autobus a due piani a Londra per apprendere che gli Inglesi guidano a sinistra e quindi imparare a guardare prima in quella direzione e poi a destra se voglio attraversare una strada: se qualcuno me lo dicesse prima, mi risparmierei, nella più fortunata delle ipotesi, l’ospedale.

Puntualizzato questo aspetto, all’interno delle organizzazioni è necessario sviluppare la consapevolezza collettiva riguardo quattro assiomi fondamentali:

  1. Un errore può sempre essere prevenuto
  2. Un errore può sempre verificarsi
  3. Un errore deve essere corretto subito, indipendentemente da chi lo commette.
  4. Gli stessi errori ripetuti nel tempo indirizzano l’organizzazione verso il fallimento.

La visione organizzativa di un errore presenta il grande vantaggio di andare oltre la “cultura della colpa individuale” e gli “alibi collettivi del sistema che non funziona”.

Al cliente finale, al collega dell’amministrazione o al nostro capo, non interessano le colpe né gli alibi ma soltanto le soluzioni che creano valore.

Dunque, il primo livello operativo di tale approccio realistico è: gli errori causano problemi che devono essere risolti in tempi molto rapidi. Il secondo livello, più manageriale, riguarda l’obiettivo delle prevenzione: se riusciamo a capire come evitarli, siamo sulla strada giusta per sviluppare l’eccellenza organizzativa.

Sul versante individuale, ogni persona, a tutti i livelli aziendali, deve sentirsi responsabilizzata e motivata ad utilizzare la tecnica “RAC” per la gestione efficace di un errore:

  • Rilevare
  • Ammettere
  • Correggere

Saper rilevare un errore, quando non è un software, un dispositivo o un tester elettronico a farlo al posto nostro, è una competenza diagnostica essenziale per chiunque, da applicare in ogni contesto lavorativo e professionale.

Ammettere di averlo commesso, ci responsabilizza nei confronti del nostro stesso operato e ci spinge quindi a non ripeterlo in futuro.

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Tale ammissione responsabilizzante, pone le basi per costruire un clima di fiducia nell’organizzazione ed un ambiente di adulti che non si nascondono nell’armadio e non temono ritorsioni per aver commesso un errore ma pongono le basi per una efficace cultura della prevenzione.

Le colpe e gli alibi conducono, invece, nella direzione esattamente opposta, verso un clima di paura, sfiducia, inefficienza e, aspetto ancor più grave, di mancanza di etica.

Infine, correggere facendo in modo che l’azione correttiva sia realmente risolutiva. Vediamo ora, nel dettaglio, la “lista nera” degli errori più diffusi nelle organizzazione che possono ostacolare il raggiungimento dell’eccellenza:

  1. L’eccesso di autoreferenzialità
  2. Marketing obsoleto
  3. Informazioni sparse e frammentate 4. Formazione senza progettualità
  4. Riunioni perditempo
  5. Organizzazione chiusa
  6. Passaggi generazionali problematici 8. Ossessione per i costi
  7. Creare valore soltanto per gli azionisti 10. Dirigenti che non sanno parlare in pubblico
  8. Generare eccessivo turn over
  9. Mancanza di una strategia motivazionale per le persone
  10. Scegliere fornitori sbagliati
  11. Stressare le persone
  12. Competere soltanto nel mercato domestico
  13. Orientamento alla produzione senza produttività
  14. Trattare le persone come bonsai 18. Pochi risultati in molto tempo
  15. Comunicazione interna inefficace 20. Apparenza senza sostanza
  16. Alimentare tensioni e paure in tempi di crisi
  17. Ignorare le caratteristiche degli attuali scenari
  18. Lasciare i conflitti irrisolti
  19. Irresponsabilità sociale
  20. Sottostimare i costi da errori

Con questa lista, potete già iniziare da subito la “caccia all’errore” nella vostra organizzazione!

Saper correggere gli errori implica l’applicazione della capacità di risoluzione dei problemi e l’attitudine mentale positiva nei confronti delle criticità.

Dal punto di vista psicologico, come ci poniamo nei confronti dei problemi che si presentano, anche e soprattutto in modo imprevedibile, fa la differenza rispetto alle probabilità di successo o di insuccesso nel trovare la soluzione giusta.

La prevenzione, dunque, si ispira a quello che considero il cardine del comportamento competente e quindi dell’eccellenza organizzativa: “Far bene fin dalla prima volta”, vale a dire arrivare preparati ed informati al momento in cui “tocca a noi dare il meglio”.

La preparazione delle persone e la predisposizione di tutte le condizioni organizzative alla base delle migliori performance aziendali sono i requisiti fondamentali per conseguire l’eccellenza. I migliori manager sanno perfettamente che “non riuscire a prepararsi significa prepararsi a non riuscire”.

Se non investiamo tempo e risorse nell’accurata gestione di tutte le operazioni ed i processi che precedono il contatto con i Clienti, con il Mercato, con i Collaboratori, con i Partecipanti nelle aule di Formazione e con le sfide manageriali che ci attendono, il fallimento è assicurato.

Fare prevenzione degli errori significa dunque creare quelle condizioni organizzative per le quali ogni “momento della verità” – ovvero ogni situazione e/o contesto che rappresentano per noi e la nostra azienda il vero banco di prova delle prestazioni professionali – sarà superato in modo eccellente.

Negli scenari che stiamo vi- vendo, le “vie di mezzo”, i “compromessi per il quieto vivere”, il “navigare a vista” e le improvvisazioni incompetenti rappresentano comportamenti ad elevato rischio di insuccesso.

Sull’importanza fondamentale della preparazione, è d’accordo anche Mark Twain: “Mi ci vollero due settimane per preparare un discorso improvvisato”.

In sintesi, se la cattiva reputazione fa presto a farsi da sola, per costruire una buona reputazione, invece, la strada è lunga e faticosa.

E’ per tale motivo che in azienda la reputazione deve essere sentita e vissuta come proprietà di tutti, così come la cultura della prevenzione degli errori.

Ogni persona, indipendentemente dal ruolo e dalle funzioni che svolge all’interno dell’organizzazione, dovrebbe ispirarsi, per i propri comportamenti quotidiani, alla convinzione di colui che “risciacquò più volte i panni in Arno” prima di dare alla luce il suo capolavoro letterario, I Promessi Sposi:

“E’ male minore agitarsi nel dubbio che riposare nell’errore”

(Alessandro Manzoni)

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