Dal sognare al progettare

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Dal sognare al progettare

I neuroscienziati, già da diversi anni, hanno paragonato il sogno ad una sorta di necessario stand by del cervello, che entra in funzione mentre noi dormiamo.

In altre parole, il nostro meraviglioso organo racchiuso nella scatola cranica non può mai spegnersi del tutto, ha bisogno comunque di un livello minimo di stimolazione ed il sognare assolverebbe proprio questa importante funzione di tenerlo al “minimo fisiologico di attivazione”.

I contenuti del sogno vengono espressi per “default psicologico”: in mancanza di una scelta cosciente delle scene da proiettare – come avviene nel caso del sogno ad occhi aperti – il nostro cervello assume immagini per proprio conto ed appare così un certo “screen saver” che ricorderemo al mattino oppure potrà passare del tutto inosservato.

Sul perché ciò accada, sulla casualità o causalità dei contenuti onirici, il dott. Sigmund Freud ha dedicato uno dei suoi più importanti saggi e prima di lui, sacerdoti oracolari, filosofi e letterati si sono avventurati in questo affascinante mistero della nostra mente.

Oggi la parola “sogno” o il verbo “sognare” sono associati ad avere una visione di scenari futuribili, a proiezioni sentimentali più o meno ideali, a vaneggiamenti sulle vincite alla lotteria o a guadagni insperati nel trading on line.

Joseph Schumpeter, il celebre economista, sosteneva che gli imprenditori dovrebbero essere guidati da un sogno e dalla volontà di fondare un loro regno privato.

Credo che oggi sia giunto il momento di rimettere in discussione il concetto di “sogno” inteso in queste accezioni.

Ad esempio, trovo molto più utile che un imprenditore od un politico dica: “I have a project” piuttosto che “I have a dream” e che il “regno privato” si trasformi piuttosto in un contesto produttivo aperto a tutti coloro che hanno voglia di fare, credono nella meritocrazia e agiscono in base a principi etici orientati al benessere comune.

Il problema è trovare persone che hanno voglia di fare, ragazzi che spengano la playstation, si scrollino di dosso apatia, scetticismo e rassegnazione e si rimbocchino le maniche.

A volte osserviamo giovani figli della casualità che vivono una precarietà che non deriva da un contratto a progetto ma da una precarietà psichica, intesa come carenza di risorse emotive e psicologiche in grado di assorbire efficacemente la naturale incertezza ed indeterminazione della vita.

Adolescenti che sviluppano personalità mosce, cera molle sulla quale imprimere soltanto sms, mms e suonerie di cellulare oppure personalità arroganti e arriviste.

Nel film “1 Km da Wall Street”, incentrato sull’idea che si possano guadagnare valanghe di soldi con spericolati e soprattutto truffaldini giochi di borsa in brevissimo tempo, il protagonista
commenta nella scena iniziale: “A che serve oggi lavorare da Mc Donald’s? Ci sono altri modi meno faticosi per guadagnare soldi!”.

Un altro esempio, questa volta tratto dalla realtà:

“Cameriera? No grazie, faccio la prostituta di lusso”.

Il telegiornale di Studio Aperto del 11 ottobre 2007 comunica la notizia che all’Università di Cambridge, in Inghilterra, sempre più studentesse universitarie, per mantenersi gli studi ma anche per avere un buon tenore di vita, scelgono di prostituirsi con clienti abbienti.

Nell’ateneo che ha laureato Newton e Darwin si consuma dunque il “sogno” delle attuali generazioni: guadagnare tanto nel più breve tempo possibile e con mezzi che oscillano tra il gioco in borsa e quello d’azzardo, tra le lotterie e la prostituzione.

Jeremy Rifkin, nel suo saggio “Il sogno europeo” 53, evidenzia come questa sia l’attuale ideologia di fasce sempre più ampie di popolazione, soprattutto nelle ultime generazioni.

Secondo lo studioso americano, L’ “American Dream” legato al duro lavoro e al merito come garanzia di successo e viatico per la ricerca della felicità – secondo il dettato di Thomas Jefferson nella Dichiarazione di Indipendenza – si sta lentamente eclissando dietro il sole abbacinante del guadagno facile senza sforzo.

Qualcuno rivolge appelli ai giovani dicendo: “Ragazzi, non smettete di sognare”.

Dal sognare al progettare

E’ un invito che secondo me non è di nessuno aiuto pratico e disorienta piuttosto che indirizzare. Proviamo invece a trasformare l’espressione, articolandola in due passaggi:

  1. “Ragazzi pensate a dei progetti e realizzateli con entusiasmo, capacità e convinzione!”.
  2. “Politici e manager, mettete nelle condizioni i ragazzi di realizzare i loro progetti!”

In questa prospettiva, il “sogno” ed il “sognare” devono esclusivamente intendersi come capacità di visualizzare i traguardi da raggiungere e le azioni necessarie per giungervi nel rispetto di se stessi, degli altri e delle regole del gioco.

Per costruire un futuro degno dell’essere umano, abbiamo bisogno di progetti concreti condivisi ed attuati da tutti, diventando abili traghettatori di memorie passate verso la sponda del futuro attraversando il periglioso fiume del presente.

Ognuno è chiamato a gestire efficacemente il proprio microsistema di vita e di lavoro.

Come abbiamo letto nel capitolo uno, ognuno di noi può essere un satisfaction leader.

Bisogna dunque aprire gli occhi sulla realtà ed incidervi con azioni orientate ad ottenere risultati che cambino qualitativamente la vita delle persone e dei sistemi sociali, a tutti i livelli.

La forte aspettativa è quella di un ritorno al concreto, ad una responsabilità diffusa a tutti i livelli sulle azioni da compiere e sulle loro conseguenze.

Il sogno inteso come illusoria attesa di una svolta, rischia di sfociare nel pensiero magico del volere raggiungere l’isola-che-non-c’è o del volere ottenere tanto/tutto e subito.

Coltivare la capacità progettuale e darsi da fare per realizzare quello che è possibile realizzare, è un atteggiamento che rispecchia il prolifico orientamento alla ricerca della felicità.

Tale orientamento realistico e non sognatore/idealistico ricorda a tutti che, a volte, non potendo ottenere quello che si desidera, conviene desiderare quello che si può ottenere.

53 Jeremy Rifkin, “Il sogno europeo. Come l’Europa ha creato una nuova visione del futuro che sta lentamente eclissando il sogno americano”, Oscar Mondadori, Milano, 2005

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