I sistemi sociali come
organizzazioni da migliorare

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I sistemi sociali come organizzazioni da migliorare

“L’unico lavoro che spetta a un bambino è giocare” Citazione tratta dal Calendario UNICEF 2008

Qualcosa è cambiato?

Il dott. Louis Destouches, in arte Céline, accompagnò, dal 14 febbraio all’8 agosto del 1925, un gruppo di dodici suoi colleghi sudamericani in una serie di viaggi d’informazioni sanitarie in Nord America ed in Europa, nell’ambito di un programma di scambi culturali.

Il resoconto di questi viaggi è riportato nel volume, “Gli otto uomini”, curato da Giuseppe Liuzzi e pubblicato dalla Shakespeare and Company nel 1993.

All’interno di questo libro, troviamo un testo particolarmente interessante riguardo il tema delle “risorse umane”: si tratta della “Nota sull’organizzazione sanitaria degli stabilimenti Ford a Detroit”, in cui il medico-scrittore francese realizza, con stile ironico e graffiante, un vero e proprio reportage sulle catene di montaggio e le schiere di operai al servizio di un “padrone assoluto”, Henry Ford.

Ecco alcuni brani:

“Il caso Ford ci appare insieme come un’esperienza e un’avventura.

E’ l’esperienza attualmente più tipica della produzione standardizzata all’estremo.

Henry Ford dirige da solo, padrone assoluto dei suoi stabilimenti, dei suoi sistemi di produzione, dei suoi capitali, la fabbricazione delle sue macchine, in un solo modello riprodotto infinitamente.

E’ lo zar della macchina a buon mercato.

Nei suoi diversi stabilimenti di Detroit utilizza in media 100.000 operai (...).”

“Abbiamo assistito all’esame d’entrata di parecchie centinaia di operai (...).

I sistemi sociali come organizzazioni da migliorare

Abbiamo visto passare davanti a noi un museo clinico, senza o quasi senza sani, certi proprio decadenti.

Il medico incaricato delle ammissioni ci confidava d’altronde che ciò di cui avevano bisogno ‘erano degli scimpanzé’, che questo sarebbe bastato ‘ per il lavoro al quale sono destinati’; sosteneva anzi che si utilizzavano già questi animali nelle piantagioni del Sud”.

Esattamente dieci anni dopo, Charlie Chaplin avrebbe immortalato la catena di montaggio e la relativa disumanizzazione nell’icona cinematografica di “Tempi Moderni”.

Tuttavia, Ford non era il peggiore, anzi.

Come notava lo stesso Céline, nonostante la standardizzazione dei processi produttivi consentisse una significativa riduzione del numero di operai, Ford non licenziava.

Certo, lui se lo poteva permettere visto che il suo modello T lo vendeva praticamente in regime di monopolio in mercati dove la mobilità era ancora affidata ai cavalli e alle diligenze ed era in forte espansione economica.

Probabilmente se la passavano peggio i “Kruppianer”, i dodicimila lavoratori delle acciaierie Krupp in Germania.

Siamo nel 1873 e nella fabbrica della potente dinastia di Alfred Krupp, i rapporti con gli operai sono improntati al più intransigente rigore di stampo militaresco, fino a rasentare una vera e propria concezione maniacale dell’ordine, dell’organizzazione, del lavoro.

Dovunque, nei reparti della fabbrica, sono presenti scritte di questo tenore: “Il Bene della fabbrica è il Bene di tutti.

In queste condizioni lavorare è una Benedizione.

Lavorare è una Preghiera”.48

Il più famoso dei “sacerdoti” che andò ad officiare preghiere in onore del dio lavoro – per far costruire cannoni – negli stabilimenti dei Krupp fu Adolf Hitler.

La frase “Il lavoro rende liberi” posta sull’ingresso dei campi di concentramento nazisti, si inserisce perfettamente in questo stesso filone ideologico.

E oggi?

Sicuramente qualcosa è cambiato ma per certi aspetti il mondo è ancora in piena rivoluzione industriale, con buona pace dei teorici del “post” e dei tecnocrati.

Pensiamo soltanto a questo dato: nel mondo sono stimati circa 128 milioni di ragazzi che lavorano, 1 milione censito soltanto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la maggior parte dei quali al di sotto dei 18 anni di età ed in condizioni abiette.

Possono essere i “meninos da rua” delle favelas brasiliane al soldo della malavita organizzata o quei ragazzi orientali alle dipendenze di un padrone-orco che, non solo li sfrutta sul lavoro, ma ne approfitta anche per soddisfare i suoi bisogni sessuali.

In Cambogia, ad esempio, vengono utilizzate bambine di dieci-dodici anni per raccogliere rifiuti da riciclare, rovistando in immense discariche a cielo aperto.

A queste condizioni esterne di schiavitù corrispondono devastazioni interiori irreversibili, veri e propri tsunami emotivi che travolgono ogni speranza di un futuro migliore.

Tuttavia, senza andare troppo lontano, possiamo ricordare i nostri “carusi”, ragazzi schiavi nelle miniere della Sicilia degli anni Cinquanta del XX secolo; oppure i “jurnatari” di oggi, lavoratori dell’europa orientale in attesa, sui cigli delle strade, di qualcuno che abbia bisogno di un manovale o di un facchino per uno o più giorni – da cui il termine jurnataro, lavoratore a giornata.

Il “datore di lavoro” si ferma con il furgone o con la vettura a bordo strada, carica il lavoratore e lo porta a lavorare, in nero naturalmente.

Una sorta di moderno meretricio lavorativo, che si confonde con quello tradizionale di centinaia di ragazze, donne e trans che vendono sulla strada “un gaio cesto di amore che amor non è mai” (Lucio Battisti)

48 Citazione Tratta da: Gianni Losito, “Dalla società contadino-artigianale alla società industriale”, Palumbo Editore, Palermo 1984

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