Principi pratica assertiva comunicazione scritta

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Principi guida della pratica assertiva nella comunicazione scritta

Come afferma la psicologa Anna Capriati:

“Se si scrive in modo scorretto, non si può pretendere di essere presi seriamente in considerazione”.

Non è dunque una questione di correzione con penna rossa da parte del maestro o della maestra.

La sintassi, le parole corrette e significativamente appropriate, insieme con la ricchezza di vocabolario, concorrono a formare la struttura portante della competenza della persona assertiva nella comunicazione scritta.

E’ opportuno ricordare che oggi, sia a livello personale, sia professionale, siamo percepiti per quello che scriviamo e per come lo scriviamo.

Questo accade perché “Nella scrittura, la forma è parte integrante della sostanza”. (Alessandro Zaltron).

L’impatto emotivo e relazionale di ogni comunicazione scritta è il derivato di questo binomio ormai indissolubile.

La caccia al refuso è dunque d’obbligo prima di inviare qualsiasi tipo di comunicazione.

Anche un tweet o un sms.

Non è pignoleria ma precisione.

Soprattutto, una dimostrazione di assertività, perché l’eleganza dello stile assertivo la notiamo dall’assenza di “rumori grafici” (errori) e dalla volontà di chiarirsi bene le idee prima di comunicare con gli altri.

Nelle parole di Giuseppe Rizzo:

“I perché con l’accento grave invece che acuto, così come i ‘nè né’.

Sono dettagli secondari, oppure no.

Oppure sono segni di sciatteria, di poca attenzione a quello che si sta facendo, di fretta. I refusi aumentano il rumore nella testa di chi li legge e la confusione in quella di chi scrive”.

In ogni caso, nella bibliografia citata nel primo capitolo, il lettore potrà trovare una serie di testi di riferimento il cui studio potrà essergli utile per migliorare anche gli aspetti formali della scrittura.

Ma ora occupiamoci della domanda chiave: come sviluppare l’assertività nella pratica della comunicazione scritta?

Per rispondere a questa domanda, presento una serie di principi guida che possono aiutarci ad essere più assertivi nella comunicazione scritta, sia personale e social, sia professionale.

Da ricordare che tali principi guida sono complementari a quelli già descritti nel primo capitolo e vanno applicati in modo trasversale e contestualizzato a tutte le forme di comunicazione scritta, dagli sms alle email, dai report alle procedure aziendali, dalle comunicazioni di servizio ai documenti riservati, dai contenuti di un sito web ai commenti di un blog, dalle newsletter alle offerte commerciali, dai messaggi in chat ai tweet.

  1. Evitare l’effetto “Non ci sono più parole, solo parolacce”

Turpiloquio e galateo non sono mai andati d’accordo.

La regola è confermata anche nel nostro caso della scrittura.

Le parolacce scritte intossicano emotivamente il testo, negativizzano in quel momento la relazione e, se postate pubblicamente, inquinano l’intero ecosistema social.

Naturalmente, stiamo parlando di parolacce che veicolano offese, giudizi o commenti pesanti ma anche semplicemente volgari.

La parolaccia scritta provoca una risonanza emotiva amplificata proprio perché “verba volant, scripta manent”.

E’ vero che con un click posso cancellare commenti, mail o messaggi volgari ma l’impatto iniziale comunque si sente e rimane anche per qualche tempo.

Da rilevare anche che molte persone inglobano la parolaccia nel proprio stile di comunicazione abituale, per cui l’utilizzo del turpiloquio è considerato “normale”.

Ma il galateo non giustifica né prevede questa normalità.

Le parolacce scritte lasciatele al grande poeta romano Giuseppe Gioachino Belli che nei suoi sonetti sono pure forme d’arte.

Noi seguiamo lo stile assertivo che sostituisce la volgarità con le giuste parole .

  1. Evitare di strumentalizzare i rapporti di amicizia a fini commerciali con l’invio “a freddo” o con modalità “spiazzante” di mail o messaggi.

Se io scrivo ad un amico: “Lunedi mi trovo dalle tue parti, mi piacerebbe passare a trovarti per un saluto, ci sei?” e l’altro mi risponde: “Si ci sono. Senti ho questo prodotto in vendita, è un prodotto pregiato riservato a pochi eletti.

Conviene acquistarlo subito perché altrimenti finisce”, l’effetto è, appunto, spiazzante.

La scrittura è ambigua e quindi manipolatoria.

A volte può esserci anche l’ “aggravante” relativa al fatto che il lavoro del mio amico non è vendere quei prodotti ma occuparsi di tutt’altro.

Sono da evitare anche domande-richieste complesse che possono mettere in difficoltà o comunque irritare l’interlocutore, se slegate da un contesto di lavoro o di consulenza specifica, oppure semplicemente imbarazzanti se il rapporto non è così confidenziale.

Esempi:

  • “Mi dai un tuo parere sul mio nuovo sito Web / Pagina Facebook / Brochure / Libro?”
  • “Come è andata poi la serata con…?”

 

  1. Evitare di aggiungere le persone a gruppi su WhatsApp e sui social network senza prima chiedere il permesso.

E’ un atto non solo scortese ma anche aggressivo perché invadente e irrispettoso delle persone. Soprattutto in quei gruppi che sono segreti o privati.

Le “appartenenze” di ogni genere riguardano scelte che sono sempre molto personali, esattamente come nella realtà.

Se invece chiedete il permesso di aggiungere qualcuno ad un gruppo, sicuramente questo gesto vi qualifica agli occhi dell’interlocutore, sia chi vi conosce direttamente, sia chi non vi conosce o vi conosce solo in contesti social.

La persona assertiva sa che nelle relazioni non bisogna mai dare nulla per scontato.

Qualche tempo fa, girava su Facebook la battuta “Su WhatsApp manca l’opzione: ‘Abbandona il gruppo senza farti notare’”.

Ma l’assertivo non ha problemi ad abbandonare subito i gruppi a cui non desidera appartenere!

  1. Non fare spamming

A parte le frodi e le truffe perpetrate on line (Pratica del Phishing), lo spamming:

“È una delle più fastidiose malattie della rete.

Ma prima di pensare a come difenderci dallo spamming altrui dobbiamo evitare di farlo noi.

Prima di diffondere lo stesso testo in diverse aree, o mandarlo a diverse persone, meglio pensarci due volte.

Siamo sicuri che interessa a tutti? Una delle cose meno apprezzate nella rete è trovarsi la mailbox ingombra di messaggi “non richiesti” e non interessanti – specialmente se ripetitivi”.
(Giancarlo Livraghi)

Questo principio vale anche per la richiesta di “like” sulle proprie pagine nei social network e i messaggi pubblicitari inviati su WhatsApp, anche come amici.

Bisogna prima costruire un rapporto o quanto meno avviare un contatto significativo e rilevante con la persona, soltanto dopo possiamo permetterci la richiesta di un “like” o addirittura di una condivisione di un link o di un post, sempre con molta cortesia e stile.

Da evitare anche lo “spamming affettivo”: il fatto di accettare l’amicizia sul social network non implica necessariamente il “provarci” subito con quella persona.

Ancora una volta, vale la regola del costruire prima un (minimo di) rapporto.

  1. Non appropriarsi dei contenuti altrui

Nel mondo della scrittura, questo quinto principio guida si chiama “attenzione al plagio!”.

A parte i risvolti legali, questo comportamento è tra i più sgradevoli e irritanti che possano verificarsi, non solo nei contesti professionali, ma anche in quelli personali e social.

Se, ad esempio, siamo su Facebook e ci piace il post di qualcuno al punto tale da condividerlo, cosa facciamo?

La persona corretta, senza neanche pensarci, preme il tasto “condividi”. In questo modo, l’autore del post è sempre presente come autore.

Se, invece, qualcuno fa il copia e incolla del contenuto del post e lo pubblica a suo nome, senza citare neanche la fonte o l’autore, questo è plagio.

Se a compiere questo gesto è una persona conosciuta, ancora peggio sul piano relazionale.

Il plagio intenzionale è un “fallo da cartellino rosso”, ovvero da espulsione immediata dai nostri contatti.

In ogni caso, prima di estrarre il cartellino, abbiamo il diritto assertivo di far notare l’accaduto a chi ha plagiato il nostro contenuto.

Scriverò: “Scusa Stefano, perché hai fatto il copia e incolla del mio post e lo hai pubblicato a tuo nome?”.

Oppure: “Te ne sei accorto che non hai citato la fonte o non mi hai citato come autore?”.

Il beneficio del dubbio o della buona fede va sempre concesso ma se la risposta non ci convince, a noi trovare modalità ancora più assertive (chiamare l’avvocato, se serve) per convincere l’interlocutore ad eliminare il contenuto plagiato dal suo profilo social o da altri testi.

  1. Evitare le “risse informatiche”


L’assertivo si sforza di evitare posizioni provocatorie, di scatenare risse informatiche attraverso lo scambio feroce di email o di infiammare le chat (innescare un flame, come si dice nel gergo del web) con dibattiti a colpi di duro dissenso personale o di polemica offensiva.

Spesso, queste fiammate diventano incendi incontrollabili e fanno terra bruciata in termini di reputazione e relazioni interpersonali, soprattutto sui social network.

Il punto di vista di Livraghi: “Se proprio si considera necessaria una ‘rissa’, meglio tenerla in uno scambio di messaggi personali”.

In ogni caso, suggeriamo l’applicazione di modalità assertive, ovvero di rispetto della posizione dell’altro, del tono fermo ma non offensivo, dell’orientamento a trovare comunque un punto di incontro o una via di uscita.

Tagliar corto (Sui social, basta un click per eliminare subito commenti e post rissosi) o riportare la discussione al punto di partenza per evitare ulteriori danni relazionali, sono altre modalità assertive consigliate.

  1. Evitare di imporre i propri valori personali, politici e religiosi nei gruppi di WhatsApp

A meno che non si tratti di un gruppo omogeneo in cui tutti gli appartenenti credono negli stessi valori, hanno lo stesso orientamento di pensiero o il gruppo è esplicitamente imperniato su un tema specifico, sconsigliamo di postare commenti, video e immagini del proprio credo personale, politico o religioso in gruppi eterogenei e pubblici, creati tra l’altro per scopi e finalità completamenti diversi.

Imporre la propria visione politica o religiosa anche a chi non crede o non è interessato, non solo è fuori contesto, ma esprime mancanza di rispetto e aggressività velata dalla manipolazione.

Questo principio vale soprattutto durante le festività religiose riguardanti ogni religione e in occasione di vicende sociali e politiche che toccano tasti delicati come la sessualità, le relazioni coniugali, la fecondazione assistita o altri temi “caldi” come l’immigrazione, il terrorismo e le guerre.

La regola base è: nessuno deve imporre nulla a nessuno che sia diverso dal “fine istituzionale” per cui il gruppo è stato formato.

Un esempio molto attuale riguarda il formarsi di gruppi di genitori delle classi scolastiche su WhatsApp.

In questi gruppi, assume un ruolo chiave il moderatore del gruppo, di solito il o la rappresentante di classe dei genitori.

La sua capacità nel contenere ed incanalare le comunicazioni verso l’obiettivo comune che è quello di avere soltanto le informazioni utili e necessarie riguardo l’andamento scolastico della classe (compiti da svolgere, comunicazioni delle insegnanti o di servizio, avvisi su scioperi o su altre notizie della scuola) è cruciale nel far si che il gruppo comunichi in modo assertivo oppure aggressivo e rimanga focalizzato sull’obiettivo specifico.

Chi modera un gruppo su WhatsApp deve avere il coraggio assertivo di stabilire delle chiare regole comunicative che poi consentiranno di riprendere chi va fuori argomento, chi comunica in modo aggressivo, chi inserisce contenuti fuori contesto o fa semplicemente perdere tempo alle persone.

Ricordiamo anche che, in un gruppo su WhatsApp, ogni singolo messaggio è una notifica a tutti, quindi è facile che il gruppo viva un vero bombardamento comunicativo, a cominciare dall’aspetto acustico.

Quindi, come principio di galateo, suggeriamo anche di evitare messaggi vocali dei propri figli o degli adulti, il gossip e la ridondanza comunicativa di “Grazie!” “Prego” “Fantastico!”, “Figurati!”, “Sei gentilissima!”. (Basta comunicarlo una volta soltanto e fare economia di scrittura).

  1. Evitare “atti noiosi in luoghi pubblici”.

Molti dimenticano, a volte, che i social network e i gruppi sono come dei luoghi pubblici dove le persone si ritrovano e che desiderano essere coinvolte o quanto meno stimolate con input e contenuti di una qualche rilevanza per loro.

“Ogni tanto uno scherzo o un argomento ‘futile’ può essere piacevole, soprattutto se è detto in modo divertente.

Ma non è il caso di esagerare con il racconto di fatti personali o con ciò che a noi sembra divertente ma agli altri magari no.

Se una cosa interessa solo a noi o a due o tre amici, meglio scambiarcela in messaggi privati che annoiare tutti gli altri.

Accade, purtroppo, spesso che due o tre persone, che si ‘dilettano’ fra loro con argomenti poco interessanti, svuotino uno spazio di dialogo, perché gli altri, annoiati, presto o tardi se ne vanno”.

Nelle conversazioni di gruppo, nei forum di discussione, nel racconto di storie attraverso l’applicazione “Storify” sui social network, l’assertivo si sforza sempre di capire se quello che sta scrivendo e postando potrà essere di un qualche interesse in generale ed in particolare per quale target di lettore.

Per default, l’autoreferenzialità è sempre noiosa e nella scrittura si amplifica ancora di più.

Da questo punto di vista, sono da evitare nei luoghi pubblici del web anche i messaggi criptici o allusivi che soltanto una o poche persone riescono a capire.

L’assertivo scrive direttamente agli interessati senza annoiare gli altri ed evita anche che la descrizione del “chi sono e cosa faccio” sia lunga come un capitolo di “Guerra e Pace”.

  1. Capire e leggere bene prima di scrivere o di rispondere.

Oggi indossiamo tutti, chi più chi meno, l’abito mentale del “tutto subito” e dell’ “urgenza che scaccia la priorità”.

In alcune mail, sta facendo la sua comparsa il superlativo assoluto “URGENTISSIMO”, rigorosamente scritto in stampatello maiuscolo che abbiamo visto equivalere ad un urlo nell’orecchio.

La fretta dettata da un’operatività scompaginata o mal progettata e soprattutto quella “premura del risultato” che ormai accompagna lo stile delle nostre vite in azienda, ci ingabbiano in una visione della comunicazione che spesso si dimostra “stringente” se non addirittura aggressiva.

Capire e leggere bene prima di scrivere o di rispondere è invece la prassi necessaria a qualificare la comunicazione e quindi il nostro rapporto con gli interlocutori.
Tale prassi equivale al tempo dedicato all’ascolto nella comunicazione interpersonale.

Prendere tempo per pensare, rielaborare, rileggere, metabolizzare e interiorizzare sono in verbi chiave associati a questo principio guida.

  1. Evitare l’ effetto “gelato sulla pizza”

Di frequente, mi capita di leggere sui social network commenti assolutamente privi di nesso logico e di congruenza semantica con un commento o uno stato di partenza.

“Ma questo che c’entra?”, è la prima reazione a caldo leggendo alcuni di questi commenti.

In altre parole, quel commento slegato che c’entra nulla rispetto al contenuto scritto in precendenza o a cui fa riferimento, risulta non solo incomprensibile ma anche antipatico ed in molti casi invadente.

Lo definiamo effetto “gelato sulla pizza” proprio per la sua totale insensatezza e sgradevolezza.

Spesso si tratta di commenti compulsivi postati come riflesso narcisistico o più semplicemente come una sorta di automatismo da social network.

Se potete, evitate di postare commenti scollegati dai significati che si stanno condividendo in quel momento, soprattutto con persone che non fanno parte del vostro network.

In questo caso, evitare di scrivere corrisponde a scegliere il silenzio nella comunicazione interpersonale.

  1. Evitare il commento “a gamba tesa” quando siamo degli estranei

Come nella realtà non ci sogneremmo di intrometterci da estranei nella discussione di un gruppo di persone che si conoscono e stanno conversando tra loro, così dovrebbe accadere anche sul social network.

E’ vero che il carattere “pubblico” e apparentemente disinibito di un social network autorizza implicitamente l’intromissione come estranei in una discussione in corso ma il galateo dovrebbe ricordarci almeno di:

  • Salutare
  • Esprimersi argomentando in modo assertivo e non in modo sarcastico, acido se non addirittura volgare o aggressivo.
  • Riflettere sul fatto che, se non sono “amico” di chi ha lanciato la discussione e quindi ai suoi occhi risulto essere un perfetto sconosciuto, il
    mio commento, se non rispetta il galateo, sarà percepito come non richiesto, inopportuno e invadente.

In sintesi, bisogna stare attenti a non diventare noi stessi dei Troll.

Per nostra conoscenza:

“Un troll, nel gergo di Internet e in particolare delle comunità virtuali, è un soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi”.

 

  1. Non accettare provocazioni dagli Haters

Chi sono gli Haters?

Principi guida della pratica assertiva nella comunicazione scritta

 

Leggiamo ancora da Wikipedia:

“Hater è un termine usato in Internet per indicare gli utenti che generalmente disprezzano, diffamano o criticano distruttivamente una persona, un lavoro o un concetto in particolare.

L’odio dell’hater è generato da sentimenti simili alla gelosia e all’invidia; tuttavia gli hater, a differenza dei gelosi, non desiderano diventare come le persone che prendono in giro o attaccano, ma al contrario desiderano esclusivamente insultarle e denigrarle.

Un hater giustifica il suo disprezzo e pone il suo pensiero come unica, vera realtà; i pensieri o idee delle persone a lui non affini sono completamente errate e semplicemente delle menzogne.

Un hater tende a seguire costantemente le attività del personaggio pubblico che odia”.

Insomma, l’universo infinito del Web non finisce mai di stupirci anche per alcune “presenze particolari” che ingloba.

Tra queste, scopriamo gli “Odiatori” o “Odianti” oppure “Provocatori di professione” detti anche più semplicemente “rompicoglioni della rete”.

Gli Haters sono profili disturbanti (e disturbati) di livello superiore rispetto ai Troll.

Anche se non siamo personaggi pubblici, che mettono in conto una quota fisiologica di Haters a seguito, la regola assertiva da seguire impone comunque il netto rifiuto ad accettare provocazioni evitando quindi di rispondere o rinfocolare interminabili discussioni portate avanti con la modalità della “guerra di religione” , ovvero da chi “crede” o ha “fede” in una posizione personale e si dimostra intransigente ed offensivo nei confronti di tutte le altre.

Saper resistere alla tentazione di rispondere è una dimostrazione di grande assertività.

Nel caso degli Haters, è opportuno anche agire in un’ottica preventiva soprattutto sui social network: sconsigliamo di accettare l’amicizia da profili sconosciuti che si presentano con strani nick name, con foto che oscillano tra l’inquietante e l’aggressivo e che soprattutto non mostrano il viso o immagini di sé nel diario.

E’ vero che con un click possiamo sempre rimuoverli dagli amici, come anche possiamo eliminare subito i commenti odiosi, ma nel caso degli Haters, vale il principio universale del “prevenire è meglio che curare”.

  1. Utilizzo assertivo degli emoticon e degli stickers

Gli emoticon oggi sono semplici “accessori grafici” o veri contenuti della comunicazione?

Propendiamo per la seconda opzione, a condizione che non siano da intendersi come protesi emotive utilizzate soltanto per “riempire il vuoto di nulla”, come sostituzione totale delle parole o simbolo di un progessivo impoverimento del linguaggio.

“Scrivendo sms si risvegliano i pollici intorpiditi invece di usare i più evoluti indici, ma si ottiene una prosa sciatta e approssimativa, che deve sostenersi con l'aiuto di ‘faccine’”.

Tuttavia, anche se nel tempo le “faccine” sono diventate “faccione”, l’utilizzo degli emoticon è oggi largamente diffuso per la loro simpatia ed immediatezza comunicativa anche, e forse soprattutto, dal punto di vista emotivo.

Facebook ha colto questo aspetto e nel febbraio 2016 ha introdotto le “reactions” per offrire agli utenti più opzioni di commento emotivo.

Gli “adesivi” (Stickers), invece, appaiono ancora come accessori alla comunicazione, anche se la loro applicazione non è da sottovalutare.

In ogni caso, per entrambi, il loro utilizzo richiede sempre intelligenza comunicativa e galateo.

Vediamo ora alcuni esempi pratici.

Se sono irritato con qualcuno per un comportamento che io ritengo sbagliato, dispiegare una decina di faccine indiavolate in un messaggio su WhatsApp equivale a modalità di scrittura aggressiva che, in particolare per un adulto, sottende anche un certo infantilismo.

Se si tratta di una cosa seria, l’assertivo non manda faccine rosse: telefona o si incontra di persona e chiarisce.

Riguardo gli stickers, se una persona mi invia un messaggio in cui espone una sua considerazione ed è abbastanza chiaro che da me si aspetta una risposta articolata, inviare soltanto il pollicione dell’ok può indicare scarso rispetto per l’interlocutore.

Se la risposta è complessa e quindi comporta spenderci del tempo che in quel momento non abbiamo, può essere più utile rispondere:
“Quando ci sentiamo ne parliamo”.

Oppure, rispondere dopo che abbiamo lavorato o completato le nostre priorità.

Un esempio di uso assertivo degli emoticon riguarda il caso in cui si facciano delle battute.

Può essere opportuno associarle ad uno smiley per evitare che vengano equivocate o comunque ad un altro tipo di emoticon simpatico, per rafforzare o sottolineare in modo assertivo lo stato emotivo positivo di quel momento.

In ogni caso, l’attenzione nei confronti di chi stiamo scrivendo ed il contesto nel quale stiamo scrivendo rimangono comunque i due fattori chiave dell’approccio assertivo, anche nel “condire” la comunicazione scritta con gli emoticon e gli stickers.

“Badare sempre al tono dello scritto” sintetizza bene un utile principio guida.

Le “faccine” nella scrittura sono state inventate per compensare emotivamente l’ assenza fisica delle persone, della mancata possibilità di osservarne il linguaggio del corpo ed ascoltare le tonalità della voce.

Se l’altro mi risponde irritato o perplesso perché non ha compreso il tono del mio scritto, la risposta che darò potrà essere sugellata alla fine da una per un’ efficace sdrammatizzazione.

In ogni caso, Livraghi propone un paio di domande preventive, utili per sviluppare assertività nello scrittura, associata anche ad un possibile utilizzo di emoticon e stickers.

  • “Si capisce bene in che tono mi esprimo, se dico sul serio o scherzo, se sono in polemica o sto semplicemente ragionando?”.
  • “Chi non mi conosce, capirà?

Come è utile pensare prima di parlare, così lo è altrettanto prima di scrivere.

  1. Dillo pure con un hashtag (ma non metterlo a caso)

L’#hashtag (da “hash” che significa ‘pasticcio’ e “tag” ‘etichetta’) permette di raggruppare tutte le discussioni che avvengono su un determinato argomento.

E’ composto da un cancelletto (#) seguito da una parola chiave.

La presenza del “#” trasforma il termine in un link.

Lanciare hashtag a caso e farsi prendere dalla febbre da cancelletto utilizzandolo come mero ornamento di un post ha poco senso, oltre a non essere assertivo perché crea solo confusione.

L’hashtag,

“ ‘E’ un buon modo di catalizzare le conversazioni’, così Chris Messina, il primo a lanciarne uno nell’agosto del 2007,  ne ha spiegato la funzione.

Questo elemento ha fatto il successo di Twitter che, con il suo sistema a cancelletti, ha fatto appassionare giornalisti, politici e Vip.

Ha fatto addirittura profetizzare la scomparsa delle agenzie di stampa.

Che si tratti di una tendenza sociale era ormai chiaro e anche L’American Dialect Society, società americana che studia la lingua parlata nel nord America: “Tanto su Twitter come in altre occasioni, gli hashtag hanno creato una vera e propria tendenza sociale, essendo capace di allargare messaggi circa argomenti che vanno dalla politica al pop”, si legge in un comunicato che decreta come “hashtag” sia stata la parola più usata tra i Paesi dell’Unione Europea nel 2012”.

Aggiungiamo soltanto che una parola più è usata e più è elevato il rischio di distorsione del significato o di un corretto utilizzo.

  1. “Tutto il necessario e nulla più del necessario”

Telegrafici o prolissi?

Mail lunghe o corte? Semplicità significa brevità?

Spontaneità o perfezione grammaticale e linguistica? Gli SMS sono utili oppure no?

Essere assertivi significa partire da queste domande per poi trovare adeguate risposte nella pratica in modo situazionale, ovvero che funzioni in quel dato momento, con quel dato interlocutore e in quella data situazione.

Questo significa che non esistono regole valide in assoluto ma è opportuno sempre ragionare nella prospettiva di “soluzioni comunicative” utili e fruibili per il destinatario della comunicazione, in ogni specifico contesto.

E soprattutto non demonizzare nulla.

“Mi sembrano esagerate le opinioni di chi pensa che i messaggi SMS siano la nascita di una nuova forma letteraria.

Ma anche quel tipo di corrispondenza è un ritorno alla parola scritta.

Non sempre i “messaggini” sono banali – e la loro forzata brevità può essere un buon esercizio”.

Oltre gli SMS, Allegati, grafici, schemi, chiarimenti a voce, indicazioni di link da seguire per approfondire o di download da poter eseguire a piacere in un tempo differito, possono costituire soluzioni comunicative ed informative che vanno oltre la contingenza del testo scritto (Logica del servizio al lettore di un testo scritto).

In conclusione, il principio del “Tutto il necessario e nulla più del necessario” esprime in modo chiaro lo sforzo di sintesi e di fruibilità dei testi che la persona assertiva è chiamata a fare quando scrive.

Tuttavia, essere sintetici non significa essere stringati.

Nelle parole di Giancarlo Livraghi:

(…) anche la brevità, qualche volta, può indurre in errore... ciò che per noi è intuitivamente chiaro può avere bisogno di una spiegazione quando ne parliamo ad altre persone.

Insomma un testo ben scritto contiene “tutto il necessario e nulla più del necessario”.

Questo, ovviamente, non significa essere “telegrafici”.

Una comunicazione efficace non è priva di sentimenti e di emozioni, e per trasmetterle può essere necessaria una parola in più.

Non significa neppure rinunciare alla spontaneità.

La freschezza di un pensiero, di una sensazione, può essere molto più importante della “perfezione” grammaticale o ortografica”.

  1. Ma quelli di ortografia sono sempre degli “orrori”!

Forse in ambito personale e social la spontaneità e l’immediatezza possono avere il primato rispetto alla correttezza ortografica e sintattica, come sostiene Livraghi.

Ma il mercato del lavoro non perdona. In azienda e in ambito professionale, gli errori di ortografia sono sempre visti e vissuti come degli “orrori”.

“Orrori” a volte simpatici, certo, ma che possono costare la squalifica di un curriculum vitae, la mancata accettazione di un’offerta commerciale da parte del cliente o l’avanzamento di carriera in azienda.

Paolo Iacci, nel suo editoriale di HR On Line n. 19 del 2015, riporta una serie di errori di ortografia rilevati da lettere di accompagnamento di curricula:

  • Cavagliere illustrissimo 
  • Gent.Mo Lider
  • Allego mio profilum vite
  • Le mando il mio cuniculum
  • Ritengo indispensabile la circoncisione del curriculum
  • Spett. Spermarcati [supermercati]
  • Sono guardia giurata, esperto pistola, difesa personale, giudo ...
  • Sono disintegrato da un mese [disoccupato+cassintegrato]
  • Il mio menage lavorativo è cominciato ...
  • Vi scrivo senza occhiali perché non li trovo più, scusate iceroglifici ...
  • Vi scrivo questa unica missiva in questo frangente in cui trovami...
  • Vorrei diventare un manager con la "A" maiuscola ...
  • La Vostra offerta mi inebria

Correttamente, Iacci fa notare che:

“Se questi errori di ortografia fossero contenuti in missive di persone con bassa scolarità e altrettanto bassa professionalità, niente di male.

Nessuno di noi deve per forza avere una piena padronanza delle lingua italiana, a tutti i livelli della scala gerarchica.

Diverso è il discorso quando gli stessi errori si riscontrano tra il personale laureato o con posizioni di responsabilità.

A questo riguardo, si potrebbe obiettare, la maggiore o minore conoscenza della lingua italiana, pur importante non necessariamente incide sulla performance professionale delle persone e quindi perché preoccuparsene?

Personalmente contesto questo approccio. Le imprese stanno diventando ad alta intensità di relazione con clienti, fornitori e ambiente di riferimento.

Chi occupa posizioni di responsabilità rappresenta l'impresa non solo per la sua stretta competenza tecnica ma anche come lavoratore e, ancor più in generale, come persona.

E se fossi un lavoratore di quell'azienda, vorrei essere rappresentato da una persona stimabile e con una scolarità minima accettabile, senza errori di ortografia plateali”.

In sintesi, nessuno oggi può farsi scudo con l’alibi della metamorfosi del linguaggio scritto causato da internet, dai tweet, dagli sms e dai social network.

Il T9 ed il linguaggio sincopato non giustificano errori ortografici o anche storpiature della lingua italiana.

Lo stile assertivo, soprattutto in azienda e in ambito professional, impone accuratezza sotto tutti i punti di vista, anche di quello del controllo ortografico. (Che lo faccia in automatico il programma di scritttura che stiamo utilizzando o lo facciamo direttamente noi, poco importa, l’importante è controllare prima di inviare!)

L’assertivo contribusce a qualificare la rete, non ad aumentarne il degrado o l’ignoranza.

Presidia la correttezza linguistica vigilando soprattutto su quelle “vecchie” ma sempre valide regole dell’ortografia e della sintassi.

Tuttavia, scusarsi (ma non troppo) è sempre lecito.

Farlo soprattutto quando si commette un refuso madornale oppure se è un errore “ingombrante” come un messaggio troppo lungo o scritto male, inserito nel posto sbagliato o inviato ad un altro destinatario.

Oppure se si tratta di errori culturali come citazioni, date, riferimenti bibliografici, concetti e autori sbagliati. In ogni caso, non vale la pena di scusarsi per una piccola svista, un “refuso” o un errore di ortografia di poco conto.

“Sbagli di questo genere sono accettati quasi sempre senza problemi.

È bene anche evitare di essere “pedanti”, di correggere gli altri per dettagli secondari”.

Insomma, indulgenti nei confronti di alcuni errori di scrittura ma spietati contro gli altri “orrori”!

  1. Evitare “salamelecchi”

Leggiamo da wikipedia:

“Con la parola salamelecchi si indicano le complimentosità e i giudizi affettati ed eccessivamente elogiativi, giudicati non esenti da esagerazione e talora motivati da un qualche intento di piaggeria (e quindi d'ipocrisia), miranti a guadagnarsi la compiacenza del prossimo”.

Insomma, quasi un “eccesso di galateo”.

Un modo di relazionarsi, se non ipocrita, comunque fastidioso e sicuramente poco assertivo.

Scrivere su LinkedIn “Sarei onorato di entrare a far parte della sua rete” o su Facebook “Grazie per avermi concesso la sua amicizia”, suona male.

Molto più assertivo andare sul semplice: “Mi piacerebbe se mi aggiungesse ai suoi contatti” e “Grazie per il suo contatto.

Un saluto e buona giornata”.

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