Il diamante

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Il diamante

La professionalità è dunque un concetto complesso.

Nella sua poliedrica configurazione rileviamo non solo conoscenze, capacità, comportamenti – le competenze – ma anche visione, motivazione, caratura personale in termini di valori ed atteggiamenti espressi.

Il tutto integrato in una struttura adamantina da “rendere pura e cristallina” nel corso del tempo.

Il long life learning è il processo di lavorazione del diamante della nostra professionalità (fig. 2) che viene estratto dalla miniera delle potenzialità e delle esperienze di vita e trasformato in un gioiello, non tanto da ostentare, quanto piuttosto da vivere con le sue due più grandi peculiarità: la forza – diamante viene dal greco “àdamas”, l’invincibile, l’indomabile – ed il valore.

“Forza”, perché la professionalità è come la punta di diamante che ci consente di incidere profondamente nella realtà, modificandola in funzione degli obiettivi da raggiungere.

“Valore”, nel momento in cui la professionalità costituisce, in questo scenario di incertezze, l’unico investimento sicuro sul quale puntare “per sempre”.

 

Fig. 2) La professionalità è come un diamante

La formazione, nella sua accezione etimologica di “azione che dà forma”, rappresenta uno degli strumenti fondamentali che può quindi concorrere alla capitalizzazione di tale patrimonio.

Come lo sport è il mezzo che favorisce lo sviluppo psicomotorio ed emotivo degli individui, così la formazione è la necessaria preparazione che facilita il progresso di individui ed organizzazioni.

Essa diventa una vera e propria “palestra” nel momento in cui le persone vivono concretamente la crescita o il rafforzamento delle loro capacità e sentono di poter migliorare i loro standard di rendimento.

Su tutto gioca naturalmente la motivazione di fondo a produrre performance di rilievo e ad assumere un atteggiamento complessivo orientato a costituire un modello di eccellenza non solo dal punto di vista professionale ma anche e soprattutto da quello umano.

Insomma, ognuno di noi può sentirsi un atleta – “athla” in greco significa competizione – del proprio mestiere, uno sportivo che associa allo spirito agonistico quello del sacrificio, al fine di cingersi la testa con il lauro della vittoria.

Nell’antica Grecia, ad esempio, la prima dote di un atleta consisteva nel coraggio di sopportare duri allenamenti nelle palestre, per mesi e mesi, in previsione delle gare.

Chi praticava sport pesanti, come la lotta, doveva abituarsi a combattere d’estate, a mezzogiorno, sul terreno infuocato.

I corridori si allenavano correndo sulla sabbia o in ginocchio.

Alcuni pugili addirittura si frustavano per abituarsi a sopportare il dolore dei pugni.

C’era anche chi, per raggiungere un’ottima forma fisica, si sottoponeva a discipline sportive che non comparivano nelle gare ufficiali come il nuoto, il sollevamento pesi e il salto in alto.

I saltatori, per darsi maggior slancio, usavano gli halteres, pesi di piombo o pietra impugnati nelle mani, conosciuti pure nel mondo romano, che servivano ad irrobustire ulteriormente i muscoli delle braccia.

Vincere dunque attraverso il sudore e la fatica e non tramite facili o illegali scorciatoie. Raccomandazioni, nepotismo, manovre illecite, corruzioni, rappresentano quel “doping” che inquina il mercato, discriminando soprattutto tutti coloro che lavorano nel rispetto delle regole del gioco.

Tuttavia, sacrificio non significa mistica della sofferenza bensì un più umano “suda e sorridi”, in cui la tensione agonistica, nel produrre i risultati sul lavoro, possa essere stemperata attraverso un approccio ludico e stimolante.

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