Intervista agli alpinisti Gogna, Brenna, Unterkircher, Meroi e Mondinelli

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Articolo tratto dal libro:

La montagna: una scuola di management
"La montagna: una scuola di management. La determinazione del singolo e della squadra sono le chiavi del successo sul K2 come in azienda" di Agostino Da Polenza (Presidente Everest-K2-CNR) e Gianluca Gambirasio, FrancoAngeli 2008

Intervista agli alpinisti Gogna, Brenna , Unterkircher, Meroi e Mondinelli

 

  • Quali emozioni provi nel raggiungere una vetta?

Alessandro Gogna - Sono tante, e dipendono molto da che cosa uno ha messo in gioco in quella salita, da cosa ha messo sul piatto del proprio impegno. Se uno raggiunge la vetta per caso, perché magari è stato invitato da un amico, può essere un piacere, una cosa bella, ma finisce lì.

C’è invece chi ci mette molto di se stesso, ma anche l’emozione che si prova può essere diversa.

A volte, se non si raggiunge la vetta può essere un problema perché ci si sente falliti. Ma quando si raggiunge può anche capitare che scatti il meccanismo “sì l’ho raggiunta, quindi se l’ho raggiunta vuol dire che era facile”. E così si crea un’altra meta ancora più difficile, e si inizia una corsa che può anche diventare pericolosa.

Cristian Brenna - Quando arrivi in cima l’emozione non è mai alle stelle. Almeno, io non mi sono mai sentito appagato sulla vetta, lo sono sempre molto di più dopo quando sono a casa e ci ripenso. Però, più che la vetta quello che mi da soddisfazione è l’itinerario di salita: se trovo una via che mi soddisfa molto, anche se non arrivo in vetta sono contento lo stesso.

Karl Unterkircher - Il raggiungimento di una vetta è un emozione indescrivibile. É la fine di enormi affaticamenti fisici e psicologici; il traguardo di un sogno iniziato giorni, mesi o anni prima, il giorno in cui “Lei”, la cima, è entrata ed è rimasta insistente nella mia mente.

Forse non esiste ancora il nome esatto di questo sentimento di libertà assoluta, che provo in vetta. Ogni volta guardandomi attorno riesco a  percepire quanto sono minuscolo su questo pianeta, e allo stesso tempo divento consapevole della mia veramente “importante”  presenza al mondo. Un mondo che però andrà avanti anche senza di me.

Nives Meroi - Sul momento niente di particolare, perché ho sempre bisogno di un po’ di tempo per digerire le esperienze. In più in Himalaya puoi dire di aver fatto una cima solo quando sei al campo base ben seduto sulla sedia e con un piatto di pastasciutta davanti. Perciò i tempi sono molto lunghi e dilatati, e sulla vetta non provi emozioni forti.

Forse anche per la mancanza di ossigeno che ti fa ragionare in maniera più lenta.

Diciamo che la gioia della scalata non è necessariamente legata alla cima. Sia in vetta che durante la salita, provi un’emozione legata a tutta l’esperienza che stai vivendo. Cammini, fai una fatica bestia e quando ti giri un attimo per prendere fiato, il tuo sguardo si perde nell’infinito, non domina mai l’orizzonte, ma lo abbraccia.

Ti rendi conto di quanto siano irrilevanti tutte le ambizioni, capisci la fragilità assoluta di noi esseri umani che pensiamo di sapere tutto, di… dominare, ma che cosa?

Silvio “Gnaro” Mondinelli - Quando raggiungo la vetta provo il sollievo di aver finito. E poi, sicuramente, la soddisfazione di aver raggiunto un obiettivo.

  • Cosa provi e come reagisci dovendo rinunciare invece ad una vetta?

Alessandro Gogna - Certamente mi dispiace, ma ormai vado per i 61 anni, non è che abbia chissà quali ambizioni … Una volta sicuramente pativo di più, adesso rispetto ad allora non me ne può fregar di meno. Mi dispiaceva non riuscire in quello che volevo, senza fare eccessivi pianti o disastri. Anche perchè se poi magari si ritenta e si riesce, allora il successo diventa molto più bello.

Cristian Brenna - Uno quando parte dovrebbe sempre mettere in conto che può anche rinunciare. Se capita, la metti via, magari con un po’ di amaro in bocca, però non è che ti piangi addosso.

Qualche settimana fa sono dovuto rientrare dalla spedizione al Cerro Piergiorgio, mentre i miei compagni sono ancora in Patagonia. Un po’ mi dispiaceva perché praticamente eravamo a metà parete e iniziavamo a vedere la possibilità di finire la via, invece per lavoro ho dovuto interrompere.

Pazienza, spero che gli altri ce la facciano, e se non potessero, ritenteremo insieme.

Karl Unterkircher - Se continuo a scalare è perché a volte ho saputo rinunciare. La delusione viene premiata dalla saggezza. 

Nives Meroi - Sul momento, sicuramente non si reagisce in maniera proprio elegante. Ma certamente mai con rabbia, rancore o arrabbiatura. Proprio per il discorso fatto prima sull’irrilevanza delle ambizioni.

Oramai, dopo anni che faccio alpinismo, riesco a dire “vabbè, sarà per la prossima”.

Silvio “Gnaro” Mondinelli - Bisogna vedere per quale motivo hai rinunciato. Se ti sei comportato sempre correttamente, hai fatto tutto quello che potevi fare, va bene così, anche se un po’ di rammarico c’è sempre.

Ma in tutte le cose che si fanno, certe volte bisogna rinunciare, ma non per questo ci si deve abbattere. Anzi, la rinuncia ti fa venire la voglia, la volta dopo, di lavorare ancora di più, di metterci più passione.

  • Cosa significa per te avere successo?

Alessandro Gogna - Quello che si può leggere sul vocabolario: fare in modo che gli altri si accorgano di te. Poi che tu lo faccia perché sei bravo ad andare in montagna o perché sei un bravo musicista o scrittore, più o meno è la stessa cosa.

Il successo arriva quando la gente si accorge che sei bravo. Con questo non voglio dire che sia la cosa più importante. Anzi, è solo una parte della motivazione per cui uno va in montagna. E’ importante ma non è l’unica. Almeno per me.

Cristian Brenna - Il successo dovrebbe essere sempre una cosa che ti appaga a livello personale, e non qualcosa che devi dimostrare a tutti i costi a qualcuno. Quando riesco in qualcosa, sono contento di come l’ho fatta, come l’ho vissuta, se ho avuto dei momenti che mi hanno fatto felice: quello per me è un successo.

Non voglio un successo riconosciuto dagli altri, anche se è ovvio che ti gratifica. Voglio soprattutto sentirmi a posto con me stesso.

Karl Unterkircher - Il successo mi aiuta a continuare…  mi obbliga a continuare…

Nives Meroi - Riuscire a mettere un passo davanti all’altro nel mio miglioramento come persona. Non vorrei sembrare troppo “new age” però, appurata l’assoluta relatività di tutte le varie forme di successo (record, primato, secondo classificato, etc.), quello che rimane alla fine della fiera è un’esperienza che ti può dare una mano a migliorare come persona. E basta.

Silvio “Gnaro” Mondinelli - Raggiungere un obiettivo che ti sei preposto.

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