Intervista ai capo spedizione Abele Blanc, Luca Masper e Simone Moro

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Articolo tratto dal libro:

La montagna: una scuola di management
"La montagna: una scuola di management. La determinazione del singolo e della squadra sono le chiavi del successo sul K2 come in azienda" di Agostino Da Polenza (Presidente Everest-K2-CNR) e Gianluca Gambirasio, FrancoAngeli 2008

Intervista ai capo spedizione Abele Blanc, Luca Maspes e Simone Moro

 

  • «Le persone raramente raggiungono il successo a meno che non si divertano nel fare quello che stanno facendo». Dale Carnegie

    Abele Blanc

    Valdostano, è nato ad Aosta il 2 settembre 1954. E’ Guida Alpina, Maestro di sci nordico, Istruttore Nazionale di sci alpinismo, delle Guide Alpine e regionale di soccorso alpino.

    Passato glorioso nello skyrunning, nello scialpinismo e nello sci di fondo agonistico, è diventato uno degli alpinisti italiani più attivi con un’intensa attività sulle Alpi ed extraeuropea, con 13 ottomila saliti. Il suo curriculum conta discese estreme, salite solitarie e prime invernali sulle pareti più impervie dei quattromila della valle d’Aosta.

    Ha organizzato spedizioni in Himalaya, Karakorum, sulle Ande, in Africa, in India e ad El Capitain. Ricorda in particolare quella del 1993 ai Gasherbrum, organizzata in prima persona, senza l’intermediazione di agenzie, insieme ai giovani aspiranti guide alpine della valle d’Aosta.

    Luca Maspes
    Nato a Sondrio il 5 agosto 1972, vive a San Martino Valmasino. Alpinista d'alto livello sia su roccia che su ghiaccio, ha aperto e ripetuto, anche in solitaria, molte tra le vie più prestigiose e difficili dell'arco alpino e molti itinerari in Patagonia e Karakorum.

    E' anche “critico” di alpinismo, creatore di riviste, siti internet e trasmissioni televisive di montagna. Nel 2005 ha inventato, con Agostino Da Polenza, il progetto di alpinismo esplorativo "Up Project" e ne ha guidato due spedizioni: il Trip One, in Karakorum nel 2005, e il Trip Two in Patagonia nel 2006.

    Simone Moro
    Nato nel 1967 sulle montagne della bergamasca. Guida Alpina, atleta, istruttore federale, è stato per quattro anni allenatore della nazionale italiana di arrampicata sportiva.
    Ha partecipato e organizzato spedizioni in Himalaya, Karakorum, Ande, Patagonia, Antartide, Thien Shan, Pamir.

    Nel suo ricco curriculum di salite himalayane, spiccano la prima invernale sullo Shisha Pangma (8.027 metri) e la traversata in solitaria da sud a nord dell’Everest nel 2006. Si muove ad alto livello anche su roccia, scalando fino all’8b e su cascate di ghiaccio.

    Noto al grande pubblico per le spiccate abilità comunicative, ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali sia di tipo alpinistico sia di tipo civile per i salvataggi effettuati in alta quota e l’attenzione ai popoli himalayani.

    • Quali caratteristiche deve possedere un bravo capo spedizione?

    Abele Blanc - Sicuramente la competenza. Deve conoscere cosa vuol dire salire un ottomila. E poi, sicuramente, deve avere qualità umane, sensibilità.

    Luca Maspes - Credo che un bravo capo-spedizione lo si possa definire tale solo a giochi fatti, tirando una riga finale sotto il bilancio dell’esperienza appena vissuta. Inoltre averlo fatto su un 6000 in pochi amici non è sicuramente la stessa cosa che su una montagna di 8000 metri con tanta gente al seguito.

    Per una cosa del genere credo ci voglia non solo una riconosciuta esperienza sul terreno dove si opera, ma anche una certa predisposizione alla nascita: capacità organizzative, carisma, intuizione e sicuramente un po’ di voce grossa quando serve.

    Simone Moro - Deve sapere le lingue, avere carisma e forte personalità, intraprendente, essere chiaro e senza timori reverenziali. Deve ovviamente avere senso pratico e pragmatismo in modo da poter avere la risposta e la soluzione migliore per le varie situazioni che una spedizione può contemplare.

    Il capo spedizione deve essere anche credibile atleticamente, molto preparato, perché altrimenti i brusii e le sfiducia serpeggiano in sorrisi di facciata, ma menefreghismo e anarchia di sostanza..

    • Quali sono le difficoltà/imprevisti più frequenti che si verificano durante una spedizione? Come le affronti?

    Abele Blanc - Sicuramente le condizioni della montagna e poi quelle degli alpinisti. Per superarle bisogna saper coniugare le due cose senza dimenticare che si tratta spesso di persone “individualiste”, come spesso sono gli alpinisti, abituati magari, molte volte, a far le cose da soli.

    Questo atteggiamento nelle spedizioni può creare dei problemi: è qui che si misura la capacità di un leader, di un capospedizione. Il problema può essere affrontato rigidamente oppure in altri modi, dipende dal carattere del capospedizione.

    E’ chiaro che il dialogo è sempre una buona strada, ma non è sempre la migliore. Ad un certo punto bisogna prendere delle decisioni: non per niente si chiama “capo”spedizione.

    Luca Maspes - La peggiore delle difficoltà non l’ho fortunatamente vissuta ma credo la si tema sempre, cioè la perdita di un compagno che tu hai invitato nella tua spedizione. Anche se gli alpinisti sanno già convivere con il rischio, un po’ di responsabilità la senti sempre e comunque. Gli imprevisti meno drammatici penso invece debbano essere affrontati come un impegno da parte di tutti, un lavoro d’equipe tenendo comunque l’”ultima parola del capo” come eventuale decisione finale.

    Simone Moro - Che i componenti litighino, che ci siano le prime donne, che non arrivino i bagagli e che ci sia un calo motivazionale. Queste cose si risolvono in primo modo essendo scrupolosi e meticolosi a scegliere la squadra.

    Troppo spesso infatti  ci si accorge di avere dei pirla (eufemismo)  nel gruppo quando è troppo tardi o quando ci si accorge che sono “contagiosi”… Il secondo modo è essere amichevoli ma risoluti nelle comunicazioni, ammonimenti, decisioni. Se si ha carisma e credibilità le cose sono abbastanza facili.

    • Cosa fai per cercare di mantenere sempre alto il morale e la motivazione dei componenti della spedizione?

    Abele Blanc - Normalmente non ce n’è bisogno, perché chi accetta di partecipare ad una spedizione di solito ha abbastanza coraggio e voglia di stare lì: è una sua scelta. Chiaramente col passare del tempo, con l’aumentare dei disagi, possono sorgere dei problemi: si può diventare meno presenti, meno entusiasti. In questi casi si tratta di diffondere un po’ di entusiasmo.

    Luca Maspes - Prendersi un po’ in giro, smitizzarsi e cercare di capire che ambizioni ha in testa il singolo componente è sicuramente un buon inizio per capire come motivarlo. In spedizione ognuno sta vivendo una propria storia personale, condotta con il suo ritmo. Se ti adatti ad esso le motivazioni vengono da sole.

    Simone Moro - Cerco di essere contagioso nel mio ottimismo che, grazie a Dio, non smette mai di accompagnare il mio modo d’essere. Se si ride e si è motivati di natura è facile trasmettere anche agli altri uguale sentimento.

     

    • Nel caso vi siano contrasti tra alcuni membri della spedizione, come gestisci la situazione? Descrivici un caso emblematico.

    Abele Blanc - Torniamo al discorso di prima: o col pugno duro o col dialogo, in qualche modo la situazione va risolta. Poi, se proprio c’è qualcosa che non funziona, non si può far altro che eliminare chi crea problemi e mantenere solo quelli che vogliono continuare.

    Fortunatamente non ricordo casi emblematici anche perché ho fatto poche spedizioni con grossi gruppi e molte con poche persone. Ed è andato tutto bene.

    Luca Maspes - Nelle mie due belle avventure ho viaggiato con due gruppi di scalatori che sempre si rispettavano tra di loro, alcuni ancor prima di conoscersi veramente. Ho visto quindi solo un bel clima affiatato e nessun momento di scontro tra di noi. Spero di non essere stato solo troppo fortunato...

    Simone Moro - Mi è capitato ad esempio nel 1995 che Fausto De Stefani e Josef Rakoncaj si scazzottassero al campo base del Kangchenjunga e senza farmi impressionare dalle personalità e curriculum ho riunito il gruppo e guardando in faccia tutti componenti ho espresso la mia opinione e fatto un bel cazziatone.

    Allora avevo solo 27 anni e mezzo ma non ero un pivellino. Ero pronto a chiudere la spedizione o allontanare qualcuno… ma alla fine un componente se ne è andato spontaneamente anche se avrei preferito lo facesse qualcun altro.

    • Completa la frase: “Lavorare in team per me significa…”

    Abele Blanc - Lavorare in team comporta vantaggi e svantaggi. Chiaramente se l’obiettivo è grande è quasi obbligatorio essere in squadra. Con obiettivi meno importanti non è così indispensabile, anche se, a mio parere, la cosa più bella è unire esperienze alpinistiche occidentali, orientali, di chi abita nelle Alpi, chi nelle Dolomiti, chi ancora in un paese diverso.

    Luca Maspes - Sicuramente “mettere il risultato finale al di sopra delle proprie ambizioni personali.”

    Simone Moro - Sapere il mio ruolo e rispettarne le mansioni ed eventuali limiti.

    • Tra la tua prima esperienza come Capo Spedizione e la tua ultima, quali sono stati i principali miglioramenti che ti riconosci?

    Abele Blanc - L’esperienza ha il suo valore, chiaramente e conta. La conoscenza dei problemi dei caratteri delle persone, di alpinisti particolari aiuta sicuramente a gestire meglio la situazione.

    Luca Maspes - Trip One e Trip Two sono stati imparagonabili tra di loro, per cui non ho potuto riflettere a priori né sperimentare sul campo eventuali migliorie. Nel primo viaggio c’è stata tanta voglia e energia perché tutto andasse bene, quindi risultati alpinistici all’altezza ed un bel modo di proporre un “altro” alpinismo extraeuropeo.

    Nel secondo viaggio invece la stessa carica e le stesse motivazioni ma mischiati con eventi meno calcolabili, meno pianificabili e legati indissolubilmente alle condizioni meteorologiche.

    Il bilancio finale per me è stato positivo e, anche se non lo fosse stato, credo che la breve ma intensa esperienza di UP Project valeva la pena di essere vissuta. Due viaggi unici, una situazione diversa nell’affrontarli, momenti di responsabilità mai affrontati in precedenza…

    Tutto questo in un tipo di spedizione “complessa” e che probabilmente nel futuro si ritrasformerà per me in quelle care vacanze alpinistiche tra amici. Recentemente infatti, quando mi sono tolto l’etichetta di “capo”, ho riassaporato di più la libertà, le mie scelte e i momenti in cui le sentivo veramente.

    Ho capito così che non è facile fare il capo-spedizione quando si vuole fare l’alpinista!

    Simone Moro - Sono diventato più  saggio, forte, carismatico e risoluto come persona e dunque ho saputo essere all’altezza. Io però ho sempre fatto alpinismo in piccolissimi team a parte rarissime occasioni nelle quali ho però saputo guardare dritto negli occhi chiunque.

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