Prefazione a cura di Kurt Diemberger

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Articolo tratto dal libro:

La montagna: una scuola di management
"La montagna: una scuola di management. La determinazione del singolo e della squadra sono le chiavi del successo sul K2 come in azienda" di Agostino Da Polenza (Presidente Everest-K2-CNR) e Gianluca Gambirasio, FrancoAngeli 2008

Prefazione a cura di Kurt Diemberger

Scrivere del perché la montagna può essere una scuola di management non è estraneo alla mia esperienza di insegnante, di alpinista e scrittore di montagna e cineasta delle alte quote.

Già in passato ho usato la mia esperienza alpinistica e professionale come esempio e stimolo per la motivazione di manager di aziende che mi avevano chiamato per raccontare, a volte con l’aiuto di diapositive, le mie scalate.

Certo così è più facile far comprendere che l’alpinista, al pari del manager, deve essere motivato e trovare stimoli molto forti, oltre che avere molta passione per raggiungere il suo obiettivo.

Quasi sempre la cima di una montagna, la vetta, è l’atto finale di un sogno o di un’avventura, la si può raggiungere per percorsi diversi, con difficoltà più o meno elevate, su terreni che possono anche essere molto differenti, nella stagione invernale o estiva.

Dunque se l’obiettivo primo, la vetta, è chiaro per l’alpinista, anche le modalità per raggiungerlo devono esserlo perchè questo determina il valore della sua impresa.

Ma ci sono anche la preparazione, l’esperienza, la conoscenza, i mezzi che si possono utilizzare.

Ho partecipato nella mia vita a decine di spedizioni. Molto diverse le une dalle altre. Le prime, quand’ero giovane, erano avventure vere anche nella fase di preparazione e lo diventavano ancor di più durante la fase esecutiva.

Dalla prima spedizione al Broad Peak con Hermann Buhl, quando salimmo in prima assoluta questa montagna più di 50 anni fa, inaugurando la mia lunga carriera alpinistica, alle spedizioni di questi anni alle quali ho partecipato, come quella organizzata per la celebrazione del 50° anniversario del K2, ho vissuto esperienze molto diverse tra loro.

L’alpinismo si è evoluto, non sempre in senso positivo perché al miglioramento della qualità dei materiali e delle prestazioni sportive dei campioni si è qualche volta contrapposto il deterioramento e lo svilimento dei valori che le spedizioni commerciali e l’affluenza di masse di alpinisti poco preparati hanno portato sulle montagne.

Per non parlare del deterioramento dell’ambiente. Ecco, proprio dei valori bisognerebbe tornare a parlare, anche nelle aziende, tra i manager.

Il Gran Zebrù o le Grandes Jorasses, il K2 o l’Everest sembrano immobili anche se non immutabili ed è il nostro rapporto con loro, la nostra sensibilità che diventa la forza e la motivazione del nostro salire su queste cime. Il rischio è di salirle senza comprenderne la bellezza.

Ma la montagna non è solo cose belle e piacevoli.

Il rischio dell’insuccesso deve essere calcolato e ben ponderato, e deve trovare il suo spazio nelle motivazioni e nei valori che noi sentiamo di voler rappresentare.

Anche il rischio materiale deve essere calcolato con molta attenzione. L’alpinismo, e in particolare quello himalayano, è un’attività estremamente pericolosa. Sono diverse le persone  che ho visto perdere la vita, alcune a me vicinissime, altre volte io stesso ho corso questo rischio, come sul K2 nel 1986.

Ma rischiare è necessario per raggiungere l’obiettivo, per comprendere il fascino e la bellezza di quegli enormi cristalli di ghiaccio e roccia che sono le montagne dell’Himalaya.
Il premio è la soddisfazione interiore, la certezza di avercela fatta, il riconoscimento, il potersi sentire realizzati come uomini e professionisti.

A volte ho questa stessa sensazione  quando scrivo l’ultima pagina di un libro,o quando riesco a creare un film, per raccontare una storia, quella della mia vita,  delle mie montagne e delle mie avventure, degli incontri con tante persone.

Kurt Diemberger


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