Articolo: Lavorare senza essere formati

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Lavorare senza essere formati รจ come scendere in campo senza essere allenati

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L’analogia tra il mondo dello sport e le realtà organizzative occupa da diversi anni un posto di primo piano nella letteratura specialistica e nelle prassi formative all’interno delle organizzazioni.

Il gioco di squadra, il coaching, dirigenti a bordo di barche a vela, esercitazioni in ambienti naturali, rappresentano le modalità più recenti di sviluppo della professionalità all’insegna dello spirito sportivo. Agonistico, naturalmente.

Il concetto di professionalità, cosi usato e anche a volte abusato, è talmente ricco di sfumature che risulta molto impegnativo spiegarlo con una semplice definizione.

Proviamo quindi ad interpretarlo attraverso un “gioco formativo” che ci condurrà direttamente al cuore del significato attuale del termine, da cui prenderanno avvio le nostre riflessioni.

Prima fase: pensate liberamente a tutti gli elementi che possano caratterizzare in generale il concetto di professionalità e scriveteli in successione verticale al centro di un foglio bianco.

Seconda fase: disegnate una valigia intorno alle parole o espressioni che avete evidenziato, accessoriata con un manico e due serrature.

Potete osservare ora l’immagine della valigia intesa come il bagaglio professionale che ognuno di noi si porta dietro da quando ha iniziato a studiare fino all’attuale attività lavorativa.
Siamo alla terza fase del gioco: consideriamo i tre elementi basilari della valigia:

  • Il contenuto, rappresentato dall’insieme dei fattori inclusi all’interno del disegno
  • Il manico
  • Le serrature

Riflettendo sul concetto di professionalità associato all’immagine della valigia, se doveste scegliere per importanza uno solo dei tre elementi costitutivi, quale scegliereste?
Perché proprio quello?

In questo gioco analogico la risposta “giusta” corrisponde alla fondamentale riflessione che ognuno di noi è oggi chiamato a fare ragionando di professionalità.

Fermo restando il fatto che, rispetto alla “valigia”, tutti e tre gli elementi sono importanti – chi ha scelto il contenuto ha individuato la sostanza, chi ha indicato il manico ha optato per la trasportabilità – l’attenzione ricade su chi ha identificato nelle serrature la necessità e/o l’opportunità di aprire e chiudere la valigia utilizzando il contenuto in funzione delle esigenze e delle situazioni che di volta in volta possono presentarsi.

Non solo utilizzare: anche aggiungere, togliere, rivedere, riadattare…

Il nocciolo della questione è proprio questo: le “serrature” rappresentano il meccanismo mentale, l’atteggiamento di fondo o, se preferite, la forma mentis costituenti la piattaforma sulla quale edificare la propria professionalità a prescindere dal tipo di lavoro svolto o dal settore merceologico nel quale si opera.

Possiamo dunque sintetizzare gli elementi che entrano in gioco nel far funzionare efficacemente le nostre serrature: apertura mentale, tensione intellettuale ed emotiva verso la scoperta del nuovo, capacità di dare una pronta risposta agli eventi, di governare efficacemente il cambiamento, spirito imprenditoriale, apprendimento continuo, iniziativa commerciale.

In questa prospettiva, saper aprire e chiudere tale dispositivo psicologico significa per esempio la capacità di capitalizzare l’esperienza passata in funzione delle esigenze attuali e future.
In un’espressione, essere flessibili.

A partire dagli anni ’90, le società capitalistiche avanzate si sono preoccupate molto di inculcare il concetto di flessibilità nelle giovani e meno giovani menti alle prese con un mercato del lavoro dalle evoluzioni sempre più imprevedibili lasciandolo sostanzialmente una sorta di dogma al quale riferirsi fideisticamente con maggior o minor convinzione, a seconda dei casi.

Il risultato della strumentalizzazione del termine a fini manipolativi ed oscurantistici è stato il passaggio dalla flessibilità alla precarietà, con tutto quello che ne è derivato in termini di impatto esistenziale per le persone[1].

Diversi stagisti, ad esempio, o vengono messi a fare fotocopie, o vengono impiegati a svolgere reali mansioni retribuiti con irrisori rimborsi spese.
Pochi si sono invece preoccupati di tradurre il concetto di flessibilità in significati etici e realmente spendibili sia nelle realtà lavorative, sia nelle istituzioni universitarie e formative.

In sostanza, associata all’idea di professionalità, è più opportuna l’espressione “prontezza all’azione” che l’astratta flessibilità, per riassumere tutti gli atteggiamenti legati all’energia, alla motivazione e all’espressione di potenzialità degli individui, unici alleati di se stessi nell’affrontare l’attuale situazione socioeconomica.

Il motto latino “Faber est suae quisque fortunae”[2] è più che mai attuale: il faber è il fabbro che batte il ferro caldo sull’incudine, forgiando un attrezzo da lavoro oppure una spada…
Come l’artigiano colpisce con forza e nello stesso tempo con precisione la materia incandescente per produrre un risultato durevole, così ognuno di noi dovrebbe fare con le proprie potenzialità, il “materiale grezzo” da trasformare in risorse personali utili ed efficaci nel tempo.

Un’operazione del genere sarà possibile solo se le istituzioni scolastiche ed universitarie sapranno fornire la metodologia di base per imparare ad imparare ed imparare ad applicare.
Le analisi dei contesti accademici e delle strutture dedicate all’orientamento in Italia dimostrano che attualmente questo avviene di rado.

Oggi la formazione professionale, nelle aziende come negli enti accreditati per erogarla, oltre a perseguire la sua missione istituzionale di “sviluppo di competenze”, si fa carico di colmare dei gap anche a livello di conoscenze di base o esperienze pratiche di lavoro laddove i sistemi scolastici ed universitari falliscono nel fornire alle persone strumenti concreti per affrontare il mondo del lavoro.

Provo a spiegarmi meglio con alcuni esempi: come fa oggi uno studente che vuole iscriversi ad Ingegneria navale ad “orientarsi”, vale a dire a capire se gli studi corrispondono al tipo di lavoro che gli piacerebbe realmente svolgere? Oppure come fa una ragazza che vuole fare la Giornalista a comprendere se quella è una strada realisticamente percorribile per lei? Nella migliore delle ipotesi, entrambi troveranno depliant cartacei e siti internet in grado di fornire una mole di informazioni più o meno attendibili.

La criticità risiede proprio in questo: entrambi maneggiano solo informazioni.
Dov’è l’esperienza diretta? Come possono realizzare il necessario collegamento tra i modelli teorici e la pratica del lavoro?

In realtà, l’orientamento del futuro ingegnere navale dovrebbe consistere nel trascorrere una settimana in un porto importante e/o in un cantiere navale mentre alla “giornalista” sarebbe senz’altro utile immergersi alcuni giorni nella redazione di un quotidiano.

Un’efficace attività di orientamento deve configurarsi con queste modalità se vuole costituirsi come il necessario punto di partenza della costruzione di un progetto professionale legato al futuro lavorativo delle persone.

Nel concetto di professionalità confluiscono dunque tutta una serie di fattori di carattere personale – predisposizioni, atteggiamenti, stili di vita – ed esperenziale – il percorso di studi, le opportunità di mettere in pratica le conoscenze acquisite e lo sviluppo delle competenze sul campo e/o attraverso attività formative.

E’ utile chiarire che una persona professionale è anche competente ma non è detto che una persona competente sia anche professionale! Basti pensare a fattori cruciali come l’etica o l’intelligenza emotiva nei rapporti interpersonali.

In ogni caso, le competenze rappresentano l’intelaiatura della professionalità.

Possiamo definire la competenza come la capacità, che nel tempo diviene abilità, di svolgere un compito od una serie di compiti in modo autonomo, in forma non episodica, facendo fronte ad imprevisti o in condizioni non ottimali.

Tengo a precisare, rispetto a questa definizione, che le “condizioni non ottimali” rappresentano in sostanza la quotidianità.

La gestione del quotidiano, l’abilità di risolvere i problemi ed il creare valore aggiunto nel lavoro rappresentano il banco di prova del vero professionista, ovvero colui o colei che è motivato ad ottenere risultati eccellenti nel proprio settore.

L’eccellenza, in questo senso, è legata sia al raggiungimento di obiettivi quantitativi – fatturato, produttività, rispetto scadenze, numero pratiche evase o dati immessi in un tot di tempo, telefonate gestite efficacemente – sia di obiettivi qualitativi – sentirsi realizzati nel lavoro, creare un piacevole clima interno, contribuire creativamente nelle attività del proprio team, produrre idee innovative, partecipare alla presa di decisioni, definire standard di miglioramento.

La professionalità è dunque il risultato costantemente riveduto ed aggiornato dell’integrazione di più competenze: tecnico-specialistiche, organizzative e relazionali.

Come un diamante grezzo estratto dalla miniera delle proprie potenzialità ed esperienze di vita, ogni giorno siamo chiamati a lavorarci per trasformarlo in un prezioso gioiello che custodiremo nel tempo con le sue due più grandi peculiarità: la forza – diamante viene dal greco: “àdamas”, l’invincibile, l’indomabile – ed il valore.

Ecco il motivo per cui, da questo punto di vista, è l’unico investimento sicuro sul quale puntare
Le competenze integrate determinano il livello di prestazione professionale o performance.

Tale termine si riferisce ad un comportamento organizzativo orientato ad un risultato soggetto a valutazione; è dunque sistematicamente presente qualcuno che valuta le nostre prestazioni: il committente, il management, la persona o il reparto di un organizzazione destinatari di un prodotto/servizio, un pubblico pagante, gli azionisti, il mercato stesso.

La motivazione gioca un ruolo essenziale nel realizzare performance eccellenti.

Essere determinati a livello individuale è una condizione necessaria ma non sufficiente dal momento che occorre anche vivere in un contesto lavorativo motivante.

Dalla mia esperienza di consulente e dall’analisi del mercato del lavoro attuale posso affermare che in Italia sono poche le aziende ed i manager in grado di creare ambienti di sfida e condizioni di lavoro tali per cui le persone possano esprimere il massimo del loro potenziale, senza stressarsi.

Questo da un lato per incapacità, dall’altro per gli scenari di precarietà e sfruttamento di cui ragionavamo prima.

Il fatto comunque incoraggiante è che gli individui motivati, vale a dire che hanno voglia di realizzare e realizzarsi, sono la maggioranza!

Se la prestazione è la manifestazione concreta delle competenze possedute dal singolo o da un gruppo sul “campo da gioco”, “l’allenamento”, la “preparazione atletica”, il “provare gli schemi” diventano l’indispensabile prerequisito della professionalità.

Lavorare senza essere formati

L’equazione analogica a questo punto è facilmente intuibile: la formazione sta ai professionisti aziendali come l’allenamento sta agli atleti.

In nessun settore oggi ci si può improvvisare o affidare allo spontaneismo; è quindi utile tenere a ben a mente Pasteur quando afferma : “Il caso aiuta solo chi è preparato”.
A proposito di preparazione, negli ultimi anni si sono confuse le idee riguardo la corrispondenza tra attività formative e le tipologie di apprendimento ad esse legate.

In sintesi, sotto il cappello “formazione” è stato messo di tutto, senza specificare, in taluni casi, che tipo di apprendimento derivasse da quei processi e soprattutto quale sbocco professionale potesse avere nella realtà.

Trovo opportuno quindi distingue le seguenti attività differenziandole in termini di attori, caratteristiche dei processi e risultati ottenuti:

  • Istruzione professionale
  • Addestramento
  • Formazione
  • Coaching

Tutti i corsi svolti con mera finalità didattica, vale a dire non collegati a sbocchi lavorativi diretti né a momenti strutturati di applicazione delle conoscenze acquisite, rientrano nel campo dell’istruzione professionale che assicura un livello di conoscenza teorica – più o meno significativo – riguardo un certo tipo di contenuto come ad esempio un corso di marketing.

Bisogna constatare che la maggior parte dei corsi finanziati, proposti per lo più ai giovani, rientrano in quest’ambito creando spesso false aspettative legate alle prospettive di lavoro.

L’addestramento invece è un’attività pratica mirata a sviluppare nell’individuo capacità tecnico-specialistiche legate all’utilizzo di mezzi e strumenti in diversi campi di applicazione – meccanica, elettronica, informatica, comunicazione.

Tale modalità di apprendimento si basa prevalentemente su affiancamenti sul campo, in cui la persona integra l’imparare osservando con l’imparare facendo, con la supervisione di un trainer o di un tutor la cui funzione è di fornire sia indicazioni teoriche, sia feedback pratici di supporto – evidenzia ciò che è fatto bene – sia correttivi – suggerisce cosa va corretto.

La funzione dell’istruttore in questi casi può essere svolta da un collega più esperto, dal responsabile diretto o da un consulente esterno.

La caratteristica peculiare che invece identifica un processo di apprendimento come “Formazione” consiste nell’integrazione dell’addestramento tecnico-specialistico con le attività finalizzate all’approfondimento degli aspetti psicologici e comportamentali in funzione dei ruoli che le persone devono ricoprire. Tale integrazione non necessariamente deve avvenire in contemporanea, anzi, nella realtà, le due fasi sono spesso alternate nel tempo.

E’ opportuno comunque ricordare che, nei casi in cui l’addestramento tecnico viene integrato contemporaneamente con la formazione comportamentale, il beneficio per i partecipanti è nettamente superiore rispetto alle “situazioni scisse”.

La professionalità di un venditore, ad esempio, si costruisce sia grazie ad attività di addestramento sul prodotto – quali sono le caratteristiche, come funziona, come si dimostra al Cliente il suo funzionamento – sia con attività formative mirate all’acquisizione di capacità di comunicazione e relazione con il Cliente, di utilizzo di tecniche e metodologie di vendita, di organizzazione dell’attività, di gestione del tempo.

Anche un addetto al call center inbound di un’azienda si professionalizza sia attraverso attività di addestramento – gestione tecnica della postazione – sia formative – sviluppo competenze legate alla comunicazione e alla qualità del servizio.

In tale prospettiva, la formazione crea un reale valore aggiunto nel momento in cui garantisce ed assicura agli individui il coinvolgimento in un processo “total learning”, in cui l’osmosi continua e circolare tra modelli teorici, modalità applicative e l’esperienza pratica ri-definisce il significato profondo delle attività lavorative in un'ottica dinamica ed evolutiva.

Role playing specifici, esercitazioni, simulazioni, attività di team building, casi di studio reali, rappresentano le metodologie formative più efficaci nella “preparazione atletica” delle persone che mirano a sviluppare una professionalità quanto più possibile in armonia con il proprio modo di essere come individui.

Un’avvertenza: “preparazione atletica agonistica” non significa “ esaltazione militare”.
Vengono attualmente praticate delle attività, spacciate per formative, che ricordano quelle che il Sergente Hartmann del film Full Metal Jacket[3] imponeva alle sue reclute!

Il coaching è un processo formativo strutturato, gestito “uno ad uno”, che mira a sviluppare le potenzialità dell’individuo inteso come persona completa, non necessariamente quindi con finalità applicative nell’ambito professionale.

Il coaching riguarda in particolare il rafforzamento di capacità specifiche richieste per realizzare con successo un compito od una performance.

Il Coach punta a far emergere risorse e consapevolezze latenti nel suo Coachee, affinché quest’ultimo le individui e le canalizzi verso il raggiungimento delle mete personali e/o degli obiettivi lavorativi desiderati.

Un esempio di tecnica formativa , che fa leva su alcuni elementi chiave del coaching come la comunicazione, l’applicazione e la progettualità, è la cosiddetta “GROW”:

  • Goals – Quali obiettivi bisogna/desideri raggiungere?
  • Cosa vuoi vedere accadere, che attualmente ancora non accade ?
  • Reality – Come collegherai il raggiungimento degli obiettivi alla tua realtà?
  • Come utilizzerai realisticamente il risultato?
  • Options – Cosa può essere fatto? Quali le strade percorribili? Quali alternative?
  • Way forward – Cosa farai concretamente per andare avanti? Quale piano d’azione?

Giunti alla conclusione di questo articolo dedicato allo sviluppo della professionalità, è evidente il ruolo cruciale giocato dagli operatori della formazione e dai consulenti.

Consulenza come termine viene da consiglio; dare il “buon consiglio” può rappresentare quindi l’essenza stessa del “mestiere di consulente”.

Indico questa espressione con le virgolette perché di fatto, chi più chi meno, in un certo momento della vita, si ritrova a dare il suo personale consiglio a qualcuno.

Ecco allora che in quel preciso istante, il benessere, il suggerimento o l’incoraggiamento che l’interlocutore si aspetta di ricevere sono nelle mani o per meglio dire, nella bocca di chi sta per pronunciarsi.

Insomma…c’è un Azzeccagarbugli in ognuno di noi!

Chi invece sceglie per mestiere di fare il consulente, il formatore, l’insegnante, il professore universitario, il coach, si incammina su una strada che non è soltanto passione autorealizzativa ma anche e soprattutto dedizione autentica nei confronti di tutti coloro che fruiscono dei suoi servizi e che si aspettano un preciso valore aggiunto anche e soprattutto etico.

Deve essere una persona che si impegna nei confronti del mercato nel dare informazioni corrette e che si assuma la responsabilità di essere trasparente nell’azione, nel rispetto di individui ed ambienti.

Il consulente non parla come un oracolo e tanto meno con “l’effetto esperto”, calando le cose dall’alto: è un professionista che facilita la comunicazione, stimola la riflessione, suggerisce metodi da applicare, comportamenti da modificare, strumenti da utilizzare.

Tutto questo perché il vero sviluppo è sempre accompagnato dal progresso, da quel “comprendere più in profondità” i significati della vita, discenti delle esperienze del passato, generosi nei confronti del presente, entusiasti rispetto al domani per creare un mondo al quale le persone desiderino veramente appartenere.

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[1] Cfr. Richard Sennett, “L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale” Saggi Universale Economica Feltrinelli, 2001
[2] Traduzione: “Ognuno è artefice del suo destino”
[3] Stanley Kubrick, “Full Metal Jacket”, 1987

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