L’approccio ragionieristico-contabile alla vita dei Cittadini

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L’approccio ragionieristico-contabile alla vita dei Cittadini

di Stefano Greco

Articolo pubblicato sulla Rivista HR On Line dell’Associazione italiana Direttori del Personale nel Settembre 2012.

Nelle “Cronache”, scritte da Rodolfo il Glabro nell’Anno del Signore 1033, leggiamo che le persone arrivavano ad uccidere anche per un uovo.

All’epoca, l’Europa era una selva oscura nei cui anfratti si nascondeva gente veramente affamata e disposta a tutto pur di sopravvivere.

Le svettanti torri delle prime Abazie segnavano l’inizio di quei “tempi bui” destinati a protrarsi fino ai nostri giorni.

Si, perché dal Medioevo, secondo me, ancora non ne siamo usciti del tutto.

Basti pensare a parole come “Caste”, “Corporazioni”, “Gabelle”, “Accise”, “Apprendistato”, “Schiavi moderni globali”, “Esodati”, ai processi caduti in prescrizione senza la condanna del potente signorotto di turno o a quei benzinai e tabaccai uccisi per un “uovo-bottino” da trecento euro.

Osservando, dunque, quello che accade intorno a noi, ci rendiamo conto che la vera civiltà deve ancora arrivare.

La conseguenza di questo eterno Medioevo è che dai parametri di Maastricht in poi, la nostra vita di Cittadini è stata iscritta su dei registri contabili, come anche l’esistenza degli Stati-Nazione europei. PIL, spread, redditometro, spesometro, tracciabilità dei pagamenti, verifiche sui conti correnti, ISEE, CUD, IMU & Co. sono gli elementi che, kafkianamente, ci hanno trasformato in “Modelli Unici” ambulanti.

L’approccio ragionieristico-contabile alla vita dei Cittadini

Chiarito il fatto che in uno Stato democratico le tasse sono sacrosante, che l’evasione e l’elusione fiscale sono da condannare e che la Guardia di Finanza sta svolgendo un ottimo lavoro, il problema rimane sul piano psicologico e sociale nel momento in cui il Cittadino viene considerato soltanto come un contribuente, magari guardato con il velato sospetto del potenziale evasore.

Oggi, al necessario pagamento delle tasse non corrisponde la necessaria fruizione di servizi pubblici.

Per tale motivo, ritroviamo cittadini malati che vengono ammassati sul pavimento degli ospedali e gli alunni delle scuole senza carta, sia quella igienica, sia quella per fare le fotocopie.

La storia delle “repubbliche italiane” – ormai abbiamo perso il conto di quante ne siano succedute dal secondo dopo guerra in poi – è caratterizzata dal micidiale binomio del “Troppi sprechi - Troppi tagli”.

La Grande Tristezza che avvolge come una nube tossica i Cittadini europei è causata proprio da questo approccio ragionieristico-contabile alla loro vita; un’esistenza condizionata dall’incubo permanente dei conti pubblici e dal rischio default.

Nel Medioevo, erano la peste e le carestie a falcidiare le persone, ora sono la privazione del lavoro e l’ormai cronica mancanza di leader efficaci nel produrre benessere individuale e sociale.

Nessuno, infatti, ha pensato di introdurre anche un “Feliciometro” in qualche manovra finanziaria.

Nessuno si preoccupa concretamente se le persone stanno bene oppure no, se i genitori vengono aiutati nell’impresa umana più difficile che è quella di crescere figli, se i cantieri delle autostrade, delle strade, delle metropolitane vengono gestiti correttamente oppure se c’è sperpero di denaro pubblico.

Siamo afflitti ormai dall’atavica “Sindrome della Salerno-Reggio Calabria”, l’emblema di tutte quelle opere, di quelle idee, di quei progetti di sviluppo, di quelle riforme che, come la tela di Penelope, vengono fatti, rifatti e disfatti in continuazione, in attesa di un Ulisse che finalmente arrivi a liberarci dai tanti Proci che ancora infestano le case del potere.

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