La psicologia dell'errore

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La psicologia dell'errore


“Troppo poco e troppo tardi” potrebbe essere l’epitaffio di certi piloti inesperti e/o irresponsabili le cui manovre hanno causato danni irreparabili, primo tra tutti la perdita di vite umane.

Il recente caso della nave Costa Concordia ce lo testimonia in modo drammatico.

Se “errare è umano”, perseverare nell’errore è…sempre tragicamente umano! Il “diavolo che ci mette lo zampino” – inteso come il fattore esterno scatenante – è soltanto un elemento di innesco: l’uomo è comunque tenuto a cavarsela rispetto ai suoi ed altrui errori.

Il mito della “scatola nera”, la cui disperata ricerca in caso di incidenti rimanda all’umana ansia di distinguere l’impercettibile confine che separa l’errore umano dalla “fatalità”, rimanda sistematicamente all’unica domanda possibile: “Perché è successo?”.

Distrazione? Incompetenza? Fretta nel prendere una decisione? Calcoli sbagliati?

Negligenza? Emotività? Nel processo per la strage dell’acciaieria Thyssen Krupp di Torino del dicembre 2007, l’imputazione a carico dell’amministratore delegato della società fu di omicidio volontario, in quanto, secondo i giudici, avrebbe “Coscientemente risparmiato sulla sicurezza accettando il rischio di incidenti anche gravi”.

Quel “coscientemente” evidenzia la più grave causa di errore: la volontaria trascuratezza del fatto che un rischio – termine che indica una certa probabilità che si verifichi un evento dannoso – possa trasformarsi presto in un pericolo – termine che indica la certezza che si verificherà un evento dannoso.

Le cause degli errori possono essere diverse, a volte intrecciate tra loro e comunque difficili da isolare anche attraverso un’accurata analisi.

In ogni caso, la psicologia dell’errore ci ricorda che, nel nostro mondo umano, non sbagliare mai è impossibile e che può accadere di fallire anche l’azione correttiva.

Un altro tratto caratteristico degli errori umani è il loro essere recidivi.

Non soltanto commettere con preoccupante frequenza gli stessi errori ma sbagliare ripetutamente, ogni volta facendo in ritardo quello che serve o sarebbe servito la volta precedente per risolvere un problema, è lo stile di una persona e/o di un’organizzazione destinate al fallimento.

Negli ultimi anni, le prassi manageriali applicate nella gestione degli errori sono state influenzate da due “scuole di pensiero”:

  1. La scuola dell’ “Elogio dell’errore”.
  1. La scuola della “caccia alle streghe” all’interno dell’organizzazione, con effetto “tribunale” per i “colpevoli” che avevano commesso gli errori.

Nel primo caso, troviamo gli euforici degli errori.

Questa scuola di pensiero li interpreta soprattutto come opportunità “democratica” – nel senso di praticabile da tutti – di apprendimento.

Tali “democratici dell’errore” si collocano sull’evangelica prospettiva del: “Chi è innocente scagli la prima pietra”.

Tuttavia, questa visione positiva e di per se utile dell’errore è stata ben presto spinta oltre il limite di un eccessivo entusiasmo che ha proiettato lo sbaglio in una dimensione quasi mistica di un evento da elogiare, da vivere in modo spericolato nella cornice di un’avventurosa sperimentazione.

Ecco alcune citazioni che rimandano culturalmente a questo approccio:

  • “Ho provato, ho fallito. Non importa, proverò di nuovo. Fallirò meglio” (Samuel Bechett)
  • “Il più grande sbaglio nella vita è quello di avere sempre paura di sbagliare” (Ron Hubbard)
  • “Una vita spesa a fare errori è sempre meglio di una vita spesa a fare nulla” (Henry Ford)
  • “Un errore è un’opportunità in abito da lavoro” (Henry Ford)
  • "La peggior vergogna per un uomo non è certo il fallire. E' il non tentare"
    (Winston Churchill)
  • “L’errore è un evento di cui non se ne sfruttano abbastanza i vantaggi” (Kay Withmore)

La letteratura più recente elogia l’errore come incentivo ai cambiamenti, gli sbagli come propedeutici alla teoria darwiniana della selezione naturale: sopravvive chi, commettendo errori e producendo cattive idee, riesce ad adattarsi perché, finalmente dopo tanti tentativi, trova la buona idea.

C’è anche un filone di pensiero che elogia il fallimento come propulsore del mercato, nel senso che vede le aziende un po’ come le foglie sugli alberi: fioriscono in Primavera, inverdiscono d’Estate e cadono in Autunno: un processo necessario ai cicli biologici della Natura.

Infine, troviamo uno degli “assiomi” preferiti dagli euforici della Programmazione Neuro Linguistica: “Non esistono fallimenti, solo risultati”.

A questo punto, provate ad immaginare:

  • Un chirurgo che, durante un’operazione, proceda per “prove ed errori” oppure, dopo aver compromesso la salute del suo paziente a causa di un gesto maldestro, dica: “Non è stato un fallimento, solo un risultato”.
  • Un pilota di un aereo o il comandante di una nave che provino a “fallire meglio”.
  • Il Governo di uno Stato che “spenda la sua vita legislativa a fare errori”.
  • Un top manager che fa fallire la sua azienda perché ritiene il fallimento “centrale al funzionamento del capitalismo” – forse del proprio capitale, dal momento che intascherà comunque una buona uscita milionaria.
  • Un insegnante che a scuola incentivasse i suoi allievi a sbagliare.
  • Una guida alpina che lasci il suo gruppo commettere errori durante una cordata.
  • Un istruttore paracadutista che dica al suo allievo: “Se commetti un errore nell’apertura del tuo paracadute, non ti preoccupare: è una grande opportunità di apprendimento!”

Ora traete le vostre conclusioni sulla scuola di pensiero “Elogio dell’errore”.

La seconda scuola di pensiero, quella del “Chi è stato a commettere l’errore?”, con la conseguente caccia al colpevole da punire, rappresenta invece il terreno ideale per far crescere la deresponsabilizzazione, la pratica dello scaricabarile, dell’insabbiare i problemi e far proliferare gli alibi preferiti dalle persone all’interno delle organizzazioni:

  • “Io non c’ero”
  • “L’errore non dipende da me”
  • “Questo non rientra nelle mie mansioni”
  • “La colpa è del Cliente”
  • “E’ il sistema che non funziona”
  • “Siamo sottodimensionati”
  • E’ l’effetto della crisi”
  • “Andiamo sempre di fretta, è normale fare errori”
  • “E’ colpa dello stress!”

Chi ci rimette, naturalmente, è la qualità del servizio e la soddisfazione dei clienti, interni e finali.

Possiamo trarre le nostre conclusioni anche su questa scuola di pensiero che potremmo definire: “Di chi è la colpa?”.

Questo manuale, invece, vuole aprire la strada allo sviluppo nelle organizzazioni di un diverso approccio culturale all’errore: quello del realismo e soprattutto della prevenzione.

Prima di tutto, è necessario sbarazzarsi una volta per sempre dell’ottocentesco mito pedagogico del “Sbagliando s’impara”.

L’ottica della prevenzione assume proprio come principio il fatto che: “Se dispongo di una informazione e/o di una istruzione operativa utili prima di approcciare un’esperienza, la probabilità di commettere un errore sarà ridotta drasticamente ed eviterò anche le spiacevoli conseguenze dell’ “apprendimento per esperienza non mediata”. In altre parole, non ho bisogno dell’esperienza di essere travolto da un autobus a due piani a Londra per apprendere che gli Inglesi guidano a sinistra e quindi imparare a guardare prima in quella direzione e poi a destra se voglio attraversare una strada: se qualcuno me lo dicesse prima, mi risparmierei, nella più fortunata delle ipotesi, l’ospedale.

Puntualizzato questo aspetto, all’interno delle organizzazioni è necessario sviluppare la consapevolezza collettiva riguardo quattro assiomi fondamentali:

  1. Un errore può sempre essere prevenuto
  1. Un errore può sempre verificarsi (“L’errore fa parte dell’uomo, per questo motivo bisogna essere tolleranti”. Bertrand Russel)
  1. Un errore deve essere corretto subito, indipendentemente da chi lo commette.
  1. Gli stessi errori ripetuti nel tempo indirizzano verso il fallimento.

Al Cliente finale, al collega dell’amministrazione o al nostro capo, non interessano le colpe ma soltanto le soluzioni.

Il primo livello dell’approccio realistico è: gli errori causano problemi che devono essere risolti in tempi rapidi.

La psicologia dell'errore

Il secondo livello, più evoluto, riguarda l’obiettivo delle prevenzione: se riusciamo ad evitarli, siamo sulla strada giusta per sviluppare l’eccellenza.

In sintesi, noi elogiamo le soluzioni e non gli errori.

Siamo euforici riguardo il “senno del prima” e la strategia della prevenzione.

Tuttavia, in caso di errore, ogni persona, a tutti i livelli aziendali, deve sentirsi responsabilizzata e motivata ad utilizzare la tecnica RAC:

  • Rilevare
  • Ammettere
  • Correggere

Saper rilevare un errore, quando non è un software, un dispositivo o un tester elettronico a farlo al posto nostro, è una competenza essenziale per chiunque, da applicare in ogni contesto lavorativo e professionale.

Ammettere di averlo commesso, ci responsabilizza nei confronti del nostro stesso operato e ci spinge quindi a non ripeterlo in futuro.

Tale ammissione responsabilizzante, pone le basi per costruire un clima di fiducia nell’organizzazione ed un ambiente di adulti che non si nascondono nell’armadio e non temono ritorsioni per aver commesso un errore.

Le colpe e gli alibi conducono, invece, nella direzione esattamente opposta, verso un clima di paura, sfiducia ed inefficienza.

Saper correggere implica l’applicazione della capacità di risoluzione dei problemi e l’attitudine mentale positiva nei confronti delle criticità.

Dal punto di vista psicologico, come ci poniamo nei confronti dei problemi che si presentano, anche e soprattutto in modo imprevedibile, fa la differenza rispetto alle probabilità di successo o di insuccesso nel trovare la soluzione giusta.

La prevenzione, invece, si ispira a quello che considero il cardine del comportamento competente e quindi dell’eccellenza organizzativa: “Far bene fin dalla prima volta”, vale a dire arrivare preparati ed informati al momento in cui “tocca a noi dare il meglio”.

La preparazione delle persone e la predisposizione di tutte le condizioni organizzative alla base delle migliori performance aziendali sono i requisiti fondamentali per conseguire l’eccellenza.

Non riuscire a prepararsi significa prepararsi a non riuscire: se non investiamo tempo e risorse nell’accurata gestione di tutte le operazioni ed i processi che precedono il contatto con i Clienti, con il Mercato, con i Collaboratori, con i Partecipanti nelle aule di Formazione e con le sfide manageriali che ci attendono, il fallimento è assicurato.

Fare prevenzione degli errori significa creare quelle condizioni organizzative per le quali ogni “momento della verità” – ovvero ogni situazione e/o contesto che rappresentano per noi e la nostra azienda il vero banco di prova delle prestazioni professionali – sarà superato in modo eccellente.

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