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di Stefano Greco - Consulente di direzione aziendale e formatore
Dalla parità dei sessi al nuovo concetto di mainstreaming di genere, l’affermarsi di una cultura valorizzante la donna nei suoi molteplici ruoli privati e lavorativi è stato il vittorioso risultato di aspre battaglie psicologiche, sociali e legislative contro pregiudizi, stereotipi e discriminazioni, per certi versi ancora oggi duri a morire.
Tuttavia, e questo ci incoraggia, qualcosa è cambiato in meglio.
“Le donne non sono persone [...] buone per partorire un figlio dopo l’altro, per lavorare nei campi e nelle filande, senza voci e ignoranti, esseri viventi di proprietà del padre, del marito, del fratello maggiore”1.
Altro che pari opportunità!
La storia delle donne è stata caratterizzata e per certi aspetti lo è ancora, da un gretto maschilismo frutto di convinzioni ed ideologie degne dell’era dei Flinstones.
‘Fred’ e ‘Wilma’, rispettivamente sesso forte e sesso debole, si sono fronteggiati nel tempo in modo sistematicamente squilibrato, in un’ottica “io vinco tu perdi”, con il risultato che la donna si è sempre ritrovata a fare l’acrobata nelle diverse situazioni della vita.
All’epoca delle rivoluzioni industriali, le donne partorivano tra i macchinari delle fabbriche per non perdere il posto di lavoro, mentre oggi, nell’era delle ‘risorse umane’ e dei lavori ‘atipici’, le condizioni della maternità risultano forse meno drammatiche ma sicuramente ancora molto discriminanti e fortemente limitanti.
Tuttavia, è in atto un movimento di forte consapevolezza sul tema.
Convegni, interventi formativi, workshop, trasmissioni televisive, associazioni e siti internet dedicati affrontano la “questione donna” in modo diverso dal solito, con meno retorica e maggior orientamento a fare qualcosa di concreto a favore dell’integrazione dei ruoli nella gestione della maternità.
La letteratura manageriale contemporanea ragiona in termini di gender diversity management e di work life balance, vere e proprie password di accesso alla gestione moderna delle diversità di genere e alla loro valorizzazione in funzione di un equilibrio lavoro-vita quanto più possibile rispondente ad esigenze di qualità esistenziale.
La prospettiva è andare addirittura oltre il concetto di pari opportunità per approdare ad una visione della donna persona, madre e lavoratrice come espressione di un modello culturale degno di una società che si possa definire civile.
Siamo di fronte, in effetti, a cambiamenti di cui non tutti i sistemi sociali, aziende comprese, hanno intuito la portata rivoluzionaria.
Lo snodo critico, in termini culturali e psicologici, è stato il superamento di una visione caratterizzata da stereotipi ottocenteschi del tipo:
Tali stereotipi conducevano dritti alla rigida identità donna = madre e uomo = potere sociale- politico.
Oggi, per fortuna, la realtà si è completamente trasformata: il modello di famiglia tradizionale si è evoluto, le donne sono entrate già da molto tempo nel mercato del lavoro e risultano statisticamente più istruite e per certi aspetti più brave degli uomini.
Di conseguenza, l’identità delle donne si è fatta più articolata e ricca di sfumature emotivo-esistenziali.
Tali cambiamenti rappresentano delle vere e proprie opportunità sociali nel momento in cui la donna viene valorizzata, ossia concretamente messa nelle condizioni di vivere l’integrazione dei ruoli in armonia con gli ambienti circostanti e soprattutto con lo sviluppo della proprio senso del SE’.
In altri termini, oggi l’identità della donna non si configura più come una serie di status più o meno rigidi e sovrapposti ma piuttosto come una fluida e profonda consapevolezza che attraversa luoghi, tempi, esperienze e linguaggi sempre diversi ed in continuo mutamento.
Ma quali sono le difficoltà che una donna che lavora ancora oggi incontra sulla strada dell’integrazione dei ruoli? Ellen Galinsky, nel suo saggio “Ask the children” (Quill publisher, 2000) approfondisce il tema dell’integrazione dei ruoli nella donna mettendo a confronto due modelli teorici.
Il primo riguarda la teoria dello stress da ruolo, secondo cui interpretare più ruoli – moglie/convivente, madre e lavoratrice – innesca il rischio di un sovraccarico tensionale.
Il secondo modello concerne la teoria dell’espansione da ruolo secondo cui vivere ruoli multipli assicura benessere e può essere fonte di creatività esistenziale.
La Galinsky propende per il secondo, evidenziando come le mamme che lavorano dimostrano uno stato di salute fisica e mentale migliore rispetto alle donne che non lavorano fuori casa.
L’espressione “lavorare fuori casa” mette definitivamente fuori gioco il termine casalinga espungendolo definitivamente dal vocabolario psicologico e sociale.
A casa, infatti, la donna svolge un vero e proprio lavoro fisico e mentale di gestione della quotidianità domestica, maggiorato a volte dal fatto di avere vicino un marito/compagno poco collaborativo.
La Galinsky articola poi una serie di interessanti riflessioni basate su alcune probabilità che corrono sul binario ruolo lavorativo-ruolo genitoriale:
Altre ricerche sul tema, evidenziano invece che il lavoro della madre, le assenze giornaliere, il fatto che i bambini siano accuditi da altri non influiscono direttamente sulla relazione madre figlio.
Le variabili che entrano in gioco contemporaneamente, sulle quali è opportuno sviluppare consapevolezza, sono:
Volendo sintetizzare storicamente i passaggi-chiave della valorizzazione delle donne e del loro rapporto con l’universo maschile, il primo passo è stato quello di riconoscere la parità dei sessi anche se questo riconoscimento era frutto di una omologazione ad un modello discriminante ancora di stampo maschilistico.
La necessità, invece, di ripensare in modo critico e radicale le strutture e le prassi dei sistemi sociali con l’obiettivo di eliminare le cause profonde e spesso nascoste della disparità tra gli uomini e donne ha condotto al secondo passo fondamentale, il concetto di pari opportunità.
Ormai, ogni ragionamento che riguardi non solo l’integrazione dei ruoli nella donna ma anche in generale i rapporti uomo-donna deve essere improntato alla specularità (stessi diritti, stesso valore come persone) e alla complementarietà (valorizzare/integrare le differenze e le sfumature emotivo- esistenziali) nei diversi contesti di vita.
L’organizzazione del lavoro e le misure che permettono a donne e uomini di armonizzare vita lavorativa, vita familiare e vita personale rappresentano il focus prioritario per gestire con efficacia la gender diversity.
Ad esempio, è opportuno considerare il lavoro part time una scelta valida e desiderabile per entrambi i sessi, in funzione della propria situazione familiare.
Questo significa che se la donna lavora a tempo pieno, guadagnando anche di più del marito/compagno, l’uomo non deve sentirsi né sminuito né deve preoccuparsi più di tanto se lui lavora a tempo parziale dedicando il rimanente tempo ai figli e/o alla casa o se, addirittura, per un certo periodo di tempo non lavora affatto.
I nuovi modelli organizzativi sono dunque chiamati ad introdurre orari e modalità di lavoro flessibili che consentano alle persone di conciliare le sempre crescenti e più articolate esigenze personali e familiari.
Ormai, la concezione del tempo lavorativo come tempo contenitore delimitato da orari di ingresso e di uscita e contesti organizzativi in cui è difficile chiedere ed ottenere permessi fanno parte della preistoria.
Le aziende che rimangono ancorate ad un modello manageriale basato sulla quantità delle ore lavorate piuttosto che ad un paradigma organizzativo driven by results, vale a dire orientato alla qualità dei processi e alle deleghe sui risultati sono destinate a fallire sia sul piano della competitività, sia su quello, per certi versi più importante, dell’etica legata alla responsabilità sociale nei rapporti di lavoro.
La donna che rientra dalla maternità va sicuramente tutelata da quel sentimento di inadeguatezza, rispetto alle richieste e alla aspettative degli altri, che può insorgere a seguito di un prolungato periodo di assenza dal lavoro.
In agguato ci sono anche la depressione post partum ed un possibile senso di colpa per aver lasciato i colleghi in balia di problemi ed altre situazioni lavorative.
Un altro senso di colpa o, se volete, di eccesso di responsabilità, è legato all’idea che lavorare possa danneggiare in qualche modo il bambino e tale sentimento, se non opportunamente elaborato, può portare a due reazioni estreme:
A livello sociale, invece, possiamo riscontrare convinzioni negative e/o pregiudizi che tendono a considerare i genitori che lavorano responsabili per tutti i problemi a cui vanno incontro i figli.
In particolare, quando si punta il dito contro i genitori, le mamme costituiscono generalmente il bersaglio privilegiato.
Un’azienda che invece si preoccupa di dotarsi di infrastrutture e/o servizi di baby caring, con i manager che si dimostrano accorti nell’evitare riunioni a tarda sera e/o che non precludano i percorsi di carriera alle donne che rientrano dalla maternità, possiedono sicuramente una marcia in più a livello di qualità dei sistemi di people management.
Eppure, ancora oggi, esistono discriminazioni e “soffitti di cristallo” che impediscono ad un elevato numero di donne di accedere a posizioni di potere.
La gerontocrazia politica italiana è un tipico esempio di tale sbarramento.
Mi auguro sinceramente di vedere presto una donna come Presidente del Consiglio piuttosto che come Presidente della Repubblica.
Nei colloqui di selezione, infischiandosene anche delle leggi in materia, ci sono selezionatori che ancora inquisiscono la donna chiedendole se ha intenzioni di sposarsi, fare figli o se rimane a casa durante il ciclo mestruale 2.
Al termine di un master, la responsabile (notate, una donna!) chiese “soltanto i curricula dei maschietti”, perché così voleva un’azienda che li avrebbe ospitati per uno stage. Tutto questo nel 2008!
Terzo passaggio-chiave dell’evoluzione del modello socioculturale relativo al rapporto uomo-donna è quello attuale del mainstreaming di genere.
Letteralmente il termine significa "entrare nella corrente principale", ed è la parola inglese usata per indicare che le pari opportunità tra uomini e donne non rappresentano di per sé un problema, ma costituiscono parte integrante della democrazia e dell'equità sociale, e che le politiche, se non sono ben oculate, possono sortire risultati diversi per donne e uomini.
In tale prospettiva, tutte le politiche devono includere intenzionalmente il principio di parità, ed essere soggette a valutazioni per gli effetti che producono sugli uomini e sulle donne.
Per raggiungere questi obiettivi, sono necessarie nuove chiavi di lettura e approcci alle realtà economiche e sociali che rendano visibili le differenze, non solo per creare pari opportunità, ma anche per ricavarne vantaggi complessivi per la comunità, attraverso la loro sistematica valorizzazione.
Le linee guida del mainstreaming di genere nelle politiche UE, espresse ad esempio nel Trattato di Amsterdam del 1997, riguardano alcune specifiche considerazioni e/o indicazioni operative:
Il tema del nostro articolo si inserisce perfettamente in questa corrente principale della gender diversity e delle strategie manageriali per la valorizzazione delle differenze.
In tale prospettiva, possiamo sintetizzare un piano d’azione relativo a cosa c’è da fare e come, per facilitare l’integrazione dei ruoli nella donna, cioè identificare:
Come augurio per un futuro da vivere sempre più all’insegna di una felice complementarietà tra uomini e donne, nel lavoro come nella vita, mi associo al pensiero di Carla Panetta che invita tutte le donne “ad essere sempre più attive, disponibili a mettersi in gioco, a mettere al servizio della società e delle aziende stesse il proprio “essere”, a rendere partecipi gli altri delle proprie rappresentazioni interiori, di quegli archetipi che hanno determinato il nostro modo di vivere che tanto è indispensabile alla costruzione di una diversa società, dove il mondo delle emozioni e dell’affettività ha pari dignità di quello dell’analisi e della razionalità”3.

1 Boneschi M., “Santa Pazienza, la storia delle donne italiane dal dopoguerra ad oggi”, Mondadori, Milano, 1998, pag. 7. Citato in Carla Panetta e Michela Tina Romita (a cura di) “Gender diversità e strategie manageriali per la valorizzazione delle differenze”, Franco Angeli, Milano, 2009.
2 Cfr. il mio ultimo saggio: “Da risorse umane a Persone. Idee, testimonianze aziendali e proposte operative per trasformare la cultura del lavoro in Italia”, Franco Angeli, Milano, 2009
3 Op. cit.
Tratto da L’informatore INAZ n. 6/2009
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