Essere attori di se stessi

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Essere attori di se stessi

Senza ombra di dubbio, possiamo considerare il manager “uno che sta sulla scena”, uomini e donne che ogni giorno, sul palcoscenico aziendale, interpretano un ruolo professionale mettendosi, volente o nolente, al centro di una “rappresentazione”.

La tecnica dell’ “Essere attori di se stessi” consente non solo di sviluppare la risorsa dell’umorismo ma rappresenta un formidabile “laboratorio” per una continua conoscenza di noi stessi.

Ognuno di noi ha l’opportunità di conoscersi attraverso essenzialmente tre modalità, spesso interconnesse: il rapporto con se stessi, le relazioni con gli altri, le reazioni agli eventi esterni.

“Se osserviamo noi stessi e gli altri con sincerità, senza preconcetti e illusioni, dobbiamo riconoscere, anzi constatare, che ognuno di noi rappresenta o recita varie parti nella vita.

Ciò è inevitabile e costituisce la trama dei nostri rapporti interpersonali e sociali.

Ma per lo più recitiamo le nostre parti inconsciamente, senza rendercene conto, e perciò recitiamo male!…

Il recitare una parte o meglio delle parti nella vita, costituisce una tecnica psicosintetica di importanza fondamentale.

Si potrebbe forse considerarla quale tecnica centrale dell'arte di vivere, con la quale tutte le altre sono collegate e dalla quale in un certo senso dipendono".

Sul palcoscenico della vita, ognuno di noi interpreta dunque una serie di ruoli in relazione a specifici contesti: figlio, partner, genitore, amico, amante, capo, collaboratore, cliente, fornitore.

Queste distinzioni sono importanti perché riconducono al fatto che variando i contesti e gli interlocutori di riferimento, cambiano radicalmente aspettative, obiettivi, ragioni, sentimenti ed emozioni legati al ruolo agito in quel momento.

Per ognuno di noi diventa quindi essenziale avere piena consapevolezza del ruolo che si sta “interpretando” in una determinata situazione.

Tale consapevolezza è il prerequisito dell’efficacia interpretativa: come manager, ad esempio, più ho chiaro il sistema delle aspettative convergenti sul mio ruolo (fig.5), tanto più sarò in grado di indirizzare i comportamenti verso la soddisfazione delle aspettative personali (A), dei miei collaboratori (C) e di quelle dell’organizzazione (B).

Essere attori di se stessi

Fig. 5 Il ruolo come sistema di aspettative convergenti

Il richiamo all’origine teatrale del ruolo ci consente di focalizzare le coordinate etimologiche e semantiche entro le quali muoverci per approfondire la tecnica dell’ “Essere attori di se stessi”.

Nell'antichità il termine ruolo era riferito ad un legno di forma cilindrica sul quale erano fissati fogli di pergamena.

Il rotulus avrebbe facilitato la lettura di un documento, svolgendolo man mano con la rotazione.

Nel teatro classico greco e romano, le parti degli attori erano scritte su questi "rotoli" e lette da suggeritori. In questo modo, gli attori imparavano le parti.

Più tardi, nel teatro elisabettiano, le battute del personaggio erano scritte su fogli di carta.

Questo testo, il ruolo del personaggio, venne identificato con l'essenza della parte dell'attore in scena.

Il sentire le “vibrazioni della molteplicità dell'anima” è proprio dei registi e degli attori i quali, entrando nel labirinto dei personaggi “diversi da sé”, come li chiamò William James, li osservano, li identificano e li dirigono.

Con un analogia, possiamo affermare che l’Io cosciente svolge la funzione di regista nei confronti delle “subpersonalità”, ossia quel repertorio di atteggiamenti e modi di essere che ci caratterizzano nel grande teatro della vita.

Secondo Assagioli, è indispensabile riconoscere e dunque accettare le subpersonalità, benché questo compito susciti sorpresa e a volte turbamento: "In generale si passa dall'una all'altra, senza averne chiara consapevolezza (vi è quindi “un’assenza di regia”, n.d.A.): esse sono tenute insieme solo da una vaga memoria, ma in pratica le subpersonalità agiscono come esseri differenti con caratteristiche molto diverse e anche opposte.

Perciò è necessario divenire consapevoli della esistenza di queste subpersonalità in un tutto organico più ampio senza reprimere nessuna delle caratteristiche utili”.

Questo compito è affidato all'Io cosciente capace di identificarsi e disidentificarsi dalle sue subpersonalità secondo il contesto e la situazione in cui opera.

L'attore, come l'Io cosciente, si immedesima nei suoi personaggi in quanto vi aderisce sul piano sia emotivo sia mentale, ma nello stesso tempo "sta ad osservare", è "qualcuno di diverso" rispetto a loro: è il testimone oculare di quanto sta accadendo in quel momento.

Il manager che sviluppa tale consapevolezza diventa abile nell’ osservare se stesso nel corso dell’azione – una riunione, un colloquio con un collaboratore, una conversazione tra colleghi, un training, il lavoro alla scrivania, una negoziazione – e nel praticare lo “sdoppiamento dell’attore” che gli consentirà di apportare eventuali modifiche comportamentali all’interpretazione del suo ruolo manageriale, vissuta in quel momento.

Identificarsi esclusivamente con una subpersonalità è un processo che, da un lato ostacola la crescita personale impedendo l’evoluzione e la versatilità del carattere, dall’altro porta alla creazione di stereotipi ricreati dall’immaginario aziendale: “Il Duro”, “L’Inflessibile”, “Il Piacione”, “Il Ganassa”, il “Generale”, “La Megera” e così via.

Essere attori di se stessi

Tali percezioni condizionano pesantemente i rapporti e la gestione complessiva del sistema organizzativo perché ci troviamo di fronte a persone rigidamente identificate nel potere che il ruolo di comando conferisce loro.

Il manager dall’ “identità rigida”, presenta queste caratteristiche:

  • E’ incapace di valutazione oggettiva nei confronti del proprio ed altrui operato
  • Non accetta il confronto e vive le critiche come un fatto personale
  • Si piace così com’è, è restio ai cambiamenti.
  • Procede come un caterpillar verso la propria realizzazione personale incurante delle conseguenze di decisioni e comportamenti
  • Tende ad identificarsi solo in un tratto della sua personalità.
  • Pratica la Pseudologia, ovvero l’arte di raccontar balle credendo e facendo credere, che siano vere

“Da queste considerazioni ne deriva che è ingenua (ma anche pericolosa, n.d.A.) l’idea che l’identità sia l’essere sempre uguali a se stessi, poiché non vi è identità senza relazione e scambio con gli altri; e poiché non vi è scambio con gli altri senza essere anche un ruolo, ne deriva che noi necessariamente dobbiamo mutare i nostri modi di comunicare e di agire, secondo le nostre abilità di interpretare al meglio i diversi ruoli che assumiamo nella vita”.

Essere attori di se stessi significa anche sapersi caricare e motivare per la miglior performance prima di entrare nella scena organizzativa, esattamente come fa l’attore di teatro nei minuti che precedono il suo ingresso in palcoscenico.

APPLICARE LA TECNICA: I PASSAGGI CHIAVE

Tempo disponibile: Alcune frazioni di secondo

  1. Prendere coscienza di stati d’animo, pensieri e sensazioni generati da un determinato contesto

  2. Uscire mentalmente fuori dalla posizione percettiva primaria – “sdoppiamento dell’attore” – immaginando una telecamera puntata su di noi, di cui noi stessi svolgiamo la funzione di registi-operatori
    Avvertenza: In questa operazione psicologica di sdoppiamento, è opportuno continuare a comunicare normalmente con gli interlocutori che si hanno di fronte, senza distrarsi o lanciare lo sguardo nel vuoto, altrimenti provocherebbe disorientamento!
  3. Avviare un dialogo interno con se stessi, dalla vena umoristica, sulla base di quanto riusciamo ad osservare attraverso la “telecamera” – posizione percettiva esterna

Alcuni esempi di “dialogo interno”:

“Se la riunione continua con quel tono di voce, sortisce l’effetto gas nervino sui collaboratori!”

“Tentare di schivare i fulmini durante una burrasca non è il modo più sicuro per evitarli…
Conviene di più predisporre un parafulmini!”

“Hai pronunciato la frase “siamo un team” almeno dice volte dall’inizio del tuo discorso:
all’undicesima fai bingo!”

“Caro mio, setacci, setacci e lo vedi che qualche pepita ogni tanto la porti a casa?”

“Se c’è rimedio, perché ti preoccupi? Se non c’è rimedio, perché ti preoccupi?”

“Continuare in questa discussione è come cavarsi la sete con il prosciutto”.

“Ti vedo come un pugile atterrato ma non permettere all’arbitro di contare fino a
dieci: rialzati!

“Ti preoccupano i risultati di vendita? Ma ti ricordi di quando …”

Nota: Qui bisogna associare mentalmente un risultato memorabile ottenuto nel campo personale come cime montane raggiunte, fiumi discesi in rafting, vittorie sportive, organizzazione di eventi memorabili…

  1. Dopo aver raggiunto l’obiettivo del “sorriso interiore” – che segnala calma e ponderatezza – , il “regista-operatore” dà lo stop: “si rientra” nella propria posizione percettiva interna, gustando la piacevole sensazione di aver dominato emotivamente la situazione ed aver protetto la nostra sensibilità e l’autostima.

Se non abbiamo avvertito tale percezione, significa che non siamo riusciti nell’operazione di “distacco da noi stessi” e nel “dialogo interno”.

Pazienza, andrà meglio al prossimo ciak!

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