Lo stato dell’arte

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Lo stato dell’arte

Ricordo che, verso la metà degli anni ’90, mi colpì un trafiletto di un quotidiano che titolava:

“Il cabaret in azienda per aumentare la produttività”.

La notizia riguardava un “esperimento” di alcune fabbriche inglesi nelle quali, per due ore a settimana, un gruppo di cabarettisti professionisti intratteneva – secondo una studiata turnazione – operai, impiegati e dirigenti sottraendoli da impianti produttivi e scrivanie per proiettarli in un mondo di risate.

Risultati? Dopo alcuni mesi, alcune rilevazioni misero in evidenza che la produttività aveva subito un notevole incremento con picchi evidenti nelle ore successive al cabaret.

Lo studio del rapporto tra motivazione e produttività rappresenta un classico della letteratura manageriale mentre il binomio umorismo e produttività inizia ora a fare le sue prime timide apparizioni.

Diversi manager e ricercatori hanno tentato nel corso degli anni di trovare il bandolo della matassa produttività: cosa motiva una persona ad andare oltre lo standard minimo richiesto?

Qual è la molla che fa scattare il desiderio di fornire un valore aggiunto piuttosto che limitarsi a dire: “Questo non è compito mio”? Un fatto è sicuro: lavorare sereni, oserei dire “divertiti”, essere gestiti da un/una responsabile e/o un’azienda inclini al sorriso e al benessere, è una potente leva motivazionale per l’incremento della produttività, il miglioramento dei rapporti interpersonali, la qualità del servizio al Cliente e per sentirsi “cittadini dell’organizzazione”.

Il consiglio di Alessandro Perini ai manager conferma la tesi: “Lavora seriamente, e ricordati che più le persone si divertono nel lavoro tanto più è facile gestirle”.

Ma qual è lo stato dell’arte del rapporto tra umorismo e management?

Nel marzo del 1999 usci in Italia “Patch Adams”, un film interpretato da un superlativo Robin Williams.

Tratto da una storia vera, quella appunto del dottor Adams, che, dopo aver sfiorato il suicidio ed essere stato ricoverato in una clinica psichiatrica, scopre qual è la sua vera missione: far sorridere i bambini malati di cancro e risollevare lo spirito di chi ha ormai poche speranze di vita.

L’ “eresia clownesca” del dottor Adams è causa della sua cacciata dall’Università ma insieme ad altri colleghi non molla, apre una clinica e cura gratis i malati rifiutati dagli altri ospedali.

L’Ordine dei Medici lo reintegra e lui conclude felicemente gli studi.

Dal punto di vista simbolico, il film sancisce ufficialmente l’ingresso dell’umorismo nelle organizzazioni legittimandolo, in questo caso, come straordinaria risorsa terapeutica.

Nel corso degli ultimi anni, la comicoterapia si è notevolmente sviluppata con diverse modalità applicative: proiezioni di film comici, rappresentazioni teatrali, clown in corsia, mimi e cabarettisti all’opera in ludoteche e associazioni no profit.

Anche il filone americano del “positive thinking” ha fertilizzato le riflessioni sul proficuo rapporto tra l’atteggiamento ottimistico, la fiducia in se stessi e negli altri e l’ umorismo.

Dopo aver solcato il mare delle applicazioni terapeutiche, l’umorismo è finalmente approdato al mondo della leadership.

Michael Kerr, Psicologo canadese fondatore della Canadian Association for Therapeutic Humor ed autore di “You Can’t Be Serious – Putting Humor to Work”, sta brillantemente cavalcando la tigre dell’importanza fondamentale del buon umore in azienda.

In Italia, Luciano Ziarelli propone un libro ed un workshop dal titolo: “Smile Manager”.

Un lavoro dunque tutto da ridere?

Lo stato dell’arte

 

Secondo Enrico Bertolino pare proprio di sì. Il comico dalla doppia personalità – attore nelle tv aziendali e formatore professionale con studi bocconiani – è stato uno dei pionieri che ha
attraversato la frontiera catodica delle fiction aziendali dove a recitare sono professionisti della risata insieme agli stessi dipendenti.

L’utilizzo delle web tv nelle organizzazioni ha rappresentato fino ad ora l’unica esperienza strutturata di applicazione dell’umorismo nel management, su ampia scala.

Il fenomeno delle house-tv nasce in Italia negli anni novanta con la specifica finalità di informare senza annoiare: probabilmente qualcuno si era accorto che i bollettini aziendali trasmessi attraverso gli house organ ufficiali o affissi nelle bacheche generavano una quantità intollerabile di sbadigli ed è corso ai ripari andando a curiosare negli Stati Uniti d’America.

Nel corso degli anni, i programmi si sono progressivamente arricchiti anche di contenuti formativi, commerciali e gestionali, come è rappresentato nello schema in fig. 3

Lo stato dell’arte

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Fig. 3  Alcuni esempi di tv aziendali in Italia dal 1990 ad oggi.

Lo stato dell’arte del rapporto tra umorismo e management nelle organizzazioni è dunque segnato profondamente dal trionfo dell’estetica televisiva sul quotidiano, dall’irruzione dell’insostenibile leggerezza dell’etere nell’ultimo rifugio dell’austerità calvinista: il luogo di lavoro.

Se da un lato, il mezzo televisivo facilita il coinvolgimento ed il divertimento delle persone, cavalcando felicemente l’onda dell’ “edutainment”, dall’altro esiste, almeno in alcuni  programmi, il rischio dell’effetto “camera cafè”: l’umorismo rappresentato artificiosamente è infatti molto diverso rispetto all’umorismo inteso come risorsa psicologica “giocata” nelle situazioni quotidiani reali.

In ogni caso, ci aspetta un viaggio siderale dalla  realtà alla fiction solo andata:

Annunciatrice:

“VA ORA IN ONDA IL PROGRAMMA: 3001 ODISSEA NEL CALL CENTER”

Sigla rap o pop

“QUESTIONE DI CULTURA / O QUESTIONE DI BRAVURA / QUANDO TI TELEFONANO E’ SEMPRE UN’AVVENTURA!”

Stacco su un conduttore vestito da astronauta:

“ECCOCI QUI, OGGI AFFRONTIAMO UN PROBLEMA GALATTICO:

LA GESTIONE DEI RECLAMI!”

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