Intervista ad Agostino Da Polenza Capo Spedizione

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Articolo tratto dal libro:

La montagna: una scuola di management
"La montagna: una scuola di management. La determinazione del singolo e della squadra sono le chiavi del successo sul K2 come in azienda" di Agostino Da Polenza (Presidente Everest-K2-CNR) e Gianluca Gambirasio, FrancoAngeli 2008

Intervista ad Agostino Da Polenza Capo Spedizione

 

  • Raccontaci l’imprevisto più grande che sei riuscito a risolvere positivamente nel corso di una spedizione.

La paralisi di Sergio al colle del Gasherbrum II. Fu drammatico essere a 7500 metri, bloccati in una tendina per più giorni, con pochissimi viveri (qualche torroncino, qualche caramella e tre bombole di gas lasciate lì da Messner l’anno prima) e la consapevolezza che Sergio non potesse usare gli arti inferiori a causa di una loro paralisi, probabilmente determinata da un edema che comprimeva qualche parte del cervello.

Alla fine, dopo alcuni giorni, lo portammo giù. Fu uno sforzo disumano, oltre il limite di ogni regola di sicurezza. Ma io sapevo che ce l’avremmo fatta, che eravamo in grado di tornare a casa. Grazie a Dio avevo avuto ragione.

  • Quali sono i valori e lo spirito che è importante siano presenti tra i componenti della spedizione?

Lealtà sportiva e ambizione. Lealtà professionale. Rispetto e capacità di fare squadra. Amore per la natura e l’ambiente. Un background alpinistico e culturale aiutano molto. Spirito d’equipe e voglia di vincere.

  • Quanto è importante il lavorare in team nell’ambito di una spedizione alpinistica? Perché?

È ovviamente fondamentale per ottenere un buon risultato. Insieme le possibilità di successo aumentano esponenzialmente come la sicurezza.

  • Cosa fai per agevolare il lavoro di team e di fiducia reciproca?

Bisogna lavorare sulla conoscenza dei soggetti, sulle capacità e le criticità dei singoli. Bisogna motivare il gruppo e singoli.

È importante la trasparenza e la chiarezza dei rapporti. È importante che tutti accettino che il capospedizione può avere delle aree di riservatezza ma questo presuppone fiducia reciproca.

  • Quale è stata la spedizione in cui hai riscontrato il più alto affiatamento tra i partecipanti? Quali ne sono state le molle?

Certamente il gruppo di Quota 8000. Salimmo K2, Broad, G1, G2, Brad. Era un gruppo eterogeneo ma di gente che si rispettava molto, gente singolarmente molto motivata ma che vedeva nel gruppo una grande opportunità di portare a casa risultati importanti. In più, per la prima volta, c’era una gratificazione economica per tutti.

  • Cosa fai per cercare di mantenere sempre alto il morale e la motivazione dei componenti della spedizione?

Mangiare insieme, mangiare bene, avere la possibilità di chiacchierare nella tenda mensa e quindi organizzarsi al meglio perché sia calda.

Spesso ho fatto montare nella tenda Dome del campo base (le migliori in assoluto) un fornello con il quale cucinavamo delle cose nostre, come il formaggio fuso o, a fine cena, il caffé con la moka. Momenti molto belli di scambio di pareri, di esperienze impossibili in una sgradevole tenda fredda, con spifferi e il ghiaccio come fondo.

Fornire internet, possibilità di comunicazione con la famiglia, dare sicurezza. Questo non solo in questi ultimi anni ma fin dalla fine degli anni ’80.

  • Quali sono i segnali che ti indicano che i membri della spedizione si stanno affiatando positivamente tra di loro?

Quando le cordate si organizzano il lavoro indipendentemente, con bassissimi livelli di criticità.

  • Completa la frase: “Lavorare in team per me significa…”

Meno fatica, più risultati, più sicurezza, piacere di stare insieme altre persone con le quali di solito c’è grande affiatamento e, a volte, amicizia.…”

  • Come vengono gestite le comunicazioni interne tra i componenti della spedizione?

In modo orizzontale, scambi alla pari, solo il capo spedizione si relaziona su un piano verticale ma non fa parte del team che scende in campo. La sua missione è quella di equilibrare la disparità dei valori personali e delle personalità nei loro rapporti.

Certo senza incidere minimamente sulle prestazioni dei più bravi ma anzi potenziandole, dando agli altre le chance per dimostrare il loro valore ma nell’ambito di un trattamento equilibrato.

  • Come vengono invece gestite le comunicazioni esterne (media, autorità locali, fornitori, sponsor, ecc.)?

È un argomento decisamente delicato. Normalmente, per quanto riguarda i media la comunicazione è centralizzata, cioè di competenza del capospedizione che ne gestisce e la distribuisce sui soggetti più portati per parlare con i giornalisti.

Cosa peraltro ma non facile e peraltro che trova resistenze tra gli alpinisti. Talvolta i singoli alpinisti possono gestire parti di comunicazione per i propri sponsor. Ma evidentemente questa comunicazione è in subordine a quella generale e comunque deve essere concordata con chi gestisce la comunicazione generale.

Mi è capitato ancora di dover interrompere o impedire la comunicazione individuale perché, non tanto scorretta, ma non in sintonia con i tempi dell’altra generale. Bisogna che ci sia equilibrio e rispetto del lavoro di tutti e anche quando si fanno i legittimi interessi propri è necessario che ciò avvenga con buon senso, equilibrio, verità.

Difficile ma possibile poi raccogliere tutto il materiale fotografico e filmato. La tecnologia digitale aiuta. Il tema delle autorità locali è demandato totalmente al capospedizione che per la legge di tutti i paesi himalayani è il responsabile in solido e penalmente di tutto ciò che accade.

Bisogna che però tutti ne siano consapevoli. L’errore di uno ricade su se stesso e sul capospedizione che quindi ripone una grande fiducia su ognuno.

Fornitori e sponsor sono competenze e prerogative del capospedizione e dell’organizzazione. Rapporti contrattuali devono essere estesi alla conoscenza di tutti, evidentemente, soprattutto in quelle parti che prevedono obblighi, come per i marchi, la loro esposizione, le riprese etc.

Ma anche la necessità di presenziare alle manifestazioni di presentazioni, alle serate organizzate dagli sponsor. Difficile a volte conciliare le varie esigenze.

È importante far passare la consapevolezza che l’immagine collettiva può essere utile ai singoli e che far parte di una squadra è comunque utile per la propria comunicazione.

  • Quali attività svolgi per creare visibilità e spazio sui media per le tue spedizioni?

Una grande attività di PR, di contatto con amici giornalisti appassionati di montagna, tenendo in considerazione di rivolgermi e di far apparire la spedizione su più tipologie di media, tv, radio, quotidiani, periodici di settore, etc.

Contano anche le serate e sempre di più internet. Ci vuole molta energia per organizzare tutto ciò. Io ho creato un mio network di siti internet che, devo dire, nel mercato della montagna hanno un certo successo. Ma l’alpinismo è un’attività che subisce l’atteggiamento conformista per cui la montagna non “fa pubblico”.

È falso, ma questo è. Certo, la montagna è difficile anche dal punto di vista dell’informazione ed è vero che, se togliamo qualche grande vecchio come Messner o giovane talento della comunicazione come Simone Moro, il resto del panorama è sconcertante per quanto sia vuoto e repellente rispetto alla stampa e ai giornalisti.

Bisogna dare retta a ogni giornalista, rilasciare interviste, farsi capire, essere disponibili, fornire notizie, foto, materiale. Solo così si possono accontentare le esigenze di giornalisti sempre più in redazione e sempre meno esperti.

Ma pochi alpinisti lo fanno e pochi giornalisti lo richiedono perché la montagna nell’immaginario mediatico e dei capiredattori non tira, non fa notizia. L’alpinista se ne lamenta, dice che la stampa parla di montagna solo quando ci sono i morti.

Forse è vero, anche se ormai di morti ce ne sono talmente tanti sulle strade, negli scenari di guerra, per la mafia e il terrorismo, che non fa più notizia un disperso morto sull’Everest.

Altro caso, la gestione di un evento da costruire, come K2 - 2004. Lì intervengono agenzie di livello nazionale e internazionale, diventa un’operazione pubblicitaria di marketing, il cui valore commerciale non è dato dall’evento in sé, ma principalmente dalla campagna di comunicazione che vi si costruisce sopra.

Insomma, gli sponsor certo si divertono talvolta a supportare l’evento, purché però ci siano ritorni tabellari di comunicazione tali da giustificare l’investimento.

 

  • Quali sono le decisioni più importanti che deve assumere un Capo Spedizione?

Decide le strategie di salita, i tempi, i modi. Certo, condividendoli. E poi controlla minuto per minuto l’esecuzione dei piani. Decide come gestire la comunicazione, chi far parlare dalla cima del K2. Decide sui portatori, sulla via da seguire, decide delle risorse economiche.

Ma questo quando ci sono di mezzo progetti grossi, di solito in accordo con altri responsabili del budget.

  • Quali criteri adotti per prendere decisioni importanti nel corso della spedizione?

Il buon senso. L’interesse comune e dei singoli. Il rispetto dei budget.

  • Quali sono gli errori più frequenti che portano al fallimento di una spedizione alpinistica?

La mancanza di leadership, la totale anarchia nelle decisioni.

  • Cosa hai organizzato per festeggiare e celebrare il successo di una spedizione?

All’Everest, nel ’92, organizzammo una grande festa alla Piramide. Gli sherpa acquistarono parecchi litri di chang e qualche bottiglia di rakshi, oltre che piccole bottigliette di Kukri-rum. Fu una grande festa, piena di musica, con cantate collettive, tamburi e alcol, i nostri cuochi cucinarono fino all’alba nella grande tenda installata vicino alla Piramide.

Tutto finì in un gran mal di testa. Quasi sempre si organizza una festa, anche se non sempre delle dimensione di quella. Spesso però la festa del ritorno viene fatta in patria, alla prima presentazione del film o della multi visione, normale prodotto che soddisfa l’ego alpinistico e le esigenze degli sponsor, dei supporter e di parenti e amici.

  • E in caso di fallimento?

Beh, i fallimenti vengono presto metabolizzati. Le scuse sono sempre infinite quando si tratta di giustificarlo. Ma è importantissimo fermarsi per capire quanto è successo. Come nell’imparare, valutare quali errori hanno portato all’insuccesso.

Ma ci sono anche successi amarissimi, come al K2 nel ‘96. Lorenzo Mazzoleni precipita in discesa ad una quota tra gli 8200 e 8110 metri. Un’esperienza terribile. Una tragedia dolorosissima e inaspettata, accaduta quando tutto sembrava essere andato per il meglio, quando le prime bottiglie erano state aperte al campo base.

Solo allora, in attesa che tutti rientrassero al campo, base ci si era chiesti del ritardo di Lorenzo. E poi la ricerca per tutta la notte con Giampietro Verza che risaliva fino sopra il collo di bottiglia, il punto più critico, urlando il nome di Lorenzo nella notte del K2.

Solo all’alba e nelle ore della tarda mattinata, coll’avvistamento del corpo, 800 metri sotto, su un plateaux nevoso, erano finite le nostre speranze e iniziata la nostra disperazione. Non c’era nulla da festeggiare.

Eppure anche allora cercai di capire, di analizzare, di rubare alla verità i segreti perché quanto accaduto non si ripetesse. Nella mia carriera di alpinista e capospedizione è stata l’unica disgrazia direttamente accaduta a un mio alpinista e alla quale ho assistito.

Altre volte altre tragedie sono accorse ad altri grandi alpinisti, come quando capito nell’86 con la morte di Renato Casarotto. L’ultimo giorno della nostra permanenza al campo base dopo il successo della vetta e con già alcuni amici scomparsi e morti sulla montagna, Renato cadde in un seracco e corremmo su a tirarlo fuori a cercare, inutilmente, di salvarlo.

Morì guardando le stelle e venne seppellito lì, sul ghiacciaio, vicino alla morena che lo avrebbe riportato in sicurezza a casa. Tornammo a casa con la morte nel cuore. Non guardammo indietro verso il K2 mentre ce ne andavamo. Non odiavamo la montagna ma noi stessi perché eravamo lì.

  • Quale è stata la spedizione che ti ha lasciato il rammarico più grande? Perché?

K2 ‘96, per la perdita di Lorenzo. Quella volta, come ho raccontato più volte, se Lorenzo mi avesse parlato per radio, il giorno prima, mi sarei accorto della sua immensa fatica e gli avrei chiesto di aspettare un giorno per salire in vetta con Verza.

Ma lui non volle rischiare di farsi dire questo e decise di prendersi la vetta alla prima occasione possibile, come avrebbe fatto con una bella ragazza.

  • Quale è stata la spedizione che ti ha lasciato il ricordo più bello? Perché?

K2 ‘83, per l’esperienza immensa, infinita che mi ha trasmesso. Per l’umanità che ho potuto scoprire da Kurt Diemberger ai miei compagni di cordata, ad amici come Pierangelo Zanga.

Ma anche Everest ‘92 per l’esperienza dell’abbinata scienza-alpinismo. E poi Everest e K2 - 2004. Pur nella difficile situazione personale, e forse anche per quello, ho vissuto un’esperienza umana di enorme spessore, per la gioia, l’amicizia, la professionalità, il dolore, la completezza.

Tutto questo per una montagna.

  • Che differenza provi nell’emozione di essere tu ad arrivare in vetta rispetto all’essere invece un componente della tua spedizione a farlo?

Francamente e ripensandoci, pochissima differenza. Ho pianto di gioia e soddisfazione ogni qualvolta uno dei miei è arrivato in cima.

Sono orgoglioso e contento di aver portato tanti bravi alpinisti in vetta. La mia gioia è quella della vetta che ho vissuto, anche personalmente, con l’orgoglio che la spedizione, che il lavoro di tanti, di tutti, arrivava a profitto.

  • Tra la tua prima esperienza come Capo Spedizione e la tua ultima, quali sono stati i principali miglioramenti che ti riconosci?

Se considero la prima spedizione al Lhotse nell’80 in inverno, allora devo dire che rispetto all’ultima esperienza al K2 c’è la differenza tra l’organizzazione di una partita di calcio all’oratorio e una partita della nazionale.

Il gioco è uguale ma il divario tra il livello organizzativo, di consapevolezza, di organizzazione, di gestione dei rapporti con sponsor e media era esattamente questo.

  • Quale è la prossima spedizione che hai in programma?

Forse quel K2 in inverno che mi terrebbe ancorato alla mia montagna, portando avanti i limiti dell’alpinismo.

Ma forse la vera prossima spedizione è il consolidamento del progetto Ev-K2-CNR, dei suoi progetti ambientali, come SHARE e Karakorum Trust, lasciando un segno importante nella storia della scienza che incontra l’alpinismo, come il barometro di Balmat e Paccard incontrò la cima del Monte Bianco nel 1786.

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