Performance management in azienda

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Performance management in azienda

di Stefano Greco - Consulente di direzione aziendale e formatore

Quanto pesa l’atteggiamento di ogni lavoratore nel fare la differenza tra una performance “povera”, al di sotto dello standard richiesto, e una “value added performance”?

Cosa può e deve fare il management per gestire persone che lavorano ai diversi livelli, per migliorarne la produttività parallelamente alla soddisfazione lavorativa?

Una riflessione articolata sulla relazione tra cultura organizzativa e gestione della performance in azienda

«Sai perché l’altro giorno hai perso? Perché vai lungo di falcata. Ora, le vedi queste cinque monete?

Rappresentano i passi nei tuoi cento metri.

Le hai altre due monete, Sig. Abrahams, cioè altre due falcate in più?

Me le darai, è basilare.

Falcata lunga, morte dello scattista».

Queste battute provengono dalla sceneggiatura del film Momenti di Gloria (1981) di Hugh Hudson e sono pronunciate dall’allenatore che deve preparare un famoso corridore degli Anni Venti, Harold Abrahams, a gareggiare con il suo rivale dell’epoca, Eric Liddell, nelle Olimpiadi parigine del 1924.

Le parole che il coach rivolge al suo atleta esprimono chiaramente il concetto di performance management: un’attività chiave nello sviluppare una cultura organizzativa o una mentalità – nel caso individuale – adeguate per raggiungere gli obiettivi con spirito agonistico e con la massima soddisfazione possibile.

A partire da alcuni esempi pratici, nell’articolo approfondiremo l’attuale significato di performance nei contesti aziendali ed il quadro delle attività che il management è chiamato a svolgere al fine di raggiungere i risultati attesi attraverso il lavoro di singoli, gruppi e/o funzioni organizzative.

Nel concetto di performance sono compresi tre livelli progressivi che esprimono il “cosa faccio” in rapporto al “come”, in funzione delle caratteristiche della posizione - compiti, incarichi ed obiettivi - ricoperta da una persona nell’ambito organizzativo.

Primo esempio

Un addetto al servizio bar itinerante sui treni si limita a spingere il carrello in avanti tra le corsie, rimanendo in silenzio: siamo al livello uno, quello di un semplice sforzo fisico, di un “cosa faccio”.

Un altro addetto, oltre naturalmente a spingere il carrello, passando tra le corsie, esclama a voce alta: “Servizio bar! Servizio bar! Gradisce qualcosa da bere e/o da mangiare?”.

Siamo al livello due, quello del comportamento organizzativo, ovvero un insieme strutturato di azioni intraprese al fine di produrre un risultato in linea con un’aspettativa manageriale.

Il comportamento organizzativo esprime già l’abbinamento consapevole tra il cosa faccio ed il come lo faccio, vissuto con un soddisfacente orientamento al servizio.

Un terzo addetto, oltre a spingere il carrello e a comunicare il passaggio del servizio bar, propone al cliente, di sua personale iniziativa, il nuovo tipo di tramezzino disponibile, da accompagnare magari con una buona birra o dei dolci di fine pasto per completare il gusto del salato.

Siamo al terzo livello, quello della performance. A questo stadio, oltre all’attenzione al cosa faccio e al come, l’addetto interpreta il suo ruolo con spirito imprenditoriale e motivazione al raggiungimento di un importante risultato qualitativo oltre che quantitativo.

Secondo esempio

L’impiegata amministrativa si limita ad inserire ordini e fatture nel programma di contabilità aziendale.

Siamo al primo livello del “job”, mera esecuzione di un compito.

La stessa persona, durante l’inserimento dati, essendo attenta ai particolari, si accorge di un errore in fattura e lo comunica tempestivamente al suo responsabile e/o al fornitore.

Siamo al secondo livello, quello del comportamento organizzativo, che già produce valore aggiunto.

L’impiegata ad un certo punto riflette sul fatto che quel programma di contabilità non è adeguato alle esigenze aziendali, ne discute con il proprio responsabile ed offre suggerimenti su quale programma più funzionale al tipo di contesto organizzativo potrebbe essere installato.

Terzo livello, performance in azienda.

Terzo esempio

Un agente di commercio fa il suo solito giro dai suoi soliti clienti per raccogliere i soliti ordini di acquisto di prodotti.

Primo livello dell’attività di lavoro.

Nel visitare i clienti, l’agente, oltre a raccogliere ordini, prova ad aumentare le vendite di alcuni prodotti – up selling – e/o ne propone di nuovi – cross selling.

L’agente ascolta anche qualche lamentela su alcuni disservizi e si fa portavoce all’interno della sua azienda per risolvere i problemi ai suoi clienti. Secondo livello del comportamento organizzativo.

Lo stesso agente, oltre a svolgere le attività di primo e secondo livello, si impegna a fare sviluppo commerciale cercando attivamente nuovi clienti, risolve a monte errori di consegna e disservizi evitando che arrivino ai clienti finali, si aggiorna sistematicamente riguardo le novità del suo settore ed è attento a come si muove la concorrenza: siamo al terzo livello, quello della performance commerciale.

Da questi tre esempi, possiamo porre i due fondamentali quesiti relativi all’oggetto del nostro approfondimento.

Tratto da L’informatore Inaz n. 11/2010 2

Performance e soddisfazione lavorativa: la relazione

  1. Quanto pesa l’atteggiamento di ogni lavoratore nel fare la differenza tra quella che viene definita in letteratura “poor performance” e la “value added performance”?
  2. Cosa può/deve fare il management per gestire persone che lavorano ai diversi livelli, al fine di migliorarne la produttività parallelamente alla soddisfazione lavorativa?
Performance management in azienda

 

La risposta alla prima domanda è relativamente semplice: molto, anzi, moltissimo.

Già da diversi anni, ormai, l’atteggiamento richiesto alle persone che lavorano è quello di saper interpretare il ruolo organizzativo all’insegna della proattività, della “job ownership” – sentirsi “proprietari del processo o della parte di esso in cui si opera” – in un’ottica “entrepreneurial”, vale a dire con spiccato senso di “imprenditorialità” rispetto allo sviluppo della propria professionalità, unica “garanzia” possibile per conservare il posto di lavoro, salvo naturalmente l’intervento di fattori esterni e/o indipendenti dall’azione personale, o per ricollocarsi con successo sul mercato del lavoro.

In questa prospettiva, una performance è “povera” quando la quantità o la qualità del lavoro svolto o il comportamento di una persona sono al di sotto del minimo richiesto da uno standard aziendale.

Al di sotto del minimo, il motore di una vettura si spegne.

Allo stesso modo possiamo dire di una persona che lavora al di sotto del minimo richiesto.

Il problema che si pone ad un capo che deve gestire questo tipo di persone è: quali sono le opzioni manageriali di cui posso disporre in questo caso?

A seconda dei contesti organizzativi, esistono tre possibilità:

  1. fare nulla;
  2. aiutare la persona a riprendersi;
  3. aiutare la persona ad andarsene.

Ad ogni responsabile compete l’intelligenza di capire quale opzione scegliere e come attuarla, tenuto conto del suo potere reale nella situazione e delle conseguenze della sua scelta comportamentale.

Fattori chiave per la gestione della performance

La risposta alla seconda domanda è, invece, più articolata. I fattori chiave attraverso i quali il management può gestire i diversi livelli di performance in azienda sono quattro.

  1. Predisporre un’architettura organizzativa che semplifichi la vita delle persone sul lavoro ma anche nell’ambito privato e faciliti a tutti il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Gli elementi che giocano in questo primo fattore chiave sono:

  • la capacità di allineare i comportamenti delle persone ai risultati attesi;
  • la capacità di definire e comunicare gli obiettivi;
  • la capacità di “pianificare il caos”, ovvero cercare i punti di equilibrio tra l’evento certo e quello inatteso, tra la priorità definita e l’emergenza improvvisa, tra le attività in agenda e l’imprevedibile;
  • la capacità di introdurre tecnologie che aiutino le persone a gestire le informazioni e la conoscenza in funzione dell’obiettivo “più risultati in meno tempo” e soprattutto di quello del “paperless competitivo”, ovvero la dematerializzazione dei documenti raggiunta attraverso l’equilibrio tra la compliance normativa, l’efficienza organizzativa e la competitività nell’epoca del web.

 

  1. Monitorare sistematicamente le performance.

Le attività da svolgere in questo secondo fattore chiave sono:

  • valutazioni dei gap di capacità nelle persone;
  • check up riguardo i progressi ottenuti dalle persone sul lavoro;
  • dare e ricevere feedback sul modo di lavorare, ovvero confrontarsi attivamente e costruttivamente nello specifico del “come” vengono o non vengono fatte le cose;
  • sondare la percezione dei clienti, sia finali, sia interni, sulla qualità dei servizi ricevuti;
  • valutazioni aziendali strutturate attraverso note di qualifica, schede e colloqui capo-collaboratore.

 

  1. Energizzare le persone

Gli elementi fondamentali per energizzare positivamente le persone sono:

  • capire/conoscere le leve motivazionali dei singoli ed agire su di esse in modo costruttivo;
  • offrire supporti tecnici e organizzativi;
  • incoraggiare nei momenti di crisi e di difficoltà;
  • ispirare fiducia e comportamenti etici;
  • gestire le aspettative delle persone, mantenendo le promesse e gli impegni dichiarati.

 

  1. Fare sviluppo

Le attività da svolgere nel quarto fattore chiave sono:

  • coaching;
  • formazione;
  • affiancamenti sul campo;
  • esperienze di prima mano, ovvero consentire alle persone di formarsi all’estero e/o di maturare esperienze direttamente a contatto con le realtà produttive e commerciali dell’azienda.

Il quadro di sintesi che è emerso consente al lettore di utilizzarlo come una sorta di pannello di controllo nella gestione complessiva delle performance in azienda, comprendendo, di volta in volta, quali sono i tasti giusti da toccare in funzione della posizione ricoperta e degli obiettivi manageriali.

Gareggiare per vincere: l’impresa agile

Una riflessione che invece riguarda in generale il miglioramento della cultura organizzativa è collegata operativamente al significato della gestione della performance in azienda, ovvero: perché farla?

La risposta è che oggi, il management di una azienda che vuole competere in modo agonistico sul mercato, è chiamato ad “atletizzare” l’impresa, ossia renderla “nimble”.

Possiamo tradurre l’aggettivo inglese, utilizzato attualmente in letteratura, con “agile”. Abbiamo aperto l’articolo con un’immagine sportiva e lo concludiamo mantenendo lo stesso spirito.

L’agilità richiesta oggi ad ogni impresa che voglia gareggiare per vincere è legata a due fattori imprescindibili:

  • l’agilità intesa come l’abilità nel cambiare tattica o direzione rispetto agli scenari in continua evoluzione, attraverso tre modalità operative da combinare in modo intelligente e situazionale: anticipare, rispondere, adattarsi;
  • la velocità intesa come la misura di come più o meno rapidamente un’organizzazione esegue/attiva un processo collegato ad un valore aggiunto e/o ri-definisce un obiettivo di business

A proposito di “speed”, è interessante notare come nelle arti marziali, ci sia differenza tra velocità e rapidità.

La prima esprime un movimento che coinvolge tutto il corpo, la seconda soltanto di un arto. Tradotto in termini organizzativi, il “corpo” è l’architettura aziendale e l’“arto” è ogni singolo individuo.

Conquistare la “cintura nera” sul mercato può essere a questo punto una bella soddisfazione!
Tratto da L’informatore Inaz n. 11/2010

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