Il “mal di merito”

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Il "mal di merito"

“Mal di merito” è un’espressione coniata di recente da Giovanni Floris nel suo libro “Mal di merito.

L’epidemia di raccomandazioni che paralizza l’Italia”, Rizzoli, Milano, 2007.

Tale disagio, che poi sfocia in un vero e proprio “male di vivere”, riguarda principalmente chi è bravo ma non è raccomandato da nessuno né per trovare lavoro, né per fare carriera all’interno di un’organizzazione.

Da dove nasce il mal di merito?”, si chiede Paolo Pombeni dalle colonne del quotidiano Il Messaggero ai tempi dell’inchiesta del quotidiano su questo tema, nel settembre 2007.

Il giornalista prova a dare una risposta ed insieme indica una possibile strada da percorrere:

“Nella scuola, nel mondo della ricerca, nella sfera della pubblica amministrazione, in tanti, troppi ambienti dove si avverte più oppressivo il controllo statale.

Questo controllo va disintermediato dando spazio e ruolo alla soggettività privata anche in quei servizi considerati di pubblico interesse dove è necessario recuperare competitività ed efficienza per sottrarre il Paese intero al rischio di un declino incombente”.

In Italia, per chi ha talento ma non ha “santi in paradiso”, il mercato del lavoro può dunque trasformarsi in un vero e proprio inferno.

Il Messaggero del 7 ottobre 2007 riporta, ad esempio, alcune notizie del tipo:

  1. ROMA – Il professore universitario che dice alla studentessa: “Sei brava, trovati un marito ricco e aspetta”
  2. BOLOGNA – Concorsi pilotati, i vincitori sono stati decisi a tavolino
  3. MODENA – “Scoraggiati” i candidati esterni, vince quasi sempre il prof. di casa

E poi ancora, nella pagina seguente:

  • Raccomandati, uno su due lo manda sempre Picone
  • L’Italia, quanto a esami di maturità, continua ad essere la meno selettiva nei principali paesi
    del mondo
  • Tra Bari e Foggia, scambio di favori in due università

Probabilmente, tali notizie rappresentano la punta di un iceberg in rotta di collisione con il transatlantico Italia.

Proseguendo nell’analisi, quali sintomi accusa chi è affetto da mal di merito?

Ecco alcune testimonianze raccolte da Il Messaggero del 13 settembre 2007, intervistando alcune persone in ambito universitario:

  • “L’anzianità conta più del talento, così noi giovani siamo schiacciati”
  • “I miei titoli sono solo carta”
  • “Il mio errore? Aver studiato troppo”
  • “Chi gira il mondo e pubblica studi vale come chi sta dietro una scrivania a far niente”
  • “Nel nostro paese si pubblicano lavori scientifici. Ma quello che pubblichi rimane fine a se stesso.

All’estero, viceversa, ogni titolo ha un suo risvolto, nel senso che ti viene riconosciuto come un tassello ulteriore per la tua crescita professionale e di carriera.

Insomma, è un investimento.

Mentre qui, è solo carta che resta sulla carta”.

Chissà se i Magnifici Rettori delle nostre università, durante le loro conferenze annuali, si sono posti questi problemi e se qualche “illustre accademico” è andato a visitare gli scantinati dove i nostri Ricercatori universitari fanno miracoli per qualche centinaio di euro al mese.

Il mal di merito in Italia è anche la conseguenza indiretta dell’esistenza di caste e lobby che non accettano la concorrenza e mantengono la loro posizione di privilegio, innescando circoli viziosi di demerito.

Il "mal di merito"

Come sottolinea Roger Abravanel, “Chi accetta la concorrenza ed è pronto a mettere in questione la propria posizione di privilegio, lo fa malvolentieri se sa che non avviene lo stesso per tutte le altre categorie”.

Sempre a proposito del mal di merito, Enrico Colombatto così scrive in un articolo di Finanza Mercati Sette:

“In Italia specializzarsi e qualificarsi rende poco, sia perché si finisce ingabbiati nelle maglie della contrattazione collettiva, che di per sé penalizza le specificità, sia perché la mannaia fiscale è pesante e colpisce il capitale umano, a mano a mano che questi si arricchisce (...).

Non sorprendentemente, il sindacato ha sempre sostenuto che è ingiusto differenziare fra imprese: a un dato sforzo lavorativo deve corrispondere all’incirca la stessa remunerazione (decisa di concerto con il sindacato), indipendentemente dal risultato, di qui, la battaglia per la contrattazione collettiva.

Per contro, i sostenitori del libero mercato ritengono che la decisione spetti al consumatore e che imprese e lavoratori debbano adattarsi di riflesso: di qui la tesi a favore della deregolamentazione del mercato del lavoro e della contrattazione decentrata, all’interno di ogni singola impresa o quasi”. 44

Nella riflessione di Colombatto, non è facile confermare se la virtù stia nel mezzo oppure no.

Probabilmente, la virtù consiste nel ricercare un punto di equilibrio tra il differenziare meritocratico ed il garantire condizioni di “pari valore” per tutti.

Credo in ogni caso che una delle sfide del prossimo futuro, a proposito del necessario passaggio da “risorse umane” a persone, riguarderà proprio la definizione di tipologie di contrattuali che riescano a mediare tra l’esigenza di riferimenti legislativi collettivi e l’esigenza di personalizzazione dei rapporti contrattuali di lavoro, legata soprattutto al livello di merito, produttività e di motivazione dimostrato dalle singole persone.

L’obiettivo principale sarà proprio quello di saper differenziare senza discriminare.

Per concludere sul mal di merito, bisogna aggiungere che la negatività di tale stato esistenziale è acuita dal sapere che esistono una serie di persone che si danno malate complessivamente un mese all’anno, vanno a fare shopping o altro durante le ore di lavoro, facendosi timbrare allegramente il cartellino da un collega il quale aspetta con ansia il suo turno per fare a sua volta il “fantasma dell’organizzazione”.

E quando, con tanto di pedinamenti e riprese video, tali personaggi vengono beccati con le dita nella marmellata, loro si giustificano con un candido:

“E’ vero quello che abbiamo fatto, ma lo abbiamo fatto per pochissime ore e non immaginavamo fosse così grave”.

Stiamo parlando di dodici dipendenti, tra medici ed infermieri, dell’Ospedale di Perugia, secondo quanto riporta Il Messaggero del 6 settembre 2007.

Tuttavia, è ancora più allarmante il fatto che, a distanza di un mese dall’arresto, i dodici erano tornati già al lavoro perché la legge vuole così: se gli assenteisti non sono più agli arresti e fin quando non hanno condanne definitive, possono tornare in servizio.

Ci rincuora almeno sapere che i dipendenti della società che gestisce i bagagli dell’aeroporto di Fiumicino, sorpresi a rubare, sono stati licenziati.

44 Anno VI – N. 4 del 5 gennaio 200

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