Il passaggio da “risorse umane” a Persone

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Il passaggio da “risorse umane” a Persone

Ho avuto un infortunio sul lavoro” “Beato te, io sono disoccupato” Bucchi

Risorse Non Umane

Oggi esistono convegni dal titolo: “Risorse Umane e Non Umane: la Direzione del Personale salvata dalle tecnologie?”.

Le risorse sono diventate non umane.

Una caratterizzazione in negativo che mi ricorda il pessimismo del poeta Eugenio Montale quando mestamente afferma: “Solo questo possiamo dire: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

Che tristezza ragazzi! Io mi auguro ed auguro a tutte le persone di essere sempre più importanti di qualsiasi tecnologia.

Le tecnologie sono mezzi, strumenti, le persone sono i fini.

E torno a chiedermi perché oggi si è imposto questo modello, quali siano state le condizioni che hanno favorito l’affermarsi di questa “cultura” delle “risorse umane”, del “capitale umano” e del “non umano”.

Probabilmente perché la globalizzazione ha portato con sé la finanziarizzazione delle società, ovvero la concezione secondo la quale siamo tutti figli di un dio maggiore, il denaro?

Soldi spesso virtuali, telematici, originati da plusvalenze o bruciati nelle borse.

Il Dow Jones di Wall Street ha sostituito gli oroscopi ed il consulente finanziario il mago al quale ci rivolgiamo perché esaudisca tutti i nostri desideri.

Non è un caso se oggi qualcuno tiene corsi di formazione di “benessere finanziario” e “finanza comportamentale”.

Immergendoci invece nel quotidiano dei corridoi delle organizzazioni, dei cantieri, dei negozi o delle aziende agricole, assistiamo ancora a fenomeni più o meno visibili di sfruttamento, di mobbing – termine nuovo ma che designa una pratica esistente da sempre – di piccoli e grandi ingiustizie e, scriviamolo pure, di umiliazioni.

Per dirla con A. Margalit 15 , una società od una organizzazione sono decenti se non umiliano l’uomo che – nel suo lavoro – dipende da un altro uomo.

In una società decente vi può anche essere sfruttamento del lavoratore – limitatamente alle condizioni materiali, agli scopi condivisi e alle condizioni contrattuali – ma non la sua umiliazione.

Affinché non sia umiliato, occorre che ogni lavoratore sia riconosciuto come persona e non messo alla porta come uno zerbino.

Ogni lavoro richiede sempre un corretto approccio relazionale e va inteso non come un fatto semplicemente strumentale ma avente un valore ultimo propriamente umano.

Il passaggio da “risorse umane” a Persone

 

Come sottolinea anche Pierpaolo Donati:

“Una società diventa eticamente civile nella misura in cui non solo non c’è umiliazione, ma tra chi dà e chi riceve lavoro c’è promozione reciproca.

Il che significa che si devono configurare in modo giusto le condizioni contrattuali del lavoro e delle sue ricompense”. 16

A proposito di umiliazioni, mi viene in mente la pratica – perseguita ora dalla legge – di qualche azienda che faceva firmare alle persone la lettera di dimissioni senza la data, in qualche caso addirittura firmata al momento dell’assunzione.

Ora l’utilizzo obbligatorio di moduli alfanumerici impediscono che la data venga apposta a discrezione del datore di lavoro.

Poi ci sono i demansionamenti, i defenestramenti, i downsizing – ristrutturazioni per gli amanti dell’inglese esotico – e chi più ne ha più ne metta.

Tuttavia, la bilancia delle responsabilità non pesa soltanto nel piatto del management.

Nelle organizzazioni, sia pubbliche sia private, esiste un gruppo di lavoratori nullafacenti specializzati soltanto nel furto dello stipendio.

Sono quelli che abusano di diritti quali la malattia, vanno a fare la spesa durante le ore di lavoro, si fanno beggiare o firmare la presenza dal collega complice ed hanno un livello di produttività e di qualità del servizio prossimo allo zero assoluto.

Sono i parassiti della società che andrebbero, qui sono perfettamente d’accordo con Pietro Ichino 17, scovati e licenziati in tronco.

15 Citato da: Pierpaolo Donati in “Il lavoro all’inizio del nuovo secolo”, Edizioni Lavoro Roma, 2001 – rif. bibliografico: A. Margalit, “Unemployment”, in “The Decent Society”, Harvard

University Press, Cambridge Mass. 1996

16 Ibidem
17 Articolo citato in precedenza

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