La satisfaction leadership

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La satisfaction leadership


Il termine leadership è sicuramente il sostantivo più aggettivato nella letteratura manageriale. Abbiamo imparato che la leadership può essere situazionale, assertiva, trasformazionale, riflessiva, risonante.

In questo paragrafo, al posto di un aggettivo, abbineremo alla parola leadership un altro sostantivo, “Satisfaction”, per dimostrare che saper creare benessere lavorativo non è una semplice funzione o caratteristica del management ma ne costituisce l’essenza stessa.

Nel corso della storia, diversi archeologi hanno notato che nelle case greche e poi romane, vi era un gran numero di statue con il volto di Epicuro (341 – 270 a.C.), a volte anche di piccole dimensioni.

E’ vero che gli antichi amavano collezionare le immagini dei sapienti ma questo è un caso particolare perché le statuette del filosofo di Samo sono presenti anche nelle abitazioni di uomini comuni, senza interessi intellettuali.

Nel suo “Giardino” – Paradaisos, in greco – Epicuro accoglieva tutti senza distinzione: donne, schiavi, persino prostitute in crisi.

Egli curava il corpo con diversi rimedi e lo spirito con la forza dell’ esempio e della sua coinvolgente filosofia che proclamava la vita “dolce, felice e sempre degna di essere vissuta”.

Gli antichi, dunque, pensavano che tenere in casa la statuetta del filosofo e contemplarne il volto avesse il potere di rasserenare l’animo, non per magia, ma per il modello umano offerto da questo straordinario “terapeuta dell’anima”.

Credo che possiamo considerare Epicuro, a buon diritto, il primo Satisfaction Leader della storia.

Nella nostra vita quotidiana, incontrare dei responsabili capaci di generare e diffondere benessere e soddisfazione nei diversi contesti socio-organizzativi non è impresa facile.

Le probabilità di tenere in casa la statuetta di un professore di scuola piuttosto che di un nostro capo risultano veramente scarse.

Tuttavia, senza scoraggiarci, vediamo insieme, partendo da alcune considerazioni di carattere generale per poi entrare nello specifico, cosa possiamo fare concretamente per diventare dei leader che procurano benessere e soddisfazione nelle persone, in ambito lavorativo.

La prima riflessione che mi viene in mente è che nessuno può dare soddisfazione ad altri se prima non è soddisfatto di se stesso.

Il Satisfaction Leader è una persona in pace con se stessa, capace di guidare la propria evoluzione personale nel tempo in modo consapevole, tenendo sempre conto dei propri limiti e potenzialità; è soprattutto un “ecologo della mente”, nel senso che riesce a selezionare, coltivare ed utilizzare pensieri e sentimenti quanto più possibile “sani”, costruttivi, piacevoli.

Lo sviluppo di un’efficace ecologia della mente diventa la priorità psicologica per chiunque gestisca persone sul lavoro ed in altri contesti organizzativi.

Ogni manager ha il dovere professionale di depurare e decontaminare il proprio approccio mentale alla vita da veleni e scorie radioattive, quali, ad esempio, la dipendenza dal lavoro prolungato oltre misura, l’ansia da prestazione, la paranoia, la frustrazione, l’inquietudine esistenziale, l’arroganza, la presunzione ed il narcisismo.

I capi capaci e soprattutto desiderosi di prendersi cura della propria igiene mentale sono effettivamente pochi.

La maggior parte dei manager e degli imprenditori trascura, per negligenza od incapacità, lo gestione degli aspetti organizzativi, psicologici e relazionali legati a doppio filo al benessere lavorativo delle persone.

Tuttavia, non bisogna soltanto limitarsi a constatare lo scarso numero di Satisfaction Leader attualmente esistenti nelle organizzazioni e sulla scena sociale.

E’ opportuno chiedersi anche perché molti rinuncino a sviluppare uno stile di leadership realmente innovativo rimanendo, nella migliore delle ipotesi, dei manager o dei politici mediocri.

Gesù, Thomas More, Martin Luther King, J.F. Kennedy, Gandhi, rappresentano solo alcuni esempi di personaggi la cui Satisfaction Leadership ha rivoluzionato il modo di intendere ed interpretare gli eventi umani, cambiando di fatto la storia del mondo e pagando tuttavia a caro prezzo il loro schierarsi dalla parte del benessere delle persone.

Per analogia, nella dimensione più quotidiana delle organizzazioni, può accadere che, “per il quieto vivere” o per la considerazione del “chi me lo fa fare ad espormi” o anche perché “non saprei da che parte cominciare”, diversi manager evitino del tutto di mettersi in gioco/battersi per migliorare le condizioni di lavoro delle persone e/o di preoccuparsi di capire se ed in quale misura i dipendenti siano soddisfatti del management aziendale.

Un Satisfaction Leader, invece, si pone come priorità della sua azione manageriale quotidiana proprio il benessere e la soddisfazione delle persone che lavorano con/per lui o lei.

Nel concreto, azioni come il realizzare asili nido aziendali, istituire un servizio navetta per lavoratori pendolari o disagiati, predisporre un angolo fitness – relax in azienda con palestra e sauna, organizzare una biblioteca dove chi vuole in pausa pranzo o dopo l’orario di lavoro, ha la possibilità di consultare libri, riviste e navigare su Internet in tutta tranquillità, elargire buoni pasto, rappresentano quei “fatti” che fanno la differenza tra un management “tutte chiacchiere e distintivo” ed una Leadership realmente degna di questa nome.

L’ obiettivo principale del management diventa dunque quello di creare condizioni di benessere e di serenità tali per cui, nei dipendenti, nasce spontaneamente la voglia di dare il massimo per raggiungere i risultati e comunque di sentirsi coinvolti in prima persona nel destino dell’azienda.

Il 7 maggio del 1946, con cinquecento dollari in tasca, Akio Morita fonda la Sony.

Nella sua biografia, intitolata “Made in Japan”32, egli ricorda che lui ed i suoi più stretti collaboratori partirono dalla parola latina “sonus”, suono, e cercarono l’equivalente in inglese.

Da “sound” poi passarono a “sunny” ed in seconda battuta si fermarono a “sonny”.

Tuttavia, un dipendente dell’azienda fece loro osservare che se “sonny” andava benissimo in USA ed in Europa, in Giappone il termine assomigliava troppo al verbo “sohnnee” che significa “perdere soldi”. Così “sonny” perse una “n” e divenne la Sony che tutti conosciamo.

Morale della favola: i dipendenti che si sentono tranquilli nel prendere iniziativa e nel dire la loro opinione fanno miracoli, lavorando sui quei dettagli che alla fine fanno la differenza.

Oltre alle considerazioni e ai suggerimenti pratici che abbiamo già delineato, lo sviluppo della Satisfaction Leadership prevede specificatamente l’abbinamento di una serie di elementi di gestione strategica come ad esempio:

L’incentivazione economica, anche sotto forma di quote azionarie della società Fringe Benefits

Viaggi incentive all’insegna del relax e del divertimento – ricordiamoci la grande lezione di Epicuro!

Premi di produttività calcolati effettivamente sul merito di chi ha effettivamente prodotto e non distribuiti “a pioggia” con altri elementi di natura psicologica ed organizzativa come:

  • La capacità di apprezzare il merito e l’impegno delle persone
  • La capacità di valutare le persone in funzione della loro crescita
  • La capacità di dare alle persone una visone sistemica del lavoro e del perché le cose debbano essere fatte, evitando quindi l’ “effetto ingranaggio” stile “Tempi Moderni”.
  • La volontà di porsi come un punto di riferimento umano – Il satisfaction leader è colui o colei che verrà ricordato/a nel tempo soprattutto per le sue qualità personali: simpatia, affabilità, disponibilità, la capacità di ispirare fiducia e trasmettere coerenza.
  • La capacità di utilizzare la risorsa dell’ umorismo come parte integrante ed efficace delle stile di conduzione delle persone

Nel corso degli anni di lavoro come consulente di direzione e formatore, mi ha sempre lasciato perplesso il fatto che in moltissimi testi specialistici e seminari sulla leadership, gli aspetti prettamente umani delle persone siano stati lasciati nell’ombra se non addirittura omessi dalla trattazione.

Infarciti di paroloni e/o di roboanti termini inglesi oppure di ardite metafore, libri, convegni e seminari non mettono abbastanza in evidenza quanto la leadership abbia a che fare, molto concretamente, con i problemi e gli atteggiamenti reali delle persone di ogni giorno.

Ecco una serie di elementi non sufficientemente approfonditi nei contesti dove i manager si formano, università comprese: le invidie, le gelosie, le preoccupazioni dei lavoratori sul mutuo o l’affitto da pagare, l’avere quel giorno le mestruazioni, innamorarsi del collega, indossare la minigonna per sedurre il capo, atteggiarsi a fare il manager “fichissimo”, il fenomeno del “lecchinaggio aziendale”, il direttore di banca che invia sms di “buon fine settimana” ad una Cliente non consenziente, il gossip, molestie di vario genere...

“Basta con le metafore, torniamo alla realtà”. Può essere questa, secondo me, l’indicazione strategica da offrire oggi alla formazione manageriale, ormai satura di figure retoriche più o meno emotive che definiscono il manager come “Ulisse”, “Cuoco creativo”, “Direttore d’Orchestra”, “Skipper”, “Capo spedizione nel deserto, in montagna, nella giungla” o “Colui che comprende le persone attraverso l’ascolto di cani e cavalli” – questa ultima metafora rientra in quello che oggi viene chiamato “approccio zooantropologico al lavoro”.

Tali ardite immagini, proposte ormai in tutte le salse, hanno finito con lo scollegare il concetto di leadership dagli uffici, dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro quotidiani.

Nei contesti reali, avvengono dinamiche che nulla hanno a che fare con Polifemo, il maneggio, le esercitazioni di orientamento in un bosco, il saltare da un ponte con l’elastico o il dormire in tenda in qualche angolo sperduto del mondo.

Mi trovo perfettamente d’accordo con una affermazione di Peter Drucker di qualche anno fa:

“Il management non è né un arte né una scienza ma una professione”.

La letteratura e la formazione manageriale degli ultimi anni non hanno fatto altro che “pompare” emotivamente il concetto di leadership senza rapportarlo adeguatamente alle dimensioni del reale, dove il mestiere di capo deve essere considerato per quello che è: un lavoro e non un mito.

E’ necessario dunque demitizzare la figura del manager e riportarla sulla Terra, offrendo a coloro che gestiscono persone ad ogni livello, strategie, strumenti, risorse, chiavi di lettura e di approccio ai comportamenti realmente spendibili nel quotidiano.

L’eventuale utilizzo di metafore nella formazione manageriale e nella letteratura specialistica deve essere puntualmente ricondotto alle concrete dimensioni del vivere in azienda altrimenti rischiano di rimanere inutili suggestioni.

In tale prospettiva, la modalità formativa più efficace che oggi mi sento di consigliare a chi vuole sviluppare la Satisfaction Leadership consiste nell’attività di coaching svolta da formatori accreditati.

La formazione “uno a uno” presenta infatti il grande vantaggio di focalizzarsi sul singolo manager lavorando in modo strutturato e mirato ed aiutandolo a superare limiti e ad esprimere il massimo delle potenzialità.

Un bravo coach è la figura di un formatore professionale che riassume in sé le peculiarità di un mentore per quanto riguarda la cura dei lati umani del manager, e le caratteristiche dell’allenatore esperto che allena, addestra e motiva l’atleta nello sviluppo delle competenze più specificatamente manageriali.

“Nel bene o nel male, tutti noi facciamo parte, per così dire, della cassetta degli attrezzi emotivi degli altri; stimoliamo continuamente gli stati emozionali altrui, proprio come gli altri fanno con i nostri. Da ciò deriva un potente argomento contro la libera espressione di sentimenti tossici sul lavoro: chi si comporta così avvelena il pozzo.

Sull’altro versante, quel che ci fa nutrire sentimenti positivi verso un’organizzazione si basa, in larga misura, sul modo in cui la gente che la rappresenta ci fa sentire”.

Daniel Goleman, nel suo utilissimo libro “Lavorare con intelligenza emotiva”, è molto chiaro nel responsabilizzare il management riguardo il “contagio emotivo” prodotto da sentimenti, comunicazioni e azioni negativi immessi in circolo nell’ambiente di lavoro.

Esistono “manager untori” che avvelenano la vita – lavorativa e non – delle persone con la loro incompetenza, con l’arroganza, l’autoritarismo e la presunzione, ma, per fortuna, troviamo anche capi abili nel trasformare stati d’animo spiacevoli e sentimenti negativi, utilizzando quel “radar emozionale” che consente loro di percepire la reazione degli altri e regolare le proprie risposte in modo da indirizzare l’interazione nella direzione migliore.

E quando il radar emozionale non funziona?

La satisfaction leadership

Potremmo sempre rivolgere un invito, con cortesia e sano umorismo, del tipo: “Caro manager, non arrabbiarti ma séccati dolcemente”.

Il concetto di Satisfaction Leader, abbinato al passaggio da risorse umane a persone, ci porta a riflettere anche su una altro aspetto.

Non solo i grandi leader della Storia o i Top Manager delle grandi aziende: il Satisfaction Leader può essere chiunque riesca a generare benessere negli altri in un determinato contesto lavorativo.

A prescindere se la persona in questione ricopra o meno una posizione gerarchica, la sua azione è “manageriale” a tutti gli effetti, per cui la relativa “Satisfaction Leadership” risulta sicuramente degna di nota.

Questo significa che ognuno di noi è tenuto ad assumersi la responsabilità di non sentirsi o farsi trattare da risorsa umana sul lavoro, dimostrando sistematicamente le personali qualità e facendo apprezzare la propria professionalità a chiunque venga in contatto.

Non si tratta tanto di fare gli “eroi per caso” ma di assumere atteggiamenti ed interpretare il proprio ruolo professionale “al di sopra della media”.

Leggiamo i seguenti esempi tratti dalla realtà:

  • L’assistente di volo che riesce a stemperare la tensione di un forte ritardo dell’aereo con un
    apprezzato senso dell’ironia al microfono
  • Il conducente di autobus in servizio pubblico che saluta con un sorriso ed un buon giorno le
    persone che salgono a bordo e sdrammatizza momenti di traffico intenso con battute che
    fanno morire dal ridere i passeggeri, oltre che per il contenuto anche per il tono e la mimica
  • L’addetto allo sportello della posta che trova la battuta giusta per allentare la tensione di un
    conflitto nascente tra i clienti in fila
  • Il relatore di un convegno che, accorgendosi del livello di ammorbamento e di noia prodotto
    nell’uditorio da chi lo ha preceduto, stravolge lo schema della sua presentazione e va a braccio in modo efficace resuscitando l’attenzione della platea e meritandosi l’applaus
  • L’impiegato di un corriere che si trova al banco un cliente piuttosto irritato dal fatto che non riesce a ricevere il suo pacco a casa e lo accoglie con: “Sig. X, siamo fortunati che lei è qui! Si accomodi pure, le cerco immediatamente il suo pacco.
    Posso offrirle un caffé intanto che aspetta?”
    Nota: il pacco non era in magazzino, perché nuovamente uscito con il furgone delle consegne, ma il Cliente, tranquillizzato, uscì dall’ufficio con il sorriso e con l’indicazione dell’ora esatta nella quale il furgone sarebbe passato a casa sua per la consegna.

Storie di lavoratori ordinari che si intrecciano con quelle dei grandi e piccoli satisfaction leader che ogni giorno lavorano nelle organizzazioni.

Se volessimo cercare la caratteristica psicologica in comune tra loro, troveremmo sicuramente una serenità interiore diffusa nella mente e nel cuore, frutto della capacità di assaporare la vita in ogni suo aspetto, distillando virtù e saggezza.

Come scrive Goleman, “La capacità di guardare lontano implica che si facciano dei passi quando nessun altro vede il bisogno di muoverli”.

La Satisfaction Leadership è la concreta attuazione di tale capacità ed il primo passo da compiere è quello verso la dignità del sentirsi persona che lavora bene.

Chi conduce persone sul lavoro ha poi una doppia responsabilità: verso se stesso e verso gli altri. Guidare le persone sul lavoro significa saper includere diversità etniche, culturali, caratteriali e comportamentali in un comune contesto organizzativo, finalizzato al raggiungimento di obiettivi anch’essi comuni, e sentirsi a proprio agio in questo fondamentale ruolo di guida.

Chi gestisce collaboratori deve sapere che ognuno di loro è una persona che occupa un posto nell’universo e che ogni giorno tali persone sono chiamate a fare i conti con bisogni, umori, debolezze, speranze, ambizioni, esigenze e desideri.

Ogni capo ha a che fare con esseri umani in carne ed ossa, fatti di paure e preoccupazioni, multidimensionali e vulnerabili, capaci di agire e di patire ma anche di slanci e di coinvolgimenti passionali.

Persone, dunque, e non più risorse umane!

In ogni caso, desidero concludere il capitolo con un sorriso: leggete il seguente documento storico e poi ditemi se oggi possiamo comunque ritenerci fortunati: a parte un po’ di precarietà, tutto il resto è gioia, se confrontato con il passato!

“IL DECALOGO DEL PERFETTO DIPENDENTE”

dall’archivio storico della Worthington Food, Chicago, USA, 1872

  1. Gli impiegati dell’ufficio devono scopare i pavimenti ogni mattina, spolverare i mobili, gli scaffali e le vetrine.
  1. Ogni giorno devono riempire le lampade a petrolio, pulirne i cappelli e regolare gli stoppini e, una volta alla settimana, dovranno lavare le finestre.
  1. Ciascun impiegato dovrà portare un secchio d’acqua ed uno di carbone per le necessità della giornata.
  1. Ciascuno dovrà tenere le penne con cura e potrà fare la punta ai pennini secondo il proprio gusto.
  1. Questo ufficio si apre alle sette del mattino e si chiude alle otto della sera, eccettuata la domenica, nel qual giorno resterà chiuso. Ci si aspetta che ciascun impiegato passi la domenica dedicandosi alla Chiesa e contribuendo liberamente alla causa di Dio.
  1. Gli impiegati uomini avranno una sera libera alla settimana allo scopo di svago, e due sere libere se vanno regolarmente in chiesa.
  1. Dopo che un impiegato ha lavorato per tredici ore in ufficio dovrà passare il rimanente tempo leggendo la Bibbia o altri buoni libri.
  1. Ciascun impiegato dovrà mettere da parte una somma considerevole della sua paga per gli anni della vecchiaia, in modo che egli non diventi un peso per la società.
  1. Ogni impiegato che fuma sigari spagnoli, faccia uso di liquori in qualsiasi forma, frequenti biliardi o sale pubbliche o vada a radersi dal barbiere, ci darà una buona ragione per sospettare del suo valore, delle sue intenzioni, della sua integrità e onestà
  1. L’impiegato che avrà svolto il suo lavoro fedelmente e senza errori per cinque anni, avrà un aumento di paga di 5 centesimi al giorno, ammesso che i profitti della ditta lo permettano.

32 Akio Morita, “Made in Japan”, E.P.Dutton, New York, USA, 1986

20

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anni di esperienza

50

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formatori e consulenti aziendali senior

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corsi in aula / online e team building a catalogo

500

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aziende Clienti

15000

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partecipanti