Scrivere email

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Il passaggio dalle lettere cartacee e dal fax alle email ha una portata storica simile a quello che ha visto la carrozza trainata da cavalli sostituita dall’automobile.

La posta elettronica è senza dubbio un’invenzione straordinaria ma, come tutte le invenzioni umane, necessita di controllo e mediazione.

Come sottolinea il filosofo tedesco contemporaneo Wilhelm Schmid:

“Questa tecnologia (Internet, n.d.A.) rende possibile una nuova forma di vita, quella del nomadismo elettronico, in cui ciascun abitante comunica con il resto del mondo trapassandolo da parte a parte: è questa l’acquisizione principale del mondo virtuale, il cui mezzo di trasporto fondamentale è l’e-mail.

Un’e-mail è istantanea e irrompe immediatamente, senza tener conto di come scorre il tempo né di chi la riceve, in maniera molto simile ad una telefonata.

Nasce così una forma di comunicazione veloce che nello stesso tempo mantiene vivo il ritmo di ciascun interlocutore: possiamo aprire la nostra posta se e quando ne abbiamo voglia. (…)

Diversamente da una lettera, nell’e-mail la scrittura si standardizza nel suo schermo. (…)

La leggerezza con la quale viene scritta è la traccia della distrazione con cui si seglie una certa espressione rivolta al destinatario, quasi senza rispetto”.

Da questa rilfessione filosofica, possiamo già estrapolare qualche principio di galateo della scrittura che riguarda nello specifico la posta elettronica.

Paradossalmente, il “problema” a monte delle email consiste nell’estrema facilità con la quale possono essere scritte ed inviate.

Il lettore potrà approfondire i vissuti delle persone riguardo la posta elettronica nel successivo capitolo che riporta l’indagine che abbiamo condotto nelle aziende.

“Parlarsi di più e scrivere di meno” sembra oggi il necessario antidoto al plateale abuso della posta elettronica nelle organizzazioni ma anche, per certi aspetti, in ambito privato e social.

Potremmo simpaticamente definirlo “Metodo Brunello Cucinelli”, in omaggio al grande imprenditore soprannominato “Re del Cachemire”.

Lui racconta che:

“La prima volta che sono andato a New York avevamo un piccolo ufficio e tutti si inviavano messaggi di posta elettronica fra di loro.

Ho detto subito: così non va proprio.

Ora vi alzate, andate dal vostro vicino di tavolo e gli chiedete quello che gli dovete chiedere.

Lo fate di persona, ci vuole un attimo” (Intervista a Millionaire del 10 febbraio 2016)«La prima volta che sono andato a New York avevamo un piccolo ufficio e tutti si inviavano messaggi di posta elettronica fra di loro.

Ho detto subito: “Così non va proprio.

Ora vi alzate e andate dal vostro vicino di tavolo e gli chiedete quello che gli dovete chiedere, lo fate di persona, ci vuole un attimo» Cachemire”, è sempre attento al benessere dei lavoratori e della società.

Stanzia il 20% degli utili della sua azienda alla sua fondazione non a scopo di lucro a nome della “dignità umana”.

Paga i suoi lavoratori salari del 20% superiori rispetto allo standard del settore. I suoi dipendenti lavorano dalle 8 alle 17:30 e non devono rinunciare al tempo libero: c’è un vero divieto di inviare e ricevere email dopo quell’orario: «La prima volta che sono andato a New York avevamo un piccolo ufficio e tutti si inviavano messaggi di posta elettronica fra di loro.

Ho detto subito: “Così non va proprio.

Ora vi alzate e andate dal vostro vicino di tavolo e gli chiedete quello che gli dovete chiedere, lo fate di persona, ci vuole un attimo» racconta in un’intervista a uno scrittore americano.

Qui alcuni estratti: I suoi dipendenti lavorano dalle 8 alle 17:30 e non devono rinunciare al tempo libero: c’è un vero divieto di inviare e ricevere email dopo quell’orario: «La prima volta che sono andato a New York avevamo un piccolo ufficio e tutti si inviavano messaggi di posta elettronica fra di loro.

Ho detto subito: “Così non va proprio.

Scrivere email

Ora vi alzate e andate dal vostro vicino di tavolo e gli chiedete quello che gli dovete chiedere, lo fate di persona, ci vuole un attimo» I suoi dipendenti lavorano dalle 8 alle 17:30 e non devono rinunciare al tempo libero: c’è un vero divieto di inviare e ricevere email dopo quell’orario: «La prima volta che sono andato a New York avevamo un piccolo ufficio e tutti si inviavano messaggi di posta elettronica fra di loro.

Ho detto subito: “Così non va proprio. Ora vi alzate e andate dal vostro vicino di tavolo e gli chiedete quello che gli dovete chiedere, lo fate di persona, ci vuole un attimo»

Tuttavia, Cucinelli non è l’unico ad aver preso questa decisione.

Anzi, la tentazione di spegnere i server di posta elettronica per un giorno, se non addirittura per una settimana, sta coinvolgendo sempre più responsabili.

“Una settimana senza scrivere e-mail. Tornare a parlare aiuta il business”, è il titolo di un articolo-intervista a Michele Moltrasio, Presidente di Gabel, condotta da Dario Colombo.

“Una media di 3.500 (con picchi di 5mila) e-mail al giorno: una situazione ingestibile per Gabel.

Che ha scelto di vivere la “No-mail week”; per una settimana i dipendenti hanno rinunciato alla posta elettronica e sono tornati a incontrarsi per prendere le decisioni strategiche.

Il presidente di Gabel Michele Moltrasio ha raccontato l’esperienza”.

Da questo racconto, è emerso che i due risultati più importanti conseguiti da Gabel sono stati:

  1. Successiva riduzione del traffico e-mail del 50%
  2. Niente digital transformation per la presa di decisioni.

E non finisce qui.

Il colosso dell’informatica Atos ha capovolto la propria politica digitale.

L’amministratore delegato, Thierry Breton, ha annunciato che a partire dal 2014 le e-mail interne fra dipendenti sono proibite.

Breton ha scoperto che in media ognuna riceveva più di 100 e-mail interne al giorno.

Leggerle e rispondere portava via a ciascuno da 15 a 20 ore a settimana.

Solo il 15%, però, era utile, mentre il resto era tempo perso.

Insomma, pare che la priorità di ogni responsabile sia diventata quella di trovare la via di mezzo tra il black out del server e la sua inondazione di e-mail, ovvero c’è sempre una mediazione consapevole da fare tra i diversi possibili canali comunicativi da attivare, rispetto al contesto, all’obiettivo comunicativo e alle effettive possibilità di parlarsi fisicamente.

In questo senso, anche Skype, Hangout o altre analoghe applicazioni possono aiutare ad evitare qualche mail di troppo. In ogni caso, l’origine di tutti i problemi di comunicazione in azienda è telefonare per chiedere:

“Hai letto la mail che ti ho inviato?”

E a seguire, dopo aver parlato al telefono per dieci-quindici minuti, chi ha ascoltato dice:

“Va bene, mi mandi comunque una mail di quello che ci siamo detti?”

Mancanza di cultura del riscontro alla comunicazione (Feedback) nel primo caso, mancanza di ascolto e atteggiamento maniacale nei confronti della mail nel secondo.

C’è un terzo fattore, piuttosto inquietante, all’origine di molti problemi di fiducia, di relazione e di responsabilità in azienda:

“Mi è stato detto che se metto sempre tutto nero su bianco è meglio”

Negli ultimi anni, la posta elettronica ha generato il mostro della diffidenza e di un atteggiamento paranoico nei confronti della presa di decisione e delle azioni da svolgere.

La battuta che di solito faccio nelle aule di Formazione per indicare le “motivazioni” o i “valori” che sottendono questo tipo di cultura aziendale è: “Ad culum parandum”.

Wilhelm Schmid, “L’arte dell’equilibrio”, Fazi Editore, 2012

Posted in La Cura delle Persone su www.benessereorg.it – all’interno della Newsletter ESTE n. 3 del 3 marzo 2016

Ibidem

Fonte: www.huffingtonpost.it/2016/03/13

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