Role playing e simulazioni

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Role playing e simulazioni

I role playing

Uno degli errori linguistici e soprattutto metodologici più frequenti commessi nella formazione, anche dagli addetti ai lavori,  consiste nel  confondere il role playing con le “simulazioni”.

Il role playing non è una simulazione ma è una specifica “tecnica di allenamento formativo” utilizzata per lo sviluppo delle abilità che sostengono l’interpretazione efficace di un ruolo professionale, basata esclusivamente sul naturale modo di essere e comportarsi di una persona che interagisce con un’altra persona.

“To play” in inglese significa sia giocare, sia rappresentare in senso teatrale: tale connubio di significati indica che nell’utilizzo del role playing come tecnica formativa è insito sia l’aspetto ludico, sia l’aspetto più propriamente legato all’abilità di saper interpretare/rappresentare un ruolo che non è tratto da una commedia di Shakespeare ma dalla propria realtà professionale.

L’obiettivo didattico di ogni “scenetta” –  come alcuni partecipanti chiamano simpaticamente i role playing –  è quello dunque di ricreare  in “palestra” una situazione professionale di comunicazione o di gestione in modo “verosimile” – ossia quanto più possibile vicino alla realtà del partecipante –  in un contesto piacevole e “sportivo”.

Vediamo alcuni esempi di utilizzo della tecnica del role playing nelle attività formative:

  • Nella formazione formatori, attraverso una serie strutturata di role playing, i partecipanti si “allenano” in aula a presentare in pubblico, a gestire le dinamiche di gruppo e a trasmettere contenuti.
  • Nella formazione commerciale, i partecipanti interpretano alternativamente se stessi nel ruolo di venditori o addetti di un servizio e quello di un cliente/cittadino/utente “verosimile”, con la finalità di “calarsi nella parte”, di sviluppare empatia, di aumentare i livelli di consapevolezza del  modo di gestire la relazione con il cliente, di padroneggiare tecniche e metodologie di vendita e di affinare le abilità comunicative.
  • Nella formazione manageriale, i role playing vengono utilizzati soprattutto per allenare i partecipanti nella conduzione delle riunioni, nella gestione dei colloqui individuali di selezione, motivazione, valutazione, nella negoziazione e nel parlare in pubblico.

Naturalmente, è impensabile di poter riprodurre in aula, attraverso un role playing, tutta la complessità di un’interazione reale con un cliente o di un colloquio di valutazione con il proprio collaboratore ma il valore di tale “tecnica di allenamento” consiste nell’ assicurare la necessaria preparazione “atletica” e psicologica  fondata su i due presupposti essenziali per lo sviluppo della professionalità:

  • L’aumento della consapevolezza di sé, del proprio modo di essere e di reagire.

L’utilizzo della telecamera per riprendere e rivedere le situazioni interpretate dai partecipanti offre molti vantaggi in tal senso. 

  • Sfruttare l’opportunità di incamerare i feedback provenienti dal formatore – che in tale occasione è chiamato a giocare il ruolo di un vero e proprio coach –  e dai colleghi in aula sulle proprie “performance in diretta”.

Nell’ambito della tecnica del role playing,  definiamo feedback la valutazione strutturata della performance che il formatore-coach comunica al partecipante alla conclusione dell’interpretazione del suo ruolo professionale.

Il valore aggiunto di ogni role playing è strettamente legato a tre fattori:

  • La capacità del formatore di strutturare con criterio l’esercitazione
  • La capacità del formatore di fornire un feedback efficace al partecipante che ha “interpretato professionalmente se stesso”  e di farglielo recepire come opportunità di miglioramento/rafforzamento delle capacità richieste dal suo ruolo.
  • La motivazione del partecipante a sistematizzare il feedback e l’esperienza vissuta  in una prospettiva di miglioramento delle sue performance nella quotidianità lavorativa.

I passi da seguire per strutturare un role playing  in modo efficace:

  • Prima di cominciare, è opportuno creare sempre una cornice di riferimento semantica rispetto all’utilizzo dei role playing in aula: cosa sono, a cosa servono e qual è il valore aggiunto nello specifico contesto formativo. Il formatore, in sostanza, deve creare un minimo di consenso sull’opportunità, offerta da questa tecnica, per allenarsi alle performance richieste dal ruolo professionale, con il supporto di un “coach” – lui/lei stesso/a –  che offrirà consigli ed indicazioni specialistici.
  • Il formatore elabora o fa elaborare ai partecipanti alcuni “profili di ruolo” e/o “situazioni lavorative” da riprodurre nel modo più rispondente possibile alla realtà.

Bisogna anche prevedere due-tre minuti massimo da dedicare alla preparazione psicologica degli attori che calcheranno la scena formativa.

L’indicazione per tutti è: “Calatevi nella parte assegnata esattamente come se foste nel vostro luogo di lavoro, immedesimandovi nei personaggi descritti”.

  • La durata di un role playing può variare da un minimo di cinque minuti  ad un massimo di quindici, a seconda delle situazioni da interpretare: un’interazione allo sportello tra un addetto ed un utente per la gestione di un reclamo è diversa dall’interpretazione di un colloquio di vendita come anche dalla conduzione di una riunione.

In ogni caso, le indicazioni del formatore sono: “Si comincia quando gli attori sono pronti.

Ad un certo punto dirò ‘stop!’ perché avremo tutti gli elementi necessari per fare le nostre valutazioni.

Dall’esterno non è consentito a nessuno  intervenire, lasciamo che la situazione si svolga nel modo più naturale possibile.

Noi giocheremo il ruolo degli osservatori che alla conclusione forniranno un riscontro su come è andata”.

Il formatore gestisce quindi il tempo in modo discrezionale, tenendo sempre sotto controllo i livelli di attenzione degli “spettatori”. Un role playing non deve durare né troppo né troppo poco.

Nel caso in cui venga utilizzata la telecamera per rivedere successivamente le  performance, bisogna ravvivare la visione con commenti ed assicurarsi comunque che i partecipanti traggano reale profitto dal replay, senza annoiarsi troppo.

Finalità del  feedback:

  • Concluso il role playing, giunge il delicato momento del feedback a caldo. E’ necessario, infatti, fornire subito un riscontro al termine della performance. E’ opportuno, inoltre, che  il formatore sia rassicurante e nello stesso tempo diretto nel fornire il feedback solo al partecipante che ha interpretato se stesso nel suo ruolo professionale – chi invece ha svolto la parte del “cliente”, dell’ “utente” o di un “partecipante alla riunione”, non viene preso in considerazione per ovvi motivi.
  • Il feedback deve focalizzarsi solo sugli aspetti di comunicazione, comportamento e gestione, tralasciando i contenuti tecnici, perché il role playing serve prioritariamente ad allenare le competenze comunicative e manageriali delle persone.

Due passaggi fondamentali per gestire il feedback:

  • Autovalutazione del partecipante

Il formatore domanda: “Carlo, ti senti sulla strada giusta dal punto di vista della comunicazione con il cliente/della gestione dell’aula?”.

Qualsiasi sia la risposta del partecipante, il formatore ascolta senza commentare e prosegue:
“Cosa ti è piaciuto in particolare della tua prestazione? Cominciamo con i punti forti”.

Se il partecipante inizia ad evidenziare cosa non è andato bene, il formatore lo interrompe invitandolo a ripensare solo ai punti forti.

Una volta espressi, il formatore valuta se corrispondono effettivamente alla performance e li conferma rafforzandone il valore.

Il formatore continua: “Bene, ora la situazione si è conclusa e siamo, come si dice, a bocce
ferme.

Se tu dovessi interpretare di nuovo la situazione, cosa faresti di diverso?

Cosa  miglioreresti?”.

Il focus, questa volta, deve essere sui punti deboli.

Una volta che il formatore ha ascoltato l’autovalutazione del partecipante, chiarisce a tutta l’aula che il feedback conclusivo che sta per dare è un valore formativo per tutti, emersograzie all’interpretazione del collega.

Il formatore non deve ringraziare il partecipante che si è messo in gioco, ma lo gratifica indirettamente sottolineando che:
“Non è facile stare li davanti a tutti…questo intanto è stato il primo punto forte di Carlo, lo ‘sblocco dell’emotività’”.

  • Feedback del formatore

Il formatore riassume i punti forti e deboli della performance, puntualizzando anche quelle sfumature di linguaggio e di comportamento che nella realtà fanno la differenza tra una performance mediocre ed una eccellente.

Simulazioni

La simulazione è una tipologia di “allenamento formativo” che si basa esclusivamente sull’ interazione uomo-macchina.

Piloti di aerei ed Astronauti vengono addestrati, ad esempio, con i simulatori di volo.

I manager, attraverso dei software su cui girano  business game, “si mettono alla prova” nel gestire complessità organizzative e di mercato.

Operatori della sicurezza si preparano psicologicamente ed operativamente a gestire una rapina od una calamità naturale in  ambienti virtuali ricreati al computer.

Simulazioni

 

Dal punto di vista metodologico, quindi, ogni  simulazione rappresenta:

  • La modalità per riprodurre, in un ambiente protetto, il contesto di eventi reali, prevedendo le ipotesi di evoluzione ed evidenziando i comportamenti possibili da attuare in rapporto a  procedure da seguire e/o vincoli di cui tenere conto.
  • Un laboratorio virtuale grazie al quale è possibile verificare la correttezza e l’efficacia delle decisioni prese.
  • Un’occasione di apprendimento in cui il partecipante  può sperimentare le sue emozioni e le sue reazioni in un contesto verosimile ma sicuro.

La simulazione consente al fruitore di:

  • Interagire e misurarsi con gli eventi legati allo svolgimento della sua azione professionale, attraverso la scelta di comportamenti che incideranno sul suo esito finale, interiorizzando le scelte e le decisioni più efficaci.
  • Sperimentare in prima persona le reazioni emotive che possono essere generate dalle criticità, con l’obiettivo di  imparare a riconoscerle e a gestirle in modo intelligente.

Le logiche che sottendono una simulazione sono legate ad  un modello, un’interpretazione locale di una teoria scientifica che fa da sfondo e ne costituisce il “meccanismo profondo”.

Un modello formulato in termini rigorosi, completi, internamente coerenti, al fine di poter essere tradotto in un linguaggio di programmazione e quindi "girare" su un computer in maniera funzionale,  producendo effetti simili a quelli che potrebbero caratterizzare l’insieme dei fenomeni in questione.

La coerenza tra la simulazione e la teoria di riferimento implica un’integrazione della struttura matematica e del formalismo in seno al modello e costituisce uno dei presupposti fondamentali per la realizzazione di un apprendimento significativo basato sull’esperienza attiva del partecipante.

L’obiettivo fondamentale della simulazione consiste infatti nel mettere in condizione l’utente di interagire correttamente con il “meccanismo profondo”.

Il valore didattico di una tale immersione è notevole: come nella vita di tutti i giorni, in questo “laboratorio sperimentale” il partecipante  non si limita ad osservare passivamente la realtà, ma compie azioni che la modificano e ne osserva/vive gli effetti; può portare a compimento attività che producono conseguenze sulla vita – reale o virtuale – di altri esseri umani e/o di se stesso. 

In alcuni casi può addirittura muoversi per guardare le cose da vari punti vista, misurarle e manipolarle direttamente.

Esistono fondamentalmente due logiche possibili per costruire una simulazione:

  • Una logica di causa-effetto, basata su modelli scientifico-matematici che si esprimono attraverso funzioni lineari, come ad esempio nei simulatori di volo con i quali si addestrano piloti ed astronauti.
  • Una logica multivariabile, dove le variabili non sono ponderabili in modo lineare, basata su una rete probabilistica, come nei casi legati ai comportamenti umani:  rapine, incendi, gestione calamità naturali o azioni manageriali – business game.

Il motivo per cui non si può adottare una logica di causa-effetto per una simulazione sulle rapine, sulla sicurezza o nei business game è semplice: le variabili relative ai comportamenti umani, agli imprevisti situazionali ed altri elementi che possono entrare in gioco in quel contesto richiede l’impostazione di un sistema flessibile che sia in condizioni di valutare in termini probabilistici l’impatto di un comportamento piuttosto che di un altro sulla situazione e di identificare quelle variabili che di volta in volta, caso per caso, condizionano con pesi diversi l’esito dell’evento.

La metafora della simulazione come modello interpretativo di una teoria scientifica è funzionale alla sua rappresentazione in termini di Teoria dei Sistemi.

Una simulazione, infatti, può  essere assimilata a un sistema dinamico a stati finiti, per cui è definito un particolare “modello di calcolo”, ossia un duplice algoritmo –  o un insieme di algoritmi –  deputato all’elaborazione dei dati in ingresso.

La tipologia di input del sistema coincide con la modalità attraverso cui l’utente comunica e/o interagisce con la simulazione.

L’output della simulazione corrisponde invece alla rappresentazione esterna dello stato del sistema, ossia al modo in cui la realtà virtuale si interfaccia con l’utente.

Il modello di calcolo può essere definito metaforicamente come il “motore della simulazione”: esso trasforma gli input dell’utente in dati elaborabili dal computer, aggiorna i valori delle variabili che governano la simulazione e traduce il risultato dell’elaborazione in un linguaggio che sia comprensibile all’utente.

L’utilizzo di una simulazione può collocarsi all’interno di un contesto formativo blended.

Tuttavia, mentre un classico WBT – Web Based Training –  risulta adatto per supportare percorsi formativi legati all’acquisizione di conoscenze teoriche basilari e/o di nozioni procedurali in contesti molto semplici e caratterizzati sia da una scarsa rilevanza delle interazioni con altri attori, sia dal numero esiguo di variabili fondamentali, qui non è ritenuto sufficiente.

La simulazione introduce una nuova tipologia di WBT essenzialmente incentrata sulla riproduzione virtuale di ambienti controllati e di elevata complessità, con un accento particolare sul valore didattico dell’interattività.

La simulazione è strutturata in step caratterizzati da vari livelli di multimedialità e interattività.

La struttura interna di ciascuno step riproduce le necessità didattiche e le modalità di intervento correlate a ciascun momento dell’esperienza formativa:

Scenario:

in questa fase viene presentata la situazione che l’utente affronterà durante lo step. In altri termini, questo è il momento in cui si forniscono le informazioni necessarie per comprendere quali sono le caratteristiche attuali del sistema. Nel caso di step successivi al primo, la fase di “scenario” contribuisce anche a rendere palesi gli effetti delle decisioni precedenti.

Indicazioni generali:

In questa fase vengono presentate all’utente una serie di informazioni aggiuntive e i dati necessari per prendere le decisioni nella fase successiva.

Momento di valutazione:

In questa fase l’utente viene chiamato a prendere una decisione sia in funzione dell’obiettivo prefissato sia in base alle informazioni presentate nelle fasi precedenti lo step. L’evento valutativo coincide con il momento dell’interazione utente-sistema e contempla, generalmente, un feedback finale –  analitico e globale –  correlato alle scelte effettuate dal partecipante e l’avvio delle procedure di calcolo per definire l’evoluzione del sistema stesso.

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